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Il Presidente: Intervento in Assemblea

Forum internazionale dell'agricoltura e l'alimentazione

Le recenti vicissitudini dei mercati finanziari hanno indotto le autorità competenti e gli economisti ad interrogarsi su alcune questioni di carattere "epocale".
Si tratta, solo per citarne alcune, della natura congiunturale ovvero irreversibile dell'asserito "declino" degli Stati Uniti oppure del nuovo ruolo storico del dollaro come moneta dell'economia globale, degli effetti della redistribuzione complessiva della ricchezza e del potere politico sulla scena globale dal tradizionale "blocco occidentale" ai Paesi del gruppo del BRIC (Brasile, Russia, India, Cina).
Per quanto riguarda il versante finanziario, la crisi sistemica appare connessa al fatto che il sistema finanziario, segnatamente quello degli Stati Uniti, ha stimolato eccessivamente l'acquisto di case e l'indebitamento tramite il credito al consumo.

Negli Stati Uniti, anche le famiglie meno abbienti, alle quali non sono stati sufficientemente illustrati i rischi legati alla possibile evoluzione negativa dei tassi, hanno infatti sottoscritto mutui e prestiti personali talvolta oltre le proprie possibilità di restituzione.
Il sistema finanziario ha poi incrementato ed ingigantito questa "bolla finanziaria" mediante i prodotti finanziari strutturati e i derivati con l'effetto finale e perverso di ridurre le informazioni sul grado di solvibilità dei soggetti affidatari.
Di fronte alla crisi, i ventisette capi di Stato e governo dell'Unione Europea hanno condiviso, circostanza non consueta, un complessivo piano anti-crisi.
In quella sede è stata altresì programmata una riunione dei 14 Paesi più importanti del mondo (G8 più India, Cina, Messico, Brasile, Egitto e Sud Africa) entro l'anno e preferibilmente a New York per rifondare l'economia mondiale e varare regole che nessun soggetto del mercato dovrà eludere.

L'accordo ampio su questo punto da parte dei leader italiano, tedesco e britannico, inteso ad istituire controlli severi sui mercati e una radicale riforma del fondo monetario per adeguarlo alle esigenze del mondo globalizzato, lascia ben sperare su ulteriori iniziative di coordinamento delle politiche economiche dei Paesi dell'Unione.
Non si possono pertanto far cadere nel vuoto gli appelli a rifondare il sistema finanziario internazionale, tenere un G-8 allargato alle grandi economie emergenti entro fine anno, sapendo che per la prima volta nella storia finanziaria sono i piani elaborati dall'Unione Europea che hanno ispirato le misure adottate altrove nel mondo, Stati Uniti compresi.
L'idea di una sorta di "nuova Bretton Woods" che rifondi le regole su commercio, capitali e cambi è oggettivamente riconosciuta come italiana nella sede del G8 da poco tenutosi a New York.

In questo contesto di debolezza degli Stati Uniti, l'Unione europea può dunque svolgere un rinnovato ruolo strategico, purché sia chiaro che più nessuna istituzione finanziaria, governo sovrano né le stesse agenzie di rating possono sottrarsi alla regolamentazione in quanto il risparmio dei cittadini, come sancito anche dall'articolo 47 della nostra Carta costituzionale rappresenta un bene pubblico da tutelare in ogni sede e con qualunque strumento.
La nuova architettura finanziaria, da quanto sembra profilarsi, prevede l'abbattimento dei pilastri nazionali sui quali essa si è retta finora, rivedendo il ruolo del fondo monetario internazionale.
Questa situazione ha ovviamente grandi effetti in Italia.

Ad esempio, gli allarmi sul rischio di OPA ostili da parte dei fondi sovrani su imprese italiane, il cui valore in borsa è sceso a prezzi molto bassi, per cui la stampa si è cimentata nell'esercizio di individuare le società più a rischio.
In questa luce andrebbe operata una riflessione su come sono stati valutati in passato i tentativi di porre un freno alle scalate bancarie.
Possiamo solo auspicare che questa nuova disciplina possa porre rimedio alle storture prodotte dal "turbocapitalismo", intendendosi con ciò, utilizzando il termine coniato dall'americano Eduard Luttwak, quel tipo di evoluzione del tradizionale liberismo, il quale - specie dopo il crollo del muro di Berlino - ha realizzato la sua più grossa accelerazione, dalla creazione della società industriale.
Da allora, infatti, l'alta finanza è diventata più spregiudicata ed aggressiva di prima.

Non va però dimenticato che "l'economia di carta", per così dire, pur svolgendo un ruolo essenziale per il funzionamento del sistema economico, si regge sull'economia reale e non vi può prescindere.
Per questo motivo da più parti si invoca maggiore trasparenza nei mercati finanziari, in quanto queste sperequazioni economiche emergono proprio a causa dell'esplosione delle bolle speculative create dalla finanza.
Il tema della povertà delle famiglie italiane rappresenta, a mio parere, un problema di ordine politico di assoluta e primaria rilevanza.
Negli ultimi anni è infatti cresciuto l'indebitamento, soprattutto quello al consumo, talvolta "drogato" da un sistema economico-finanziario che induce le famiglie ad indebitarsi al di là delle proprie reali possibilità.

L'analisi economica rende infatti evidente il quadro di un Paese che, negli anni, ha marciato lentamente sulla strada delle riforme strutturali del tessuto produttivo e della pubblica amministrazione.
Nel frattempo, le dinamiche sociali spingono verso l'impoverimento delle famiglie, in particolare dei soggetti deboli e di quelle più numerose e quindi, elemento ancora più preoccupante, verso l'indebitamento.
Emerge quindi l'impellenza di una politica "mirata" di sostegno ai nuclei familiari che possa garantire servizi reali alle famiglie più efficienti e diffusi.

L'Italia è un Paese che cresce poco anche perché invecchia.
La denatalità non è però solo un problema demografico.
A nostro parere è anche una grave questione sociale, si tratta infatti del rischio di un impoverimento morale, ancor prima che economico, perché vengono a mancare le nuove energie e la volontà positiva portata dai giovani.
Da più parti si propone pertanto il passaggio da una considerazione negativa del fisco verso la famiglia ad una considerazione positiva, cioè del fisco come strumento finalizzato ad orientare le scelte virtuose e a riconoscere le posizioni differenziate di ciascuno in ragione del miglioramento della vita collettiva che esse promettono di assicurare e quindi del valore della famiglia.
In tale quadro sono possibili diverse scelte tecniche alternative, sul quale in questa sede non è il caso di addentrarsi. Accenno solo alla proposta dell'adozione del cosiddetto metodo del "quoziente familiare".

Chiaramente, larga parte del problema dell'Italia coincide con il problema del nostro Mezzogiorno.
Se l'Italia davvero vuole essere pienamente competitiva in Europa e nel mondo, aperta ai traffici ed alla concorrenza economica, non può più trovarsi con un terzo del proprio territorio e della propria popolazione in uno stato di sviluppo inadeguato, con una disoccupazione che è tre volte maggiore rispetto al resto d'Italia e il lavoro irregolare che coinvolge oltre un quinto degli occupati.
Si tratta di uno scenario che rappresenta una condizione di estrema debolezza, non solo del Mezzogiorno, ma dell'intero sistema paese.
A ben vedere, lo sviluppo economico del mezzogiorno è altresì la principale questione a cui, ancor oggi, sono avviluppate tutte le altre questioni "critiche" e principali difficoltà del Paese, sia sul piano istituzionale - in primis, la faticosa transizione verso un modello di Stato più spiccatamente autonomistico - che relativamente al suo destino produttivo, nella ricerca delle misure di politica economica più idonee a consolidarne la competitività.
In questo è determinante la politica europea di coesione.

Per il periodo 2007-2013 essa è finalizzata a determinare più crescita e lavoro per tutte le Regioni e le città dell'Unione europea.
L'allargamento dell'Unione rappresenta infatti una sfida senza precedenti per la sua competitività e la sua coesione interna.
Solo in questo modo sarà possibile valorizzare la ricchezza di intelligenza e di spirito di iniziativa che pur da sempre rendono l'Italia una terra unica, ricca di inventiva e talenti imprenditoriali.
Questa qualità non basta infatti più da sola a fronteggiare le sfide in atto per garantire lo sviluppo e il benessere per le nuove generazioni, e, soprattutto, a tutti gli italiani.
Occorre che la collaudata capacità dei singoli, dei gruppi, dei distretti economici, sia d'ora in avanti accompagnata dalla capacità di fare "sistema" tra i diversi attori dell'economia: tra istituzioni centrali e locali, tra amministrazione pubblica e imprese, tra referenti del capitale e del lavoro, tra aree territoriali economicamente "forti" e aree "deboli".

E' necessario valorizzare l'orgoglio della propria terra tra le genti del sud, facendo dell'austerità nell'utilizzo delle risorse erariali e nella ricerca disinteressata del bene pubblico, una condizione di cultura diffusa, anzitutto tra le classi dirigenti del Mezzogiorno ispirandone sempre più l'azione ad obiettivi di medio-lungo periodo per i propri territori, rifuggendo le sirene della spesa pubblica facile e il clientelismo.
In estrema sintesi, come ha avuto modo di dire anche il Governatore della banca d'Italia nell'ultima relazione annuale, nella gestione delle risorse pubbliche, in l'Italia: "L'accento deve spostarsi dalla quantità delle risorse alla qualità dei risultati."
E' il problema che la nostra politica economica nazionale cerca di affrontare da anni.
Nei decenni trascorsi la politica economia italiana si è avvalsa, con alterne vicende, in misura maggiore o minore a seconda delle circostanze, di tutti i tradizionali strumenti della politica economica.

Oggi, invece non è più possibile utilizzare la svalutazione competitiva, strumento con cui più volte si è inteso recuperare, sul piano della competitività internazionale, i ritardi del sistema produttivo.
La politica monetaria è di competenza della Banca centrale Europea, che persegue l'obiettivo prioritario (non unico) della stabilità dei prezzi.
La politica di bilancio è fortemente limitata dagli obblighi del patto di stabilità e crescita e dalla circostanza che il bilancio è diventato fortemente "rigido", ovvero per oltre l'80% connesso a spese che posseggono la caratteristica o di spesa giuridicamente qualificabile come obbligatoria o che comunque non consentono margini di discrezionalità nella definizione delle previsioni a legislazione vigente (interessi, stipendi, pensioni).
A questo si aggiunge, ovviamente, l'enorme debito pubblico accumulato dal Paese.
Pertanto, da più parti ci vengono sollecitate le riforme strutturali ritenendo che la bassa crescita sia più dovuta a cause strutturali che a cause congiunturali.

Il nostro sistema produttivo è pertanto in evidente ritardo: ma perché ?
Le nostre aziende sono, in media, di dimensione minore, meno capitalizzate, e a conduzione familiare, abituate ad un basso livello di concorrenza e di propensione all'innovazione.
Le soluzioni allora quali sono ?
Qui chiaramente si entra maggiormente nel campo delle scelte discrezionali, tipiche del decisore politico, ma certamente i richiami all'importanza delle politiche strutturali non può essere eluso.
La delocalizzazione d'impresa non può essere criminalizzata in economia aperta, ma semmai va accompagnata perché comunque è uno strumento di internazionalizzazione e penetrazione nei mercati esteri.
Non è un mistero che la Germania sia riuscita a sostenere comunque la sua economia pur avendo delocalizzato le sue produzioni.
In altri termini, bisogna pensare a sostenere il "made in italy" ma anche il "made by Italy" promuovendo maggiore innovazione e più ricerca, anche tramite l'università.
Per implementare questo disegno occorrono però meccanismi di mercato e "quasi mercato" in tutti i settori economici (anche in quelli pubblici), occorre "imprenditorializzare" la pubblica amministrazione e il pubblico impiego con una decisa azione di premio al merito ed alla produttività, sia individuale che collettiva, in base a precisi indicatori di risultato.

Quali prospettive per l'agricoltura?
Tutto quanto detto può essere altresì "calato" nel comparto primario: anche in questo settore però, la globalizzazione del commercio dei prodotti agricoli non può pertanto essere "selvaggia" minando non solo le quote di mercato dei nostri produttori ma perfino la tutela della salute e della sicurezza dei cittadini.
La vicenda del latte alla melanina, che ha visto di recente il sequestro di circa 10 quintali di questo prodotto, così come pure il caso delle sofisticazioni alimentari sui prodotti a base di pomodoro, sollecita le istituzioni a mantenere a massimi livelli l'attenzione sul fenomeno come a tutti i casi in cui la libertà di commercio possa mettere in pericoli valori basilari della convivenza civile.
Vi sono però dei problemi, anche qui strutturali, che necessitano di essere aggrediti con decisione.
I risultati della prima indagine sulle abitudini alimentari dopo l'esplosione della crisi finanziaria, ci rende evidenza dell'influsso delle ricadute degli accadimenti internazionali anche sul settore che eravamo abituati a ritenere il più immune al contesto economici esterno, il settore primario.
Il tema dei prezzi, con l'accordo tra Coldiretti e associazioni dei consumatori per l'avvio per la prima volta in Italia di una rete di mercati di campagna amica a prezzi calmierati offre un esempio della necessità di individuare soluzioni nuove rispetto al passato per fare fronte al crescente problema dell'impoverimento delle famiglie.

I dati Istat sull'andamento dell'inflazione nel mese di settembre indicano infatti che mentre le famiglie spenderanno circa 8 miliardi di euro in più nel 2008 per le necessità alimentari, nelle campagne si assiste ad un calo generalizzato dei compensi.
La stampa ha dato ampio risalto agli aumenti della pasta che ha raggiunto valori medi di 1,6 euro al chilo nonostante il prezzo del grano duro sia praticamente dimezzato attorno ai 0,28 euro al chilo.
Anche in questo caso mi si consenta di complimentarmi con le azioni in corso sia sul versante informativo (il numero verde sui prezzi) che sulle azioni strutturali di più ampio respiro.
Il danno generato da questa situazione è quindi duplice perché da una parte si verifica una stagnazione dei consumi che riduce le potenzialità produttive delle imprese e dall'altro non consente una adeguata remunerazione del prodotto agricolo che, in tanti casi, non copre i costi vivi di produzione, anch'essi peraltro in costante e non controllata crescita.

Il problema riposa, come è noto, soprattutto nelle distorsioni e nei troppi passaggi esistenti nel percorso dei prodotti dal campo alla tavola durante il quale i prezzi lievitano.
La soluzione, nell'immediato, può essere quella proposta dalla coldiretti di costruire un sistema di accorciamento e razionalizzazione della filiera, che consenta di contenere gli aumenti del prezzo al consumo per i prodotti alimentari e allo stesso tempo di ripartire più equamente il valore aggiunto creato nella filiera attraverso l'adesione di imprese, di cooperative, di consorzi, ponendo criteri di semplificazione e razionalità.
Dai mezzi tecnici, ai servizi, dalla produzione alla trasformazione associata, sino alla vendita diretta da parte dei produttori.
Alla politica spetta invece la soluzione più ampia, di sistema e di respiro temporale lungo.
Nei primi sei mesi del 2008 sono nate in Italia quasi 19mila giovani imprese agricole.

Il numero di queste ha superato nel primo semestre dell'anno quelle nate nel settore industriale ed oggi in Italia si stima che siano quasi centomila i giovani sotto i trentacinque anni che hanno scelto di porsi alla guida di aziende agricole per avere successo, ma anche per poter esprimere la propria creatività e avere un rapporto diretto con la natura.
Questo ci rende fiduciosi, ma la politica deve rafforzare questo trend creando le condizioni affinché si possa investire in formazione e ricerca in modo innovativo mettendo al centro l'impresa.
Il tema della qualità dei prodotti assume poi un ruolo centrale.
La grande maggioranza dei cittadini italiani ed europei boccia la possibilità che latte, formaggi e carne provenienti da animali clonati arrivino sulle tavole per motivi ambientali, etici, sanitari ed economici, avendo peraltro ben chiaro il significato della nuova tecnica.
Dalle analisi di coldiretti emerge come il 79 per cento degli italiani conosce infatti in cosa consiste la tecnica della clonazione animale, ma ritiene che siano chiari gli effetti di lungo periodo sulla natura.
Resta da chiedersi quale può essere lo strumento da utilizzare per lo sviluppo di una agricoltura di qualità.

In proposito, è chiaro che il calo del valore aggiunto dell'industria di trasformazione, i prezzi crescenti delle materie prime, la sempre maggiore attenzione ai temi dell'ambiente e del territorio ci spingono verso la direzione di una crescita sostenibile che sappia valorizzare la risorsa territorio.
Un progetto complessivo per lo sviluppo non può pertanto che basarsi sulla cultura, e più precisamente sulla simbiosi tra cultura e turismo, cultura ed artigianato, cultura ed agricoltura coinvolgendo in misura crescente gli investitori privati.
Per creare un'agricoltura rispettosa delle nostre vocazioni e capace di sfidare i mercati occorre pertanto preservare e conciliare, all'un tempo, sia la qualità delle produzioni che la sostenibilità ambientale e la sicurezza alimentare.
Grazie al turismo rurale e compatibile si può proporre un modello di sviluppo equilibrato, sostenibile e adatto alle diverse esigenze dei consumatori.
Attraverso queste direttrici si può realizzare l'obiettivo di fare sì che quando si compra un made in Italy ci si impossessa di una cultura.
Occorre pertanto ritornare a dare attenzione all'economia reale, per una nuova etica del capitalismo.

In conclusione, passando dall'economia all'etica, sono evidenti anche le storture che l'assenza di solide regole etiche nella conduzione dell'economia e della finanza producono a livello generale.
Sarà forse utopia, ma fino quando potremo pensare di poter vivere in assenza di regole che garantiscano che gli operatori finanziari non perseguano solo il massimo profitto a breve termine a scapito delle prospettive di sviluppo nel lungo termine dell'investimento e del credito?
Fino a quando potremo pensare che si possa condurre l'attività bancaria e finanziaria con le tecniche di "impacchettamento" del rischio e del suo trasferimento ad altri soggetti più o meno consapevoli, tramite i prodotti finanziari strutturati?
L'accento deve tornare sulla economia reale, sulla produzione di beni a costi competitivi e in regime di concorrenza, con la massima apertura al commercio internazionale ma garantendo la tutela del consumatore.
E' necessaria una politica che senza rinunciare ai benefici del processo epocale di integrazione europea, sappia difendere in tutte le sedi utili, compresi i negoziati multilaterali, la tutela dei prodotti italiani, con la coscienza che difendendo i prodotti si tutela anche l'immagine, il prestigio e l'identità profonda di un popolo.

E' per questo che mi sento di lanciare un invito a incrementare gli sforzi per rilanciare le strategie europee per la crescita e l'occupazione.
Non vediamo ricette miracolistiche diverse o alternative, non esistono, come dicono gli economisti, pasti gratis.
Prometterli significherebbe fare demagogia, il male peggiore che può capitare a chi pratica la politica nella più alta accezione del suo significato.
Vi ringrazio.