Convegno su "La cooperazione giudiziaria nell'era delle minacce globali. La riforma del Libro XI del Codice di procedura penale"
Intervento del Presidente del Senato, Pietro Grasso, nella sala Koch del Senato
Autorità, Gentili ospiti, Cari amici,
Ho accolto con molto piacere la proposta del Ministro Orlando di ospitare in Senato questo importante convegno sulla riforma della cooperazione giudiziaria penale e lo ringrazio per avermi dato l'opportunità di tornare a trattare temi che mi hanno appassionato per decenni, da giurista e magistrato, e che seguo con la massima attenzione anche nel ruolo di Presidente del Senato. Saluto e ringrazio anche gli autorevoli relatori, che potranno offrire con la ricchezza della loro professionalità ed esperienza un dibattito caratterizzato da prospettive diverse, in una materia complessa - la cooperazione giudiziaria fra gli Stati - che si muove a cavallo fra varie discipline, linguaggi e categorie concettuali: la politica, la politica criminale, la geopolitica, la diplomazia, la scienza penalistica sostanziale e processuale, la criminologia. Peraltro, mentre in passato solo pochi studiosi di diritto processuale penale si dedicavano ad approfondire l'ultimo libro del codice, quasi fosse un luogo remoto e per questo meno importante, di recente gli sviluppi tumultuosi delle minacce globali e la (purtroppo lenta) evoluzione delle risposte internazionali hanno moltiplicato analisi, studi, proposte e iniziative. Oggi, io credo, è giunto il tempo nel quale anche la politica si dedichi ad ammodernare le norme che disciplinano questo settore.
Personalmente sono sempre stato convinto della necessità di guardare ai fenomeni anche attraverso la lente della geopolitica e delle relazioni internazionali. Nella mia funzione di Procuratore Nazionale Antimafia, ispirandomi alle profetiche intuizioni di Giovanni Falcone e proseguendo l'azione iniziata dal mio predecessore Pierluigi Vigna, mi sono dedicato con convinzione a rafforzare una rete di cooperazione internazionale sempre più efficace ed operativa a livello di magistratura inquirente, di cui il Paese mancava. Ho sottoscritto accordi di collaborazione con le massime autorità giudiziarie di decine di paesi del mondo, dai Balcani all'America Latina: una sorta di "diplomazia penale che però ha avuto fortuna diversa, in relazione alle occasioni di cooperazione che di fatto si sono presentate in indagini a respiro transnazionale. In molti casi i protocolli di cooperazione hanno persino anticipato e favorito accordi governativi costitutivi di obblighi giuridicamente vincolanti in tema di estradizione e mutua assistenza. In altri casi, penso ad esempio ai rapporti diretti fra la DNA e le Procure Generali in Albania e Serbia, le relazioni operative hanno permesso una cooperazione densa di importanti risultati processuali, all'epoca altrimenti impossibili. Lo scambio informativo fra uffici giudiziari, rapido, essenziale e orientato a precisi obiettivi, ha certamente favorito lo sviluppo delle indagini; mentre la circolazione di idee e proposte investigative, oltre che di taluni specifici strumenti giuridici, hanno permesso anche di fare conoscere l'avanzato sistema italiano di contrasto alla criminalità organizzata, in tema soprattutto di aggressione ai patrimoni illeciti, di tecniche investigative, protezione dei testimoni e dei collaboratori di giustizia.
Riprendendo la giusta suggestione del titolo di questo incontro, vorrei sottolineare che i profondi mutamenti del sistema mondiale dovuti alla globalizzazione hanno cambiato radicalmente lo scenario delle minacce che ci troviamo ad affrontare e in questo senso innescato un cambiamento "culturale" del modo di concepire sia lo strumento penale in quanto tale sia le forme e gli obiettivi della cooperazione fra Stati in materia giudiziaria e investigativa. Le gravissime fratture geopolitiche e la dissoluzione di strutture politiche e istituzionali che caratterizzano il nostro tempo hanno determinato vuoti legali che sono stati spesso colmati da poteri informali e criminali generando o accentuando l'emersione di fenomeni globali che influenzano la stabilità degli stati, la democrazia, l'economia e la finanza, i diritti delle persone, l'ordine mondiale. Penso alla criminalità organizzata transnazionale, al terrorismo internazionale e all'economia criminale generata dalla vasta area dell'illecito, in cui rientrano a titolo di esempio anche corruzione, evasione e riciclaggio. Il carattere geopolitico di tali fenomeni, che non sono controllabili dai singoli Stati e che generano caos, impone un'azione della comunità internazionale, ai diversi livelli. Alla globalizzazione della criminalità bisogna rispondere con la globalizzazione della legalità. In altri termini, per reagire alla crescente internazionalizzazione delle reti delle mafie, del terrore e dell'economia illegale gli Stati devono impegnarsi a superare forme cooperative obsolete, meccanismi farraginosi e ostacoli di carattere politico.
Giungendo al cuore del tema del convengo, io penso che se tradizionalmente la cooperazione penale internazionale era concepita come strumento di protezione di interessi interni agli Stati, dunque rigidamente vincolata a reciprocità e valutazioni di opportunità politica, nell'attuale scenario crescono le minacce comuni e perde di qualsiasi significato la distinzione fra minacce interne e minacce esterne. Prova ne sia, per esempio, l'intreccio fra dinamiche internazionali e fenomeni sociali che è emerso negli attentati di Parigi: cittadini europei hanno messo in pericolo stabilità e sicurezza dell'Europa, in nome di ideologie generate dal collasso istituzionale di Paesi del Medio oriente e da antichi conflitti confessionali, geopolitici ed economici che solo una vista corta può farci considerare lontani e a noi estranei. Queste dolorose recenti esperienze hanno mostrato l'estrema necessità di una rapida ed efficiente collaborazione giudiziaria, di polizia e di intelligence.
Il punto politico che vorrei quindi segnare è che il libro XI del codice di procedura penale ha davvero bisogno di una revisione profonda. Non solo perché a tanti anni dalla redazione delle norme la pratica operativa ne ha mostrato limiti e deficienze. Soprattutto perché è mutato lo scenario internazionale, si sono evoluti i fenomeni con cui confrontarsi, si sono arricchiti ambiti e iniziative di cooperazione e sono mutate profondamente le esigenze di solidarietà con cui noi dobbiamo pensare alla cooperazione giudiziaria penale.
Non posso naturalmente entrare nel merito delle scelte normative effettuate con il disegno di legge di delega al Governo per la riforma del libro XI del codice di procedura penale, che è stato già approvato dalla Camera dei Deputati ed è ora all'esame della Commissione Giustizia del Senato. A prescindere dalle varie opzioni normative che verranno adottate vorrei segnalare alcuni aspetti che mi sembrano particolarmente importanti. Anzitutto, credo che gli importanti sviluppi che si sono registrati in ambito europeo richiedano l'adozione di un doppio binario, un sistema di soluzioni differenziate per le diverse situazioni che privilegi per i Paesi europei il sistema di trasmissione diretta alle autorità giudiziarie competenti, limitando il potere di filtro del Ministro della Giustizia alle ipotesi in cui sia consentito dalle regole europee, e sempre nel rispetto delle garanzie giurisdizionali. In secondo luogo la pratica giudiziaria ha mostrato la necessità di individuare diversamente gli organi di cooperazione passiva, ad esempio, in quelli di primo grado competenti in materia investigativa. Vi è poi la necessità di assicurare l'adeguamento dell'ordinamento interno alle norme europee in materia di ordine di indagine penale e di misure di sequestro e confisca. In questo complesso contesto di riforma non può trascurarsi di includere il trasferimento di persone detenute a fini investigativi, specie se collaboratori di giustizia; la circolazione delle informazioni e delle prove; il mutuo riconoscimento dei provvedimenti giudiziari, inclusi quelli di sequestro e confisca; la costituzione delle squadre investigative comuni: in sintesi, tutti gli strumenti giudiziari che possano meglio rispondere alle attuali esigenze di contrasto alla criminalità transnazionale e ad un'efficace politica di sicurezza.
Concludo. In questi giorni difficili grava sulla politica la responsabilità di tutelare il Paese e i cittadini: dai rischi del terrorismo, che attenta alla serenità delle persone; dalla cancrena delle mafie, che si insinuano nel tessuto della società; dalle gravi e spesso invisibili infiltrazioni dell'illegalità nell'economia attraverso il riciclaggio, la corruzione e l'abuso delle funzioni pubbliche. In questo servono a poco certe prese di posizione superficiali e irresponsabili. Credo, invece, che serva investire con misura e serietà negli strumenti dello Stato di diritto, nella cooperazione, nel multilateralismo e nella diplomazia. L'Italia è sempre stata propulsore di diritto, di diritti e cooperazione: in Unione europea, alle Nazioni Unite, al Consiglio d'Europa, in ogni foro di cooperazione. In questo senso io penso che l'attenta revisione delle norme processuali interne che regolano i rapporti delle nostre autorità giudiziarie con quelle di altri Paesi sia assolutamente necessaria e farò tutto quanto rientra nelle mie competenze istituzionali perché le forze politiche presenti in Parlamento ne comprendano l'urgenza e l'indifferibilità.
Grazie.