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Il Presidente: Intervento in Assemblea

Discorso alla Scuola di formazione politica PdL di Gubbio

Cari amici,
voi sapete bene quanto sono legato a questo appuntamento di Gubbio al quale non sono mai mancato, dapprima da capogruppo e adesso, per il secondo anno consecutivo, da Presidente del Senato: un ruolo che mi impone un dovere di terzietà che non è rifiuto di assunzione di responsabilità politiche, bensì rispetto del dovere non soltanto formale ma anche sostanziale di neutralità.
E' una scommessa che ho fatto con me stesso. Una scommessa che coinvolge anche l'interesse di tutto il Popolo delle libertà, e cioè dimostrare che la classe dirigente del Pdl, quando è chiamata a ruoli di garanzia, si sforza di abbandonare,posizioni politiche di parte.

Mi conforta la consapevolezza che comprendete questa mia scelta, ben ricordando il mio passato di capogruppo, durante il quale ho cercato di dare il meglio di me stesso nella conduzione della mia splendida squadra e nel contribuire a portare avanti il progetto di Forza Italia.
Oggi parliamo di libertà, questo è il tema del convegno: come affermava don Gianni Baget Bozzo "Il '900 è terminato con la vittoria della libertà".

A Gianni Baget Bozzo, che ci ha lasciati recentemente e che è stato per tutti noi del Pdl un faro con le sue idee, con il suo pensiero politico, con la sue grandi schiettezza e sensibilità, va il mio ricordo commosso.
Non dimentichiamo i suoi insegnamenti; facciamone tesoro.
Abbiamo ricordato, nei giorni scorsi, il 70° anniversario dello scoppio del secondo conflitto mondiale.
Lo abbiamo fatto consapevoli che il '900 resta segnato dalle tragedie dei totalitarismi, ma anche dalla volontà di riscatto che portò i nostri padri a costruire, dopo la guerra, istituzioni democratiche libere e indipendenti.

La nostra Carta costituzionale ha il suo nucleo immodificabile in quel catalogo dei diritti che apre la sua prima parte.
La pienezza del godimento di questi diritti e il loro sviluppo ha garantito la pace e la prosperità della nostra Repubblica.
Quei diritti Costituzionali che il Presidente della Repubblica, a cui va il saluto di tutti noi, ci ricorda con i suoi interventi di stimolo a loro tutela.
E con orgoglio dobbiamo rivendicare quanto questi principi siano oggi radicati nella nostra società e nella vita delle istituzioni repubblicane.

Troppo spesso, invece, trasciniamo in un'inutile polemica politica una materia, quella dei diritti, che deve costituire come in ogni democrazia matura, il quadro di valori da tutti condivisi e rispettati.
Diritti che la nostra Costituzione associa ai doveri: "I doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale", il dovere di fedeltà alla Repubblica.
In questo equilibrio tra diritti e doveri, voluto dai padri costituenti, risiede la forza dell'Italia repubblicana, della sua comunità e delle sue istituzioni.

Lo abbiamo efficacemente dimostrato in momenti duri della nostra storia, in cui la pacifica convivenza è stata sfidata da attacchi radicali come quello del terrorismo.
La nostra vita, come comunità nazionale, si fonda e trae alimento dal rispetto di questi principi fondamentali.
Cronache morbose inutilmente scandalistiche sembrano dimenticarsi di questo equilibrio, che nutre invece il ruolo essenziale di garanzia democratica e di formazione della opinione pubblica che gli strumenti di informazione devono svolgere in un paese democratico.

Di fronte alla crisi della rappresentanza come l'abbiamo conosciuta negli ultimi anni del secolo scorso, la politica ed anche la stampa sono chiamate a trovare forme e strumenti più adeguati ai tempi.
Dobbiamo tutti lavorare con più attenzione sulla qualità dell'interazione tra poteri pubblici e cittadini.
La qualità della nostra democrazia infatti non si può ridurre al momento della scelta elettorale.
Serve un lavoro di avvicinamento, di confronto, di scambio, di informazione.

E' questa una sfida per la politica ma è questa anche una sfida per la stampa.
Di fronte ai cambiamenti epocali, di fronte alle grandi questioni della nostra società, non fa bene vedere il dibattito pubblico trascinato in sterili polemiche, animate a volte da uno spirito fazioso.
La sfida della stampa è quella di non farsi dettare l'agenda da polemiche miopi, che stravolgono e danneggiano l'immagine vera del nostro Paese, ma piuttosto di animare un dibattito pubblico alto con una reale capacità di investigazione di lettura della complessità della realtà.
Una complessità che non potrà mai essere nemmeno sfiorata se si continua a leggere la storia politica dei nostri giorni attraverso lo sterile e futile chiacchiericcio, se non addirittura il vilipendio.

Una volta di più voglio levare alto il richiamo a tutti politici e giornalisti a confrontarsi in modo vero sulle questioni che attraversano la vita del nostro Paese, nel comune interesse nazionale e con la consapevolezza di contribuire a costruire istituzioni più forti, all'altezza delle sfide del nuovo millennio.
La libertà di stampa nel nostro Paese è garantita.
Non vedo nubi che possano seppure minimamente limitarne l'esercizio.

Ogni giornalista può esprimere liberamente le proprie idee e manifestare il suo pensiero.
Ed è sacrosanto che sia così.
Ma tutto ciò deve avvenire senza mai travalicare i limiti della verità, dell'onorabilità e del rispetto della persona, perché la libertà di cronaca, di critica politica, anche aspra e forte, non deve mai degenerare in libertà di ingiuria, di calunnia, di diffamazione.
Informare sì. Criticare sì. Offendere no.

La libertà che possediamo nel nuovo millennio, ci impone di non vanificare i sacrifici che hanno portato ad una così alta conquista.
Per questo dobbiamo tornare ad un vero e costruttivo dialogo con tutte le forze politiche. Dobbiamo cercare con determinazione e forte volontà il confronto tra le parti, che troppo spesso è mancato o si è affievolito.
Occorre tornare ai progetti, alle alternative, ai contenuti e non alle offese.
Il consenso non cresce con gli attacchi personali, ma si alimenta con i contenuti della politica.
Oggi è il momento di esercitare la politica "senza risentimenti e prevenzioni", perché è necessario instaurare un periodo di dialogo costruttivo tra maggioranza e opposizione.

Il Pdl è un grande partito e proprio per questo deve avere la capacità e la volontà di trovare punti di confronto con l'opposizione su temi importanti come è stato sul federalismo fiscale.
L'agenda politica ci pone continue sfide su temi delicati e complessi che vanno affrontati con saggezza ed equilibrio.
Sui temi etici deve valere per tutti e senza discriminazioni un principio di civiltà: la libertà di coscienza.
A quella libertà di coscienza a cui si sono ispirati tutti i Senatori quando hanno votato sul biotestamento.Ed hanno votato dopo lunghi dibattiti svoltisi in commissione, in aula, ed all'interno dei propri gruppi.

Su questo aspetto, posso affermare con tutta coscienza, che in Senato si è discusso approfonditamente, per come era giusto che fosse.
La libertà di coscienza non può essere confusa con l'assenza di responsabilità.
Significa non solo tolleranza, ma anche rispetto per chi la pensa diversamente da noi.
Non si può immaginare una libertà di coscienza riconosciuta a fasi alternate.
Oggi si corre il rischio che chi si ispira liberamente ad una sensibilità religiosa sia discriminato perché ritenuto pregiudizialmente condizionato.
Non si possono considerare alcune coscienze più libere di altre.
Dire che chi è cattolico è anche clericale è semplicemente sbagliato.

Il nostro Stato è laico, ma deve essere rispettoso nei confronti della nostra religione, perché essa fa parte della nostra identità culturale.
Il tema della libertà riguarda anche l'immigrato che fa ingresso nel nostro Paese.
Nell'affrontare questo argomento, dobbiamo sempre ricordare che ogni Stato, così come ha fatto il nostro, nel legiferare, ha il diritto-dovere di regolamentare la materia.
Si è fatto e continuiamo a farlo soprattutto a tutela degli italiani.
Ho più volte ribadito la necessità che gli ingressi siano regolari, perché chi entra a fare parte della nostra comunità possa essere destinatario di diritti ma anche di precisi obblighi e doveri.

Chi viene nel nostro Paese deve imparare a rispettare le nostre leggi, la nostra cultura, deve potere lavorare con le garanzie che il nostro Stato concede a chi risiede nel nostro territorio; deve sapere integrarsi nel nostro tessuto sociale, deve vivere onestamente.
E' da comportamenti corretti e rispettosi che può nascere la vera integrazione; così si evita di alimentare sentimenti di insofferenza.
Ma vi è una immigrazione clandestina che continua a rappresentare un'emergenza di fronte alla quale ognuno di noi, senza schieramento di partito, è chiamato a suggerimenti e proposte.
L'Italia, proprio per la sua posizione geografica, è uno dei Paesi della Comunità europea che risente maggiormente di questo fenomeno.

Nonostante gli sforzi portati avanti fino ad oggi, siamo in presenza di una questione della quale la nostra Nazione non può più farsi carico da sola.
Il problema è divenuto europeo ed è l'Europa ad essere chiamata in prima persona a svolgere interventi ed azioni collettive con un impegno sempre maggiore e diretto.
Non possono essere sufficienti interventi saltuari e sporadici; la Comunità Europea deve farsi carico di questa realtà che travalica i nostri confini così come quelli degli altri Paesi maggiormente interessati al primo ingresso degli immigrati.
In questo contesto non posso però non ricordare che l'immigrazione non riguarda aride statistiche; ha ad oggetto l'uomo nei confronti del quale ognuno di noi ha il dovere del rispetto e di umanità.

Parlo di chi è stato costretto a lasciare la propria terra di origine perché mortificato dalla mancanza dei diritti fondamentali e chiede asili politico.
In questi casi occorre trovare un punto di mediazione fra fermezza e solidarietà. Occorre, cioè, individusre dei sistemi rigorosi di accertamento dei requisiti per l'asilo politico possibilmente presso i paesi di provenienza, e ciò attraverso una forma di collaborazione tra Stati di cui l'Europa deve farsi carico.
In quest'ottica dobbiamo concorrere tutti alla piena integrazione; dobbiamo riconoscere che il flusso di immigrazione in Italia, che ha colmato vuoti in settori lavorativi abbandonati dai nostri connazionali, ci ha offerto nel giro di pochi anni e con un'accelerazione inaspettata, un panorama di persone appartenenti anche a razze diverse dalla nostra.

Se riteniamo - ed è un dato obiettivo - che queste persone rappresentino un patrimonio di ricchezza per il nostro Paese, dobbiamo avere nei loro confronti gli stessi sentimenti di amicizia e di tolleranza che abbiamo verso gli italiani.
Non possiamo e non dobbiamo accettare che frange, seppure estremamente limitate, del nostro Paese possano nutrire atteggiamenti di ostilità o ancora peggio di razzismo.
Non possiamo e non dobbiamo accettare chi assume atteggiamenti di intolleranza; dobbiamo bandirli e censurarli pesantemente.
Ho ancora impressa l'immagine dell'indiano ustionato da alcuni balordi e tuttora sottoposto a innumerevoli interventi chirurgici per potere tornare a vivere un'esistenza normale.

Sembra quasi che chi lo ha condannato a queste interminabili sofferenze non abbia inteso riconoscere il diritto alla vita di ogni essere umano.
La ribellione e l'indignazione di fronte a fatti di questo tipo deve essere di tutti; l'esempio deve partire da noi adulti, da noi politici, a nessuno può essere consentito di pronunciare parole, frasi che manifestino sentimenti di odio verso le altre razze.
Più volte nel corso dei mesi estivi abbiamo assistito ad un dibattito sul riconoscimento del diritto alla cittadinanza.
Non entro nel merito dello jus soli e dello jus sanguinis.
Voglio soltanto ricordare che la legge del Governo Amato sul diritto alla cittadinanza è del 1992 per cui non la si può considerare superata dai tempi.
Perché riconosce lo jus sanguinis senza limite di generazioni ai discendenti degli italiani emigrati.
Perché riconosce lo jus soli per naturalizzazione, dopo dieci anni di residenza legale in Italia, a condizione di assenza di precedenti penali e di adeguate risorse economiche.

Perché riconosce a seguito di matrimonio con un italiano, dopo due anni di convivenza il diritto alla cittadinanza.
Perché riconosce ai figli degli immigrati al raggiungimento della maggiore età, il diritto di richiedere la cittadinanza italiana.
Perché, infine in presenza di determinati casi, attribuisce facoltà discrezionale di concedere la cittadinanza al di fuori di quei limiti.
E' una legge che privilegia lo jus sanguinis.
Come non riconoscere, infatti, precedenza alla possibilità di cittadinanza a quei figli dei nostri emigrati in cui scorre sangue italiano e che sono stati costretti a lasciare la loro patria perché in cerca di lavoro?
Non ci dobbiamo sentire in debito per il fatto di averli costretti ad emigrare?
Ai discendenti dei tanti immigrati che lasciarono l'Italia, non solo quelli del meridione ma anche uomini del profondo Nord, siamo legati da un filo diretto, cromosomico, culturale e religioso che non possiamo e non dobbiamo spezzare.

Certo, ogni legge è perfettibile, suscettibile di modifiche e variazioni sulla base di nuove evenienze che lo Stato italiano ritenga necessario prendere in esame, per cui non entro nel dibattito sulla congruità o meno del decorso del decennio perché l'immigrato possa ottenere la cittadinanza italiana.
Ritengo, tuttavia, assolutamente necessario che siano fatti rigorosamente salvi i principi della italianità attraverso non soltanto la conoscenza della nostra lingua e della nostra Costituzione, ma della nostra storia, dei sacrifici che ci hanno portato all'unità e all'indipendenza, alla nostra cultura e ai nostri valori.
Alla cittadinanza seguirà poi il diritto di voto per qualunque tipo di competizione.
Ed è anche corretto che il diritto di voto sia subordinato alla cittadinanza, sia che si tratti di voto politico che amministrativo.
Mi riesce difficile condividere l'attribuzione del diritto di voto sulla base del semplice possesso di un permesso di soggiorno.
Vota chi è cittadino italiano.

E questo perché non esistono diritti di voto più o meno importanti come quello amministrativo che possano essere esercitati senza la cittadinanza, soprattutto perchè l'imminente federalismo conferirà agli enti territoriali un ruolo di maggior peso rispetto al passato.
Voglio dire, cioè, che la futura identità degli enti locali e la sempre più crescente assunzione di responsabilità da parte delle regioni, tendono ad attribuire al momento elettorale una dignità di importanza pari a quella del voto per le elezioni politiche.
Libertà dell'individuo significa libertà dall'oppressione che le organizzazioni criminali continuano ad esercitare sul nostro tessuto sociale.
L'ho già detto e non mi stancherò di ripeterlo, forse perché provengo da una regione dove questo problema è ancora attuale e vivo: la criminalità organizzata è una piaga da abbattere, rappresenta una seria e concreta minaccia per la libertà personale dei cittadini e per l'attività delle imprese.
Nessuno potrà dire che viviamo in un Paese pienamente libero finchè troppi imprenditori dovranno pagare il pizzo e finchè in troppi quartieri le regole non saranno dettate dallo Stato.

L'impegno contro le associazioni criminali è impegno per la legalità, ma anche per la libertà, per la civiltà e per lo Stato di diritto che è la prima e fondamentale garanzia della libertà personale di ognuno di noi.
Parlamento e Governo devono continuare a produrre il massimo sforzo per contribuire ad abbattere quella che agli occhi del mondo globalizzato rappresenta una macchia intollerabile per il nostro Paese.
Tanto si è fatto e il mio riconoscimento va a tutti i Governi che si sono succediti.
In questo scorcio di legislatura sono state proposte dal Governo ed approvate dal Parlamento misure di contrasto alla criminalità organizzata di estremo rigore quali l'inasprimento del carcere duro e dei sequestri dei patrimoni mafiosi.
Nello stesso periodo, inoltre, è proseguita incessantemente e con grandi successi la cattura di super latitanti da parte delle Forze dell'ordine ed è aumentata la spirale dei sequestri dei patrimoni mafiosi.

Devo riconoscere, cioè, e di questo me ne compiaccio, che in questo ultimo anno il contrasto alla criminalità organizzata non ha conosciuto nemmeno per un attimo alcun momento di pausa o di incertezze.
Di ciò dobbiamo essere grati al Governo, al Parlamento, all'incessante lavoro della Magistratura e delle Forze dell'Ordine.
Una Magistratura per il cui lavoro, autonomia ed indipendenza nutro il massimo rispetto.
Ma che mi piace di più quando si occupa, a volte addirittura pagandone il prezzo in prima persona, del contrasto diretto e senza quartiere alla mafia per distruggerne l'organizzazione territoriale, sradicandone le sue radici velenose e profonde.
Mi piace meno, invece, quando alcuni singoli magistrati, seguendo percorsi contorti e nebulosi ed avvalendosi di dichiarazioni di collaboratori di giustizia che parlano per sentito dire, tendono a riproporre teoremi politici attraverso l'evocazione di fantasmi di un passato lontano che avrebbe visto congiure contro il regolare assetto delle Istituzioni.
La criminalità organizzata, tra l'altro, affligge una parte del Paese che già soffre di una economia debole.

Il Sud è un problema nazionale: pil, discoccupazione, infrastrutture sono le cifre del ritardo.
Se non cresce il Sud, in termini di PIL e occupazione, non cresce l'Italia.
Non esistono alternative.Ed il Governo deve farsene una ragione.
Ma il Sud ha in sé le energie positive per ripartire
L'importante è ovviamente voltare pagina rispetto ad un passato di sprechi di risorse pubbliche, di cattedrali nel deserto, di scandali grandi e piccoli: la classe dirigente locale del mezzogiorno non ha più alibi rispetto a questo stato di cose.
Al sud, per lo Stato la priorità è spendere bene le risorse
Se vogliamo parlare da figli del Sud, ma anche da persone libere che non si nascondono i problemi e non vogliono fare del mezzogiorno uno strumento di propaganda politica, dobbiamo confrontarci con questa necessità: utilizzare al meglio le risorse pubbliche.
Il nuovo secolo si è aperto con la più drammatica delle prove di forza del terrorismo islamico, punta estrema di un fondamentalismo in preoccupante violenta crescita.
Questa è al momento la massima minaccia per i valori della libertà individuale.

Oggi è l'anniversario dell'11 settembre. Otto anni fa l'attacco brutale di un nemico invisibile ha mietuto vittime innocenti, colpendole nella loro vita quotidiana.
Il nostro ricordo commosso va alle migliaia di persone che hanno perso la vita, va ai loro parenti, ai sopravvissuti, tragicamente ed eternamente segnati da quanto accaduto.
L'Italia è da sempre impegnata contro il terrorismo.
Contro questo nemico, insieme a tutta la comunità internazionale, ci stiamo battendo proprio in questi giorni in Afghanistan, aiutando questo Paese a costruire istituzioni libere e forti.
E lo stiamo facendo con impegno, coraggio e senso di umanità.
Vorrei con orgoglio e gratitudine ringraziare tutti i nostri soldati quelli che sono in Afghanistan ma anche tutti quelli che hanno operato in missioni di pace all'estero.
Un pensiero particolare va ai nostri militari caduti.

La fine del totalitarismo e del nostro confronto con i regimi comunisti ha poi prodotto anche da noi una crisi della politica.
Il nostro partito e le forze che gli hanno dato vita hanno voluto rappresentare la prima e costruttiva risposta a questa crisi.
Troppo spesso e troppo facilmente si ironizza sull'uso dei media, dei sondaggi, di forme alternative di partecipazione fondate anche sul carisma personale della leadership politica.
Ma è certo che oggi la legittimità delle istituzioni democratiche passa anche per la costruzione di legami e strumenti nuovi, di una democrazia che deve essere più partecipativa e più attenta ai legami di prossimità con i propri cittadini.
Dobbiamo quindi tutti lavorare con più attenzione sulla qualità del rapporto tra poteri pubblici e cittadini.
La qualità della nostra democrazia infatti non si può ridurre al momento della scelta elettorale.

Serve un lavoro di avvicinamento, di confronto, di scambio, di informazione.
È una sfida questa per il nostro partito ed anche per le istituzioni rappresentative.
Una sfida che dobbiamo cogliere nella consapevolezza del ridimensionamento del ruolo della politica, reso possibile proprio dalla vittoria della libertà, che ha segnato la fine del '900.
Ma anche nella consapevolezza che la politica non deve perdere l'ambizione di sognare progetti e anticipare soluzioni, deve rafforzare la sua dimensione culturale e insieme nutrirsi di una profonda carica etica.
Il Pdl possiede tutte le capacità: lo dimostra la nostra storia, il nostro percorso politico.
Oggi le varie anime che lo compongono hanno piena ed ampia libertà di espressione.

Si tratta di una prerogativa che sta alla base di ogni partito liberale, dove il confronto di idee costituisce garanzia di un percorso attraverso il quale potere arrivare alla migliore scelta politica condivisa.
Possono convivere posizioni a volte diverse su temi etici per i quali è stata sempre e comunque riconosciuta libertà di coscienza.
Ma sui temi strategici della politica italiana tutti noi abbiamo sempre assistito a comuni vedute, dopo ampi e liberi dibattiti.
Dibattiti ai quali ha anche preso parte una classe dirigente che negli anni si è formata e cresciuta, grazie alla quale abbiamo potuto raggiungere grandi successi elettorali e politici. Di ciò dobbiamo andarne fieri.
Vedo il Pdl come una casa aperta dove ci si può serenamente e liberamente confrontare senza alcun pericolo di anatemi o ostracismi.
Forte del patrimonio di storia e di esperienza dei suoi soggetti politici fondatori, sicuro nell'ancoraggio ai valori della nostra tradizione politica e culturale, memore delle battaglie parlamentari realizzate responsabilmente in Parlamento per l'affermazione delle nostre proposte, il nostro partito è chiamato a dare un contributo decisivo allo sviluppo del nostro Paese e della nostra Europa.
Ne sono sicuro, cari amici, e vi auguro quindi buon lavoro, pronto a tornare più intensamente tra voi quando questo alto ruolo cui sono stato chiamato sarà finito.