Il Presidente: Intervento in Assemblea
Sulla scomparsa di Carlo Caracciolo
Onorevoli colleghi, nella serata di ieri, all'età di 83 anni, si è spento nella sua casa romana, dopo una lunga malattia, l'editore Carlo Caracciolo. Tratteggiare la biografia di quest'uomo, elegante e coraggioso, innamorato della vita e della professione di editore, significa ripercorrere in qualche modo la storia del giornalismo italiano dell'ultimo mezzo secolo.
Dopo l'esperienza partigiana in Val d'Ossola, la laurea in giurisprudenza a Roma e il perfezionamento ad Harvard, si era dedicato all'editoria, fondando una piccola casa editrice di riviste tecniche, rivolte al mondo dell'industria. Nel 1955, assieme a quell'altra straordinaria figura dell'imprenditoria italiana che fu Adriano Olivetti, aveva partecipato alla fondazione del settimanale «L'Espresso», per poi assumere, l'anno successivo, il ruolo di azionista di maggioranza.
Nel 1976, nel momento in cui la gestione del settimanale iniziava a consolidarsi, non esitò a tornare a rischiare, ponendo le sue straordinarie doti di audacia imprenditoriale e di coraggio civile al servizio dell'ambizioso obiettivo di costituire un grande quotidiano nazionale. Il Gruppo editoriale da lui diretto fu allora tra i protagonisti della fondazione del quotidiano «la Repubblica».
Questa propensione al rischio, in nome della valorizzazione della professione giornalistica e di una significativa presenza civile e culturale nella società, lo condusse ad intervenire, fino agli ultimi anni della sua vita, in imprese editoriali che apparivano ai più assai difficili, com'è avvenuto nel 2007, per il salvataggio del quotidiano francese «Libération».
Quest'ultima impresa gli valse presso la stampa d'oltralpe l'appellativo «l'uomo che non ama veder morire i giornali». Non si trattava soltanto di acume imprenditoriale: per Carlo Caracciolo l'editoria costituiva un poderoso strumento di impegno civile e culturale, il canale attraverso il quale esprimere una nobile ed irrefrenabile passione politica, vissuta però con lo stile e la misura che l'hanno sempre contraddistinto.
Con la sua scomparsa, l'Italia perde un editore vero, tra i pochi in grado di coniugare cultura e mercato, progetti commerciali e impegno politico. A nome di tutta l'Assemblea e mio personale, esprimo quindi il più sentito cordoglio e una viva partecipazione al dolore della sua famiglia, dei giornalisti, dei dipendenti del gruppo editoriale l'«Espresso» e delle numerose società editoriali nelle quali svolse un ruolo da protagonista.
Invito pertanto tutti i colleghi ad osservare un minuto di raccoglimento. (L'Assemblea osserva un minuto di raccoglimento).
Dopo l'esperienza partigiana in Val d'Ossola, la laurea in giurisprudenza a Roma e il perfezionamento ad Harvard, si era dedicato all'editoria, fondando una piccola casa editrice di riviste tecniche, rivolte al mondo dell'industria. Nel 1955, assieme a quell'altra straordinaria figura dell'imprenditoria italiana che fu Adriano Olivetti, aveva partecipato alla fondazione del settimanale «L'Espresso», per poi assumere, l'anno successivo, il ruolo di azionista di maggioranza.
Nel 1976, nel momento in cui la gestione del settimanale iniziava a consolidarsi, non esitò a tornare a rischiare, ponendo le sue straordinarie doti di audacia imprenditoriale e di coraggio civile al servizio dell'ambizioso obiettivo di costituire un grande quotidiano nazionale. Il Gruppo editoriale da lui diretto fu allora tra i protagonisti della fondazione del quotidiano «la Repubblica».
Questa propensione al rischio, in nome della valorizzazione della professione giornalistica e di una significativa presenza civile e culturale nella società, lo condusse ad intervenire, fino agli ultimi anni della sua vita, in imprese editoriali che apparivano ai più assai difficili, com'è avvenuto nel 2007, per il salvataggio del quotidiano francese «Libération».
Quest'ultima impresa gli valse presso la stampa d'oltralpe l'appellativo «l'uomo che non ama veder morire i giornali». Non si trattava soltanto di acume imprenditoriale: per Carlo Caracciolo l'editoria costituiva un poderoso strumento di impegno civile e culturale, il canale attraverso il quale esprimere una nobile ed irrefrenabile passione politica, vissuta però con lo stile e la misura che l'hanno sempre contraddistinto.
Con la sua scomparsa, l'Italia perde un editore vero, tra i pochi in grado di coniugare cultura e mercato, progetti commerciali e impegno politico. A nome di tutta l'Assemblea e mio personale, esprimo quindi il più sentito cordoglio e una viva partecipazione al dolore della sua famiglia, dei giornalisti, dei dipendenti del gruppo editoriale l'«Espresso» e delle numerose società editoriali nelle quali svolse un ruolo da protagonista.
Invito pertanto tutti i colleghi ad osservare un minuto di raccoglimento. (L'Assemblea osserva un minuto di raccoglimento).