In memoriam Umberto Agnelli
Aula del Senato, 1 giugno 2004
Umberto Agnelli ha seduto sui banchi di Palazzo Madama per quasi tre anni, dal 1976 al 1979, eletto come indipendente nelle liste della Dc. Proprio in quegli anni, assieme a Beniamino Andreatta, fondò l'Arel con la quale si impegnò per una modernizzazione e liberalizzazione del sistema economico italiano, con posizioni spesso controcorrente ma sempre di grande equilibrio e autorevolezza.
Era, quello dell'Arel, un gruppo di persone unite dai comuni ideali cattolici, dalla fiducia nelle capacità riformatrici della politica ma anche da una idea laica dello Stato che precorreva i tempi. Umberto Agnelli era uno dei principali esponenti del quel gruppo e vi profuse energie e passione. Aveva capito che l'Italia doveva avviarsi verso un cammino di riforme senza il quale avrebbe rischiato una via di declino. Aveva capito che il peso dello Stato in economia doveva essere contenuto, tanto che il gruppo propose con largo anticipo l'abolizione del Ministero delle Partecipazioni Statali.
La parentesi di Agnelli nella vita politica fu breve, perché le evenienze, anche allora di un periodo difficile per la Fiat, ma anche non poca delusione, lo portarono presto a Torino. Egli dimostrò allora di essere pronto ad commisurare il suo ruolo alle esigenze che il destino della sua famiglia gli poneva innanzi. Si spiega con questo suo stile improntato al senso del dovere lo stesso impegno senza requie che Umberto Agnelli ha profuso nella Fiat, nell'ultimo durissimo periodo in cui, già malato, ne è stato alla presidenza. In sedici mesi molte cose, grazie a lui e alla sua scelta di uomini e strategie, sono cambiate in positivo. E anche molto di ciò che, con superficialità, si credeva di sapere di Umberto si sono dovute rivedere.
In primo luogo, l'amore per l'auto, che si pensava Umberto avesse sacrificato all'aridità dei conti di alta finanza. Chi gli è stato accanto e di aiuto in questi mesi dolorosi ma lucidi racconta di un uomo determinato che credeva fino in fondo nel mestiere di costruire belle automobili, che si appassionava all'idea che la creatività e il genio italiano avessero la meglio, che trovava momenti di serenità e di entusiasmo nello studiare nuovi modelli e valutare le migliori innovazioni tecnologiche.
Questi mesi ci hanno anche mostrato aspetti della sua personalità che si stentava a intravedere dietro l'esuberanza e la vitalità del fratello Gianni. Certo non amava le luci della ribalta. A suo tempo, seppe stare un passo indietro, discretamente, ma attivamente e responsabilmente. Ma non era un uomo introverso o isolato. Al contrario, era affabile, cortese, amante della conversazione, curioso del mondo. Ne è testimonianza, fra l'altro, il suo impegno come vicepresidente del "Praemium imperiale" del Giappone, che ne ha visto in Senato la sua appassionata presenza, e che ne ha fatto uno degli italiani più conosciuti e stimati in Giappone.
È motivo di grande tristezza che Umberto Agnelli non possa vedere i risultati, che già si percepiscono, del suo lavoro e di quello dei collaboratori che aveva scelto. Sapeva di essere sulla buona strada, sapeva di aver bisogno di tempo per percorrerla, ma sapeva anche che quel tempo non lo avrebbe avuto.
Alla gentile Signora Allegra e ai figli Anna e Andrea, alla famiglia tutta, ai collaboratori di Umberto, a tutta l'azienda vada il nostro commosso saluto e la nostra partecipazione al dolore.