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Il Presidente: Intervento in Assemblea

Convegno sul federalismo

Il federalismo rappresenta per il nostro Paese una svolta epocale. In particolare, perché l'organizzazione federalista segna la complessiva trasformazione del sistema politico e istituzionale sulla base del principio di responsabilità.
Gli assetti costituzionali federali "classici", come gli Stati Uniti e il Canada, nascono, com'è noto, seguendo un processo di aggregazione di unità politiche preesistenti.
Il fatto nuovo che sta definendo il volto della convivenza civile e della governance in Europa è invece rappresentato da un "federalismo per devoluzione", che nasce da assetti politici e istituzionali di tipo centralistico.

In tanti Paesi europei il "federalismo per devoluzione" è stato innescato dalle rivendicazioni di minoranze etniche e linguistiche che i vecchi collanti nazionali, come i tradizionali partiti di massa del novecento, non riuscivano più a tenere insieme.
In Belgio le spinte centrifughe di parte fiamminga, in Spagna le rivendicazioni autonomistiche della comunità catalana e dei Paesi Baschi, in Gran Bretagna la rinascita del nazionalismo in Scozia e nel Galles.
In Italia, invece, non esistono simili fratture di natura religiosa, etnica o linguistica, se si escludono i territori di alcune regioni speciali, sicché la inarrestabile spinta federalista ha le sue radici in altri fenomeni, che hanno a che vedere con l'organizzazione pubblica e le sue inefficienze.

Lo Stato italiano si è basato, per un quarantennio, sulla triade partiti di massa ideologici - welfare state - centralismo politico e amministrativo.
Il costo era il sacrificio della responsabilità politica, perché i cittadini davano una delega in bianco ai partiti nel definire gli indirizzi politici del Paese.
Però, attraverso la combinazione dei menzionati elementi si dava una risposta al problema cruciale di ogni comunità politica democratica: come garantire l'unità politica nonostante la differenza e, inversamente, come garantire la differenza nonostante l'unità?

A poco a poco questo modello non ha più funzionato per cause molteplici:
la società è diventata complessa, frammentata, molecolare e perciò inadatta alla semplicistica rappresentazione offerta dai tradizionali partiti di massa;
le ideologie novecentesche sono entrate in una crisi irreversibile,
le spinte egoistiche dei diversi gruppi sociali e la tendenza della classe politica a surrogare la legittimazione perduta attraverso pratiche clientelari.
Alla fine del modello è rimasta soprattutto l'assenza di responsabilità, che ha prodotto la crescita della spesa pubblica, l'incremento esponenziale del debito pubblico e l'uso inefficiente delle risorse.

Il "malessere del Nord" ha affondato le sue radici nella degenerazione patologica della vecchia democrazia compromissoria e centralistica.
La crescita della pressione fiscale e politiche pubbliche poco adeguate alle esigenze dei territori e ad un uso spesso inefficiente delle risorse, costituivano un oggettivo ostacolo alla crescita della competitività internazionale delle nostre imprese, mentre si è smarrita ogni forma di giustificazione dei sacrifici imposti attraverso il prelievo tributario.
Da qui la richiesta di autonomia che inizialmente è provenuta dalle ricche regioni del Nord;
da qui, anche la ricerca politica dei modi con cui evitare che le spinte centrifughe potessero minare l'unità del Paese per ricreare su basi nuove le ragioni dello stare insieme.

La riforma costituzionale del 2001 si era proposta di rispondere a queste esigenze.
Ma la sua attuazione è stata incompleta, soprattutto perché per lungo tempo non è stato applicato l'art. 119.
Se uno dei principali obiettivi della riforma federalista era la valorizzazione del principio di responsabilità, non era sufficiente attribuire alle Regioni maggiore autonomia legislativa e amministrativa, occorreva anche cambiare il sistema di finanza pubblica secondo i principi del federalismo fiscale.
Solo dando alle Regioni autonomia finanziaria sul versante delle entrate e della spesa, garantendo alle stesse il potere tributario sulle basi imponibili locali, ed ancorando il tributo alla territorialità, sia per quanto riguarda i tributi istituiti dalle Regioni sia per quanto riguarda l'attribuzione di quote del gettito degli altri tributi, è possibile valorizzare il principio di responsabilità.

Tutto ciò non è nuovo al dibattito scientifico e culturale sul federalismo fiscale.
Infatti, è stato da tempo messo in luce come il federalismo fiscale serva soprattutto a garantire maggiore responsabilità dei governi.
I cittadini elettori sono, infatti, messi nelle condizioni di verificare direttamente il rapporto tra i sacrifici subiti per via del prelievo fiscale ed i benefici goduti grazie ai beni pubblici ed ai servizi prodotti dalle amministrazioni.
Il cittadino vede come sono impiegati i suoi soldi e potrà esprimere con il voto la sua approvazione o la sua disapprovazione per le politiche pubbliche effettivamente perseguite.

In questo modo, si potranno rilegittimare le istituzioni pubbliche, perché il cittadino sarà messo nelle condizioni di sapere perché paga le imposte e per quali fini e con quali benefici sono utilizzate dai pubblici poteri le risorse prodotte sul territorio.
Come scriveva Luigi Einaudi: "gli uomini vogliono istintivamente rendersi ragione del perché pagano; e se quella ragione non è spiegata chiaramente gridano all'ingiustizia".
In Italia, è storicamente mancata la coscienza collettiva del nesso tra il prelievo fiscale ed i benefici ottenuti con le politiche pubbliche, per cui Gobetti, nel suo libro sulla "Rivoluzione liberale", scriveva che "In Italia il contribuente non ha mai sentito la sua dignità di partecipe della vita statale, il contribuente Italiano paga, ma non ha coscienza di esercitare, pagando, una vera e propria funzione sovrana, l'imposta gli è imposta".

Solo ritornando al principio basilare del moderno costituzionalismo "no taxation without representation" - solo collegando la struttura del prelievo tributario alla struttura della rappresentanza politica, il cittadino potrà cogliere il nesso tra il sacrificio sopportato a causa del prelievo tributario ed i benefici ottenuti grazie alle politiche pubbliche.
La responsabilità politica indotta dal federalismo fiscale potrà permettere di raggiungere altri tre obiettivi.
In primo luogo, favorire lo sviluppo di politiche realmente rispondenti alle preferenze dei cittadini.

Si crea, infatti, un incentivo istituzionale affinché i governi substatali utilizzino le risorse ottenute con il prelievo fiscale per corrispondere sul serio alle aspettative ed ai bisogni della cittadinanza.
In secondo luogo, si crea una sorta di competizione virtuosa tra Regioni.
Infatti, gli abitanti di ciascun territorio potranno operare una comparazione tra diversi governi regionali, valutando la performance della propria Regione anche sulla base dei comportamenti tenuti da altre Regioni, ed in questo modo si crea uno stimolo alla diffusione delle pratiche più virtuose.
In terzo luogo, come conseguenza delle spinte precedenti, ci sarà un disincentivo nei confronti delle pratiche amministrative inefficienti e dello spreco di risorse pubbliche.

Se una delle priorità dell'agenda politica del Paese è la creazione di un'amministrazione efficiente, anche attraverso il federalismo fiscale potrà raggiungersi questo risultato.
Con il disegno di legge promosso dal Governo, attraverso il confronto ed il dialogo con le Regioni e forze politiche e sociali, stiamo entrando in una nuova era politico-istituzionale, che trova la sua "norma fondamentale" nel principio di responsabilità.
Quest'ultimo, comunque, dovrà confrontarsi con altri dati strutturali del nostro assetto costituzionale, come il principio di eguaglianza dei cittadini, di tutti i cittadini quale che sia il territorio di residenza. Principio che sul piano della struttura federale si è tradotto nella norma costituzionale secondo la quale, in tutto il Paese devono essere garantiti i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e nella norma secondo cui le Regioni, le Province ed i Comuni devono avere garantite entrate sufficienti per finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite.

La conseguenza sul piano delle tecniche del federalismo fiscale è la necessità di un fondo perequativo destinato ai territori con una minore capacità fiscale per abitante.
Il federalismo fiscale si gioca nell'equilibrio tra le ragioni dell'autonomia e quelle della solidarietà. Solo così potrà servire a valorizzare il principio di responsabilità ed a garantire l'unità nazionale.
La costituzione federale, infatti, permette di creare una nuova triade politica basata su autonomia - solidarietà - responsabilità.
E ad essa affida il delicato compito di dare una risposta al cruciale quesito costituzionale di ogni comunità democratica: come garantire l'unità politica nonostante la differenza e, inversamente, come garantire la differenza nonostante l'unità?

Se federalismo e federalismo fiscale, in particolare, servono a raggiungere tale obiettivo, se è nostro dovere dare risposte adeguate al problema dell'equilibrio tra unità e differenza, il disegno del federalismo fiscale dovrà fornire giuste risposte al malessere del Nord, ma non potrà dimenticare il Mezzogiorno.
Infatti, se l'Italia vuole vincere la sfida della competitività in Europa e nel mondo, non potrà restare con un terzo della propria popolazione e del proprio territorio in uno stato di sviluppo inadeguato. Un territorio in cui il prodotto pro capite è risultato pari, nel 2007, al solo 57,5% del prodotto pro capite del Centro-Nord; anche in termini monetari la differenza tra i redditi delle due aree rimane elevata (pari a circa 13.000 euro l'anno), mentre sempre nel Sud la disoccupazione resta tre volte maggiore rispetto al resto d'Italia.

Si tratta di dati troppo noti per insistervi oltre.
Il federalismo fiscale serve anche al Sud perché responsabilizza la sua classe politica e pone un incentivo all'uso efficiente delle risorse.
Ma è impensabile che il Sud da solo possa farcela a colmare il divario.
Per questo serve il fondo perequativo e per questo servono gli interventi aggiuntivi previsti dall'art. 119 della Costituzione, secondo cui per rimuovere gli squilibri economici e sociali e promuovere la coesione lo Stato finanzia interventi speciali per determinati Comuni, Province, città metropolitane o Regioni.

Il ritardo del Mezzogiorno, probabilmente, è imputabile a fattori che gli hanno impedito di liberare e valorizzare le risorse di cui è dotato.
Non solo il ricatto della criminalità organizzata e la carenza di fiducia, ma anche la tendenza clientelare di alcuni governi locali, che trova terreno fertile in condizioni di sottosviluppo.
Per non parlare poi della dichiarata e conclamata scarsa capacità di utilizzare i co-finanziamenti europei in tempi brevi e su strategici progetti; incapacità che ha inutilmente disperso risorse sul territorio senza il raggiungimento di un obiettivo ed un apprezzabile sviluppo.

Per non parlare, ancora, delle croniche carenze infrastrutturali sulle quali torneremo dopo.
Ma basta, a quest'ultimo proposito, ricordare che l'indice sintetico di dotazione di infrastrutture per la mobilità indica un valore del Mezzogiorno, posta l'Italia pari a 100, che risulta pari a 49,4; misura quest'ultima che è meno della metà di quella analoga ricavabile con riferimento al Centro-nord (115,7).
Per superare questi problemi è necessario uno sforzo della classe politica meridionale, del suo ceto imprenditoriale e di tutta la società.
L'intero Paese deve però assicurare al Mezzogiorno un'adeguata solidarietà, a condizione che sussistano i meccanismi istituzionali che garantiscano l'uso virtuoso delle risorse.

Ciò che conta sottolineare è che dobbiamo guardare al sistema-Paese nella sua interezza. Giustamente la società nel Centro-nord reclama più autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria e richiede di poter conoscere e valutare come sono impiegati i soldi ottenuti col prelievo tributario.
Ma non credo che la sua classe dirigente possa ignorare come esista comunque un sistema-Paese all'interno del quale tutti possiamo avere dei benefici.
Perché certamente la sfida della competitività si gioca sui mercati europei e mondiali e molte imprese del centro-nord hanno con successo intrapreso la via della internazionalizzazione, ma è parimenti vero che il Sud può costituire un'opportunità per l'intero Paese.

Perché, soprattutto in un periodo di instabilità economica e di turbolenza finanziaria com'è l'attuale, il Sud può contribuire a sostenere la domanda dei prodotti delle nostre imprese.
I suoi territori, infatti, possono offrire convenienti opportunità di investimenti, senza dover sopportare i costi collegati all'operare in altri Paesi con differenze di lingua, di leggi, di cultura e oggi con costi di trasporto che crescono a ritmo esponenziale.
Perché nel Sud è possibile trovare abbondanza di manodopera ed un capitale intellettuale ancora di livello elevato.
Ancora perché nel Sud si trova un inestimabile patrimonio naturale e culturale che va fortemente tutelato e che può essere un volano per il suo sviluppo.

Ciò che è necessario, ovviamente, è porre definitivamente in soffitta il vecchio "meridionalismo piagnone" e garantire un uso efficiente e responsabile delle risorse che vi sono trasferite a titolo di solidarietà.
Per questo giustamente il disegno di legge del Governo abbandona, per determinare il fabbisogno finanziario delle Regioni deboli, il criterio della "spesa storica" a favore dei "costi standard", ma mantiene fermo il riferimento alla necessità di finanziare per intero il fabbisogno riguardante l'istruzione, la sanità e l'assistenza.
Certamente si dovranno approfondire molti aspetti, come la nozione di "costo standard" che è ancora molto generica, oppure le modalità di determinazione dello stesso fondo perequativo.

Così come andranno studiati gli strumenti che rendano trasparenti e confrontabili - anche attraverso la fissazione di adeguati standard -le prestazioni rese dalle pubbliche amministrazioni, soprattutto nel Sud, ed il modo in cui sono impiegate le risorse aggiuntive.
Mentre andranno definite le sanzioni per chi utilizza male tali risorse e gli incentivi ed i premi per chi è virtuoso.
Già in Sanità, con l'esperienza dei cosiddetti "piani di rientro" adottati per le Regioni con deficit eccessivi, si stanno sperimentando tecniche di questo tipo.
Un fatto comunque è certo: qualunque processo virtuoso del Sud, che riaffermi la legalità, che individui nuovi modelli di efficienza burocratica ed istituzionale e meccanismi di utilizzo della spesa pubblica e dei cofinanziamenti europei diversi dal passato, non riuscirà mai a realizzare un completo federalismo, se non attraverso il conferimento di pari occasioni di crescita per tutte le Regioni dei Paese.

Le ipotesi della fiscalità di sviluppo e del fondo perequativo sono certamente elementi significativi per accrescere la produttività del Mezzogiorno, ma scontano il prezzo dell' alea dell'autorizzazione europea, la prima, e della temporaneità, la seconda.
Occorre allora essere pienamente consapevoli che soltanto quando sarà stato eliminato il grande divario tra Nord e Sud potremo completare il percorso virtuoso di un federalismo che, pur di valorizzare le specificità e le risorse di ogni singolo territorio, riesca a garantire l'unità del Paese, poiché in grado di assicurare ad ogni Regione pari condizioni territoriali di sviluppo in termini di servizi.

Questa sarà la grande vera sfida che si dovrà accompagnare al percorso del federalismo.
Un piano infrastrutturale per il Mezzogiorno che dovrà poter contare sulla volontà della politica, sulla semplificazione delle procedure di erogazione della risorse pubbliche, sull'impegno delle Regioni meridionali ad essere capaci nell'utilizzare i cofinanziamenti comunitari, in termini di maggior tempestività e selezione qualitativa degli interventi non più in chiave micro-settoriale ma su grandi e significativi progetti.
Saper comporre un quadro organico ed equilibrato: questa è la sfida che la riforma del federalismo fiscale dovrà vincere, perché vinca il Paese intero.

Il tutto, ovviamente, dovrà essere accompagnato da un necessario percorso di revisione costituzionale, che individui un nuovo luogo parlamentare dove rappresentare gli interessi territoriali e che funzioni da stanza politica di reciproco controllo e di eventuale compensazione.
A proposito di specificità ricordo che una decina di anni fa, era il settembre del 1997, nella sede della Commissione parlamentare per le riforme costituzionali di cui ero allora componente, intervenni a favore della formulazione dell'articolo che riconosceva le Autonomie a statuto speciale.
In particolare sull'ultimo comma che stabiliva le condizioni e le procedure per il riconoscimento di specialità anche ad altre Regioni.

Ricordo che era appena intervenuto l'on. Boato, che difendendo le ragioni di specialità della Regione Veneto, aveva osservato che la "questione Nord-Est" era caratterizzata territorialmente da due Regioni speciali su tre, e dunque era una questione che riguardava soprattutto il Veneto.
Ero e sono tutt'ora convinto che le ragioni di specialità vadano adeguatamente considerate.
Il Veneto ed ogni altra Regione hanno pieno diritto di assumere la responsabilità di nuovi servizi e di offrirli, nella misura in cui ne saranno capaci, alle condizioni di costo e di efficienza migliori possibili.

Sono equilibri istituzionali il cui raggiungimento, per strade non sempre lineari e spesso in salita, ha trovato momenti di vivace confronto in varie parti d'Europa.
Complesso, in Veneto come in Sardegna, in Catalogna come in Baviera, è il raccordo tra i doveri di solidarietà territoriale ed i diritti delle autonomie.
L'Italia affronta ora problemi con cui altri si confrontano da tempo.
Vi sono esperienze e soluzioni ai riguardo, e voglio ricordare che nessuna di esse è perfetta e definitiva. Altri paesi, il cui federalismo è di lungo corso, conoscono attriti, discordie, difficoltà esattamente come le conosciamo e inevitabilmente le conosceremo noi.

Cresce perciò la consapevolezza che il cammino debba essere realizzato con equilibrio ed approfondito confronto.
Il nostro Paese si trova ad affrontare grandi e impegnative sfide per mantenere il ruolo di protagonista che la sua storia, le sue capacità, la sua cultura, i tanti talenti che esistono nella società, gli assegnano.
La modernizzazione dell'apparato istituzionale, di cui un federalismo responsabile e solidale è una componente essenziale, costituisce una delle condizioni per affrontare con successo il nuovo secolo che è appena iniziato.
Se gli inizi di questo secolo saranno caratterizzati da un nuovo disegno di assetto istituzionale del Paese nell'ambito del quale le regioni possano vedere, non soltanto salvaguardato, ma anche valorizzato il loro ruolo di governo e di responsabilità, allora potremo dire di essere stati protagonisti di un vero processo storico di cambiamento.

A tale processo dobbiamo partecipare con grande senso di responsabilità.
Ciò nella consapevolezza che l'obiettivo finale di questo grande nuovo scenario rimane l'interesse primario del cittadino, che da tempo richiede maggiori e più efficienti risposte dalle istituzioni ed una più efficace corrispondenza fra i tributi versati e i servizi ricevuti.
Questa battaglia si potrà vincere se combattuta da tutti con la stessa convinzione e senza pregiudizi di appartenenza territoriale o politica.