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Il Presidente: Intervento in Assemblea

Integrazione: diritti, doveri. La partecipazione democratica dei migranti strumento d'integrazione

Sono lieto di intervenire all'apertura del Convegno internazionale "Integrazione: diritti, doveri", organizzato dalla Federazione delle Colonie Libere Italiane in Svizzera e dalla Federazione Italiana Emigrazione Immigrazione.
Rivolgo un saluto particolare al collega Claudio Micheloni ed al dottor Rodolfo Ricci, che ci hanno illustrato le ragioni che hanno motivato l'organizzazione di questo convegno.
Accolgo in Senato, con particolare soddisfazione, una iniziativa di approfondimento promossa da realtà rappresentative dell'emigrazione italiana.

Ciò dimostra che i nostri connazionali residenti all'estero, oltre ad essere rappresentati nelle Assemblee parlamentari dai deputati e dai senatori eletti nella Circoscrizione Estero, possono parlare direttamente al loro Paese, organizzando e promuovendo stimolanti iniziative di divulgazione ed approfondimento fin nel cuore delle nostre Istituzioni.
La Federazione delle Colonie Libere Italiane in Svizzera, nata nel 1943, si distinse immediatamente per la preziosa azione di soccorso ai profughi italiani e stranieri in terra elvetica, e per il sostegno alla lotta di Liberazione in Italia.
Dalle sue fila emersero figure di rilievo nella vita pubblica del notro Paese, come Fernando Schiavetti, membro autorevole dell'Assemblea Costituente e senatore nella I Legislatura, ed Egidio Reale, più tardi ambasciatore d'Italia a Berna.

Attualmente, è ben nota l'opera insostituibile, in campo sociale, culturale, previdenziale e rappresentativo, svolta nei confronti dell'emigrazione italiana in Svizzera.
Il convegno ambisce a diffondere i risultati dell'esperienza vissuta in alcune realtà comunali e cantonali della Confederazione elvetica, a seguito del riconoscimento ai cittadini stranieri di alcuni diritti di partecipazione democratica.
Quest'opera di divulgazione e riflessione si pone l'obiettivo esplicito di offrire un contributo alle politiche nazionali di gestione dei flussi migratori, ed alle azioni positive rivolte all'integrazione nella nostra società delle persone immigrate.

Ritengo che sul dibattito italiano in tema di immigrazione, da venticinque anni a questa parte (cioè dal momento in cui il nostro paese ha iniziato ad essere meta di importanti flussi migratori), abbia influito negativamente la diffusa tendenza a contrapporre la cultura dell'accoglienza a quella della legalità.
Accoglienza senza legalità significherebbe infatti apertura indiscriminata delle frontiere ai giganteschi movimenti migratori del nostro tempo, senza alcuna cura per le reali prospettive di integrazione.
Legalità senza accoglienza significherebbe ridurre la complessità e la ricchezza del fenomeno migratorio ad una mera questione di sicurezza.
È stata proprio una solida cultura della legalità ad aver consentito ad altre società europee (che inizialmente, come sanno i nostri connazionali, non si sono rivelate molto accoglienti nei confronti dei lavoratori stranieri) di elaborare strumenti adeguati, condivisi dall'insieme della popolazione, di integrazione e partecipazione democratica degli immigrati.

La percezione, da parte dei cittadini, che questa nuova presenza non poteva alterare le regole fondamentali della convivenza, poiché si inseriva in un sistema consolidato di diritti e doveri e di buona amministrazione, senza creare zone franche di illegalità diffusa, ha consentito infatti di prevenire, in gran parte, eventuali reazioni xenofobe.
Un processo di integrazione civile e sociale può dirsi, infatti, davvero efficace quando consente a persone provenienti da culture molto diverse di cooperare allo sviluppo della medesima civiltà.
La diversità delle culture non è incompatibile - di per sé - con la piena integrazione: al contrario il pluralismo culturale può costituire una grande ricchezza, a patto che chi arriva concordi sulla bontà del modello di convivenza civile del Paese ospitante e desideri concorrere a svilupparlo.
È quanto accade, da sempre, negli Stati Uniti d'America, nei quali ogni immigrato aderisce ai valori dell'american way of life e contribuisce, con il suo bagaglio culturale, allo sviluppo di quel modello.

Per proporre un esempio più vicino alla nostra storia, basti pensare alla mia regione - la Sicilia - che ha vissuto i suoi momenti di maggiore splendore quando, al tempo della dominazione normanna, le diverse religioni e culture presenti sul suo territorio (la cristiana, l'araba, l'ebraica), anziché combattersi, collaborarono insieme allo sviluppo della medesima civiltà.
Chiunque visiti la Sicilia può ancora oggi ammirare le vestigia di quel meraviglioso incontro fra culture diverse.
L'integrazione degli immigrati può allora costituire una straordinaria occasione di sviluppo dell'intera società, a patto che siano condivisi i caratteri fondamentali del nostro modello di appartenenza civile e sociale.

In quest'ottica, il mondo della scuola e della formazione non può che costituire il primo e più importante terreno di una piena integrazione.
Al sistema scolastico è attribuito infatti un compito difficile ma determinante: in esso avvengono i primi passi, nella vita dei bambini e dei ragazzi immigrati, di quella mediazione tra la tradizione culturale italiana, i caratteri fondamentali del nostro modello di cittadinanza ed il patrimonio delle culture di origine, senza la quale è impossibile avviare una dinamica di inclusione civile e sociale.
Un ruolo fondamentale, a questo proposito, potrà essere svolto dal rafforzamento, nei primi due cicli scolastici, della formazione in materia di "cittadinanza e Costituzione", come previsto dal decreto-legge in materia di istruzione, recentemente convertito in legge dalle Camere.

Il Santo Padre Benedetto XVI, nel messaggio rivolto in occasione della Giornata mondiale del migrante 2008, si è soffermato sulla centralità della scuola come strumento d'integrazione, unica in grado di dare risposte alle difficoltà della "duplice appartenenza" vissuta dalle giovani generazioni di migranti: da un lato la forza della cultura d'origine e delle tradizioni familiari, dall'altro "il comprensibile desiderio di inseririsi organicamente nella società che li accoglie".
Sono certo che questo Convegno internazionale saprà offrire un prezioso contributo di conoscenza di altre qualificate esperienze di integrazione e di riflessione sui futuri sviluppi delle politiche italiane per l'integrazione dei migranti.
Rivolgo pertanto agli autorevoli relatori e a tutti i partecipanti i miei più cordiali auguri di buon lavoro.