Logo del Senato della Repubblica Italiana
Il Presidente: Intervento in Assemblea

Presentazione del libro di Mariapia Fanfani

Signora Mariapia, onorevoli colleghi, signore e signori,
nove anni or sono, in questo giorno di novembre, si concludeva la lunga e feconda esistenza terrena del senatore Amintore Fanfani.Il percorso della sua intensa vita pubblica ha coinciso, in gran parte, con la storia della nostra Repubblica, segnando con la sua determinante presenza ogni tappa della nascita, dello sviluppo e della maturità della nostra democrazia.

Amintore Fanfani era nato nel 1908 (nello scorso febbraio l'Assemblea del Senato ha ricordato il centenario della sua nascita), e nel 1930 si era laureato in economia presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Libero docente di storia economica a soli ventiquattro anni, aveva pubblicato nel 1933 il volume "Cattolicesimo e protestantesimo nella formazione storica del capitalismo", con il quale entrava nel dibattito sulle relazioni fra il contesto culturale e religioso e lo sviluppo economico, confrontandosi alla pari con i grandi del pensiero europeo. Quel lavoro, tradotto in molte lingue e più volte ristampato, ebbe un'eco fortissima in sede internazionale, soprattutto nel mondo anglosassone, al punto che molti anni dopo, incontrando Fanfani in visita ufficiale negli Stati Uniti, il Presidente Kennedy gli confidò che la lettura del suo volume era stata fondamentale per la sua formazione culturale, e addirittura per la sua decisione di entrare in politica.

Eletto all'Assemblea Costituente, divenne membro della Commissione per la Costituzione, offrendo un contributo determinante a quel prezioso ed ancora ineguagliato lavoro di sintesi fra i valori delle maggiori culture politiche dell'epoca: sua è, ad esempio, la paternità della formula "L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro", con la quale si apre la nostra Costituzione. A partire da quel momento iniziò - come tutti sappiamo - il suo straordinario cursus honorum nella vita della Repubblica: Ministro del lavoro, dell'agricoltura, dell'interno, Presidente del Consiglio dei Ministri, Segretario nazionale della Democrazia Cristiana, Ministro degli affari esteri, Presidente dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite (l'unico italiano, fino ad oggi, ad essere chiamato a quella altissima funzione).

Eletto per cinque volte Presidente del Senato, ricoprì questa carica per più di tredici anni complessivi, nell'arco di quattro Legislature, dalla Quinta alla Nona (secondo solo a Cesare Merzagora, che presiedette questa Assemblea per quattordici anni consecutivi), lasciando una impronta indelebile nella vita della nostra Istituzione. Sotto la sua presidenza, nel 1971, fu realizzata la più ambiziosa riforma dei Regolamenti parlamentari compiuta, finora, nella storia della Repubblica. Quel gigantesco sforzo di valorizzazione di tutte le funzioni parlamentari, nell'ottica del loro adeguamento alle mutate esigenze di una società in rapida trasformazione, disciplina ancora oggi, nelle sue linee fondamentali, la vita della nostra Assemblea.

Ciò che colpisce maggiormente, nel ripercorrere i capisaldi del pensiero e dell'azione di Amintore Fanfani, è constatare che alcune delle sue maggiori intuizioni sono ancora in grado di offrire risposte ai problemi del nostro tempo e, sapientemente adattate ai mutamenti dell'economia e della società, figurano ancora oggi tra le priorità d'azione degli organi di indirizzo politico. Penso, ad esempio, alla recente proposta del Governo, approvata dal Parlamento, di predisporre un nuovo "piano casa", che richiama nei contenuti e nelle modalità d'azione quel grande programma di edilizia residenziale pubblica che, sotto l'impulso determinante di Fanfani, costituì tra la fine degli anni '40 e l'inizio dei '60 uno straordinario volano per il rilancio della nostra economia, e contribuì a fare dell'Italia il Paese in cui la diffusione della proprietà della casa di abitazione è tra le più alte al mondo. Oppure, ancora, si pensi alle sue convinzioni circa i limiti di un'economia affidata esclusivamente alle forze del mercato, e l'importanza dell'intervento pubblico in funzione anticongiunturale, che nelle turbolenze finanziarie degli ultimi mesi hanno mostrato tutta la loro attualità, e che saranno probabilmente alla base dei futuri interventi di regolazione del mercato globale.

L'occasione di fare memoria di questa straordinaria figura di uomo e di politico ci è offerta, nell'anniversario della sua scomparsa, dalla pubblicazione del volume di Mariapia Fanfani "Mariapia Amintore: una fotografa un pittore". Qualunque presentazione di Mariapia Fanfani sarebbe superflua, tanto è nota ed apprezzata in tutto il mondo la sua opera - e quella delle organizzazioni umanitarie da lei fondate e dirette - in favore dei poveri, dei diseredati, dei rifugiati, di quanti patiscono nel corpo e nello spirito la violenza dell'uomo, i tormenti della fame e della miseria e le calamità della natura.

I tanti episodi narrati nel volume, accanto a vivide immagini della vita familiare di Amintore Fanfani, colte dall'obiettivo della sua consorte, oltre a dimostrare ancora una volta, se mai ce ne fosse stato bisogno, lo straordinario talento fotografico dell'autrice, offrono al lettore uno sguardo inedito sulla grande passione di Fanfani per la pittura. Egli visse questa attitudine con impegno e competenza, come in tutti gli altri campi dell'agire umano in cui mise alla prova la sua straordinaria volontà.

L'autrice si sofferma sul valore metafisico che l'espressione pittorica aveva per suo marito: essa era, cioè, un inatteso strumento per esercitare la sua straordinaria sensibilità, e riflettere, da autentico cristiano quale egli era, sul valore del trascendente nella vita e nella storia. In questi dialoghi di fronte al cavalletto, nel suo studio di pittore al cui accesso ammetteva solo le persone che gli garbavano veramente (come avrebbe detto lui), traspare un Fanfani talora inedito e sorprendente, ma soprattutto emerge distintamente la fitta trama di valori esigenti e di radicate convinzioni etiche che guidavano tanto la sua vita privata quanto la sua azione politica.

Nella vita pubblica, la sua profonda eticità, la costante tensione verso gli ideali della giustizia sociale, permeata da un'adesione piena e matura alla dottrina sociale della Chiesa, traspaiono, in particolare, nel modo di concepire l'intervento dello Stato nell'economia: nella visione fanfaniana, come ha osservato Pietro Scoppola, "la realtà ineludibile del mercato, con le sue dinamiche proprie" si affianca sempre alla "possibilità e alla necessità di un intervento correttivo, ispirato a valori etici e destinato a tradursi in una politica economica". La sua lettura, profondamente cristiana, della condizione umana impediva però di concepire il povero come un mero destinatario di politiche sociali. Se infatti il dolore e la miseria, secondo una visione cristiana, sono ineliminabili dalla condizione umana, si imponeva allora un approccio più alto ed esigente, che alla ricerca degli strumenti politici per ridurre le diseguaglianze sociali affiancasse una piena condivisione verso il destino di chi è più sfortunato, rifiutando ogni indifferenza, che per Fanfani era il peccato più grave.

Proprio in nome di questo rifiuto dell'indifferenza si impegnò con decisione, nei diversi ruoli pubblici ricoperti ed anche a titolo personale, per lo sviluppo delle pacifiche relazioni tra i popoli: è ben noto a tutti, ad esempio, il ruolo determinante svolto da Fanfani per la soluzione della crisi dei missili sovietici a Cuba nel 1962. Incoraggiò inoltre pienamente l'opera umanitaria della sua energica consorte, persuaso che la migliore garanzia della pace fosse nella lotta alla povertà, e che la migliore garanzia dello sviluppo umano fosse nella prevenzione dei conflitti bellici. Uno stretto legame che, pochi anni dopo, sarà ribadito dal Santo Padre Paolo VI nell'enciclica Populorum progressio, con la notissima formula: "sviluppo è il nuovo nome della pace".

Questo è ciò che traspare nitidamente dal volume di Mariapia Fanfani: questa presentazione è, inoltre, una gradita occasione per formulare all'autrice, in prossimità del suo 86° compleanno, i più affettuosi auguri, insieme ad un sincero ringraziamento per aver condiviso con noi, e con tutti i lettori, le immagini e le vicende della vita familiare di due coniugi così illustri, anche a costo di rendere più vivo quel senso di mancanza che dura dal giorno in cui, come ha scritto, Amintore Fanfani è stato strappato agli uomini per essere consegnato alla storia. Questo volume è infatti, essenzialmente, un monumento all'amore coniugale: quell'amore che consiste, come scrisse il conte di Saint Exupery, nel "guardare insieme verso la stessa meta". Per Amintore e Mariapia Fanfani questa meta è stata il bene dell'Uomo, ciascuno con gli strumenti che la vita ha voluto mettere a sua disposizione.

La migliore epigrafe per quella straordinaria figura è, allora, proprio nelle parole che pronunciò il collega Francesco Cossiga, richiamando il capitolo 25 del Vangelo di Matteo: "Ad Amintore Fanfani molti talenti furono donati; ed egli, da servo buono e fedele, bene li impiegò al servizio dei suoi unici padroni: Iddio, e per amore di lui, l'Uomo".