Presentazione del Rapporto sulle Regioni in Italia 2015 dell’Istituto di Studi sui Sistemi Regionali Federali e sulle Autonomie "Massimo Severo Giannini"
Intervento del Presidente del Senato, Pietro Grasso, nella Sala Koch di Palazzo Madama
Autorità, gentili ospiti, sono molto lieto di ospitare in Senato la presentazione del Rapporto sulle Regioni in Italia 2015 dell'Istituto di Studi sui Sistemi Regionali Federali e sulle Autonomie "Massimo Severo Giannini", a cura del Prof. Stelio Mangiameli e della dott.ssa Giulia Napolitano. Il rapporto, che da circa 15 anni offre un autorevole strumento di analisi delle linee di tendenza delle politiche regionali e della relazione tra legislazione regionale e statale, è particolarmente utile per riflettere sull'assetto costituzionale e amministrativo del regionalismo italiano, considerandone le diverse componenti che ne caratterizzano il delicato equilibrio: giuridiche, politiche, sociali, economiche. Non è casuale, d'altronde, che l'ISSIRFA sia adesso intitolata e si ispiri all'eredità giuridica e istituzionale di Massimo Severo Giannini che partendo dalla teoria istituzionalistica di Santi Romano improntò il pensiero scientifico e l'azione politica all'idea che un sistema giuridico si comprende soltanto considerando oltre alle norme l'economia, la sociologia e la scienza politica.
Sul riparto di competenze legislative fra lo Stato e le Regioni, il Rapporto esplicita la diagnosi, ampiamente condivisa in ambito scientifico e istituzionale, secondo la quale la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 non è stata attuata fino in fondo. La forte spinta regionalista che aveva accompagnato la rimodulazione delle competenze legislative a favore dell'intervento del legislatore regionale negli anni successivi è stata integralmente ripensata a favore di un neo-accentramento delle competenze in capo allo Stato. Una pluralità di cause hanno contribuito a questo processo. In primo luogo, protagonista assoluta di tale operazione interpretativa è stata la Corte costituzionale che ha riallocato allo Stato gli interventi incidenti su materie di primario interesse nazionale o comunque non passibili di decentramento. Alcuni ritengono che la Corte abbia spinto troppo oltre la propria azione interpretativa, mentre altri pensano che la Corte abbia svolto correttamente un ruolo di supplenza di fronte ai fallimenti politici e all'incapacità di Stato e autonomie territoriali di individuare soluzioni di compromesso.
D'altronde, l'incisivo intervento della Consulta è stato causato proprio dai tanti conflitti di competenza che hanno innalzato il contenzioso costituzionale. In secondo luogo, ha pesato il mancato adeguamento dell'amministrazione centrale: le troppe duplicazioni e sovrapposizioni di funzioni amministrative, segnalate dal Rapporto, hanno impedito che il processo di devoluzione delle competenze conducesse, come in altri Paesi, a una contestuale riduzione della spesa pubblica a livello centrale. Questo tratto costituisce uno dei principali limiti del decentramento amministrativo italiano che, a differenza di altri ordinamenti (penso alla Germania), non ha determinato una semplificazione dei procedimenti, e una riduzione della spesa pubblica. Infine, la mancata promozione dell'autonomia finanziaria regionale e locale identifica una delle criticità del processo di attuazione della riforma del 2001, e in genere del regionalismo italiano. Anche in tale ambito le responsabilità sono state imputate principalmente al livello statale piuttosto che a quello regionale e locale. Il Rapporto sottolinea come la compressione dell'autonomia finanziaria regionale e degli enti locali, enfatizzata dalla crisi economica del 2008 e poi di fatto istituzionalizzata, abbia inibito la costituzione di un effettivo sistema di autonomia finanziaria degli enti territoriali, frenando la capacità degli enti territoriali di programmare e di gestire autonomamente le proprie politiche.
La tendenza a un nuovo accentramento delle competenze legislative registratasi a partire dal 2001 non ha però impedito alle Regioni di incidere sulle politiche settoriali adeguandole alle istanze provenienti dal territorio e dai cittadini. Il Rapporto prende in esame un ampio spettro di settori, attinenti a tre grandi aree: sviluppo economico e infrastrutturale, territorio e ambiente e servizi alla persona. Nonostante la congiuntura economica e la riduzione delle risorse, il quadro è positivo: la dinamicità delle politiche regionali ha spesso saputo valorizzare le potenzialità e recepire i diversi fabbisogni dei territori, adottando interessanti misure sperimentali. Per converso, il Rapporto segnala l'aggravarsi del divario territoriale, acuito dalla crisi economica. Preoccupa l'incapacità delle regioni meno sviluppate di usare in modo efficiente i Fondi strutturali, che tanto hanno sostenuto le regioni spagnole e tedesche, dovuta alla generale sottovalutazione delle politiche di coesione, alla carenza di strategie di identificazione degli obiettivi, alla frammentazione degli interventi e alla mancanza di certezze finanziarie in sede di programmazione del bilancio.
Il Rapporto nel suo complesso elabora un giudizio in chiaroscuro dell'esperienza degli ultimi quindici anni del regionalismo italiano che mi sembra particolarmente utile per riflettere sulla sfide future. Il documento configura la riforma costituzionale in itinere come la "compiuta e naturale conclusione" della tendenza a circoscrivere l'autonomia delle regioni. La riforma del 2001 puntava sull'incremento delle competenze delle regioni, in linea con il decentramento amministrativo avviato dalle cosiddette "leggi Bassanini" al fine di valorizzare la prossimità territoriale nell'assunzione delle decisioni pubbliche e responsabilizzare gli amministratori. Le attuazioni successive, come ho già ricordato, ne hanno in larga misura capovolto gli intenti originari e la riforma che è ora sottoposta al giudizio dei cittadini porta a compimento il processo con intenti di semplificazione. Il punto su cui oggi in molti dibattono riguarda il rapporto fra la scelta di accentrare le competenze a favore dello Stato operata nel Titolo V della parte II della Costituzione e quella di introdurre nella parte I un Senato delle Regioni e degli Enti locali, superando un limite che neanche la riforma del 2001 con il suo spirito regionalista aveva varcato.
Com'è noto, il campo è caratterizzato da diverse opinioni. Da una parte, si evidenzia la complementarietà fra la revisione del titolo V e quella del bicameralismo paritario nel senso che il sacrificio richiesto alle Regioni sul piano delle competenze legislative sarebbe compensato dal riconoscimento di una rappresentanza al centro, nel Senato. Dall'altra parte, si sostiene invece che i due processi sarebbero fra di loro incoerenti perché un Senato delle Regioni è poco utile in un sistema a moderato decentramento. Io non intendo esprimermi sulla scelta, che è ora affidata ai cittadini, ma vorrei notare che queste valutazioni sono difficili da effettuare sulla carta. L'esperienza dimostra che l'attuazione dei riparti di competenza dipende dalle tendenze concrete della legislazione, dalla sinergia fra il legislatore statale e regionale e delle opzioni della Corte costituzionale, alla quale spetta la difficile opera di marcare i confini fra le diverse materie. Più in generale io credo che i principali obiettivi della riforma, la razionalizzazione del procedimento legislativo e la funzione di raccordo fra lo Stato e gli enti territoriali del nuovo Senato, richiederanno, in caso di positivo esito della consultazione referendaria, un ulteriore intervento per definire in modo lineare il rapporto del Senato con il sistema delle Conferenze, per evitare che la composizione degli interessi di Stato, Regioni ed enti locali sia affidata in modo confuso a più sedi di negoziazione.
Concludo ringraziando il Prof. Mangiameli, i ricercatori e coloro che hanno contribuito al Rapporto. Sono convinto che la politica abbia bisogno vitale di contributi tecnici seri, meditati, approfonditi e interdisciplinari, che sostengano la comprensione della realtà del Paese, nelle sue complessità e articolazioni territoriali. Soltanto attraverso la conoscenza dei processi è possibile compiere scelte politiche consapevoli, capaci di guardare al futuro del Paese e non solo alle contingenze. In questo, io credo, consiste la grande responsabilità che noi abbiamo assunto di fronte ai cittadini. Grazie