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Il Presidente: Intervento in Assemblea

30° anniversario dell'assassinio di Cesare Terranova e di Lenin Mancuso

Autorità, Signore e Signori, cari giovani,
oggi ricordiamo Cesare Terranova e Lenin Mancuso a trenta anni dal loro omicidio per mano mafiosa.
Alle 8 e 30 del 25 settembre 1979, Cesare Terranova saliva al volante della sua auto, per recarsi a presiedere la Corte d'Assise.
Gli sedeva a fianco Lenin Mancuso, maresciallo della Polizia di Stato, il suo più stretto collaboratore, al quale era stata affidata la sua protezione.
I due uomini furono sorpresi dall'agguato di un commando di sicari corleonesi; una terribile pioggia di piombo si abbatté su di loro e Mancuso, in un ultimo disperato tentativo, cercò di proteggere il magistrato.

Cesare Terranova era un giudice inflessibile e mite, coraggioso ma non temerario.
Era entrato in magistratura appena tornato dalla guerra e dalla prigionia, nel 1946.
Lavorava con grande serietà, scrupolo, pazienza ma anche con profonda tenacia.
Aveva iniziato ad accostarsi alle indagini sulla criminalità mafiosa in un'epoca in cui non esistevano ancora strumenti legislativi incisivi per affrontarla.
Ma già allora aveva individuato la specificità dell'organizzazione mafiosa: nel 1964, nella sentenza istruttoria nei confronti di Angelo La Barbera, il magistrato evidenziava la necessità di " una valutazione unitaria del fenomeno associativo formatosi al fine di commettere più delitti con l'instaurazione di un sistema di violenza contro ogni autorità costituita".

Nel 1971 Terranova, da Procuratore della Repubblica di Marsala, condusse un'indagine per la scomparsa di tre bambine.
Molti di noi ricordano l'angoscia seguita al sequestro e quanto rilievo ebbe la vicenda; le ricerche con la mobilitazione di tutte le forze di polizia, il rinvenimento a distanza di giorni dei corpi delle piccole, l'individuazione del responsabile di quell'orribile crimine.
In quella tragica circostanza gli italiani conobbero il magistrato rigoroso, dotato di altissimo intuito investigativo che condusse indagini scrupolose e puntuali, con grande riservatezza, senza mai cedere a facili sensazionalismi.
Nel 1972 e fino al 1979, Terranova fu eletto deputato del Parlamento italiano come indipendente di sinistra nelle liste del Partito Comunista e nominato componente della Commissione parlamentare di inchiesta sulla mafia.

Qui portò il contributo delle sue esperienze professionali di giudice istruttore e di magistrato inquirente con entusiasmo, con grande onestà intellettuale, con impegno e scrupolo.
Aveva acquisito la consapevolezza della particolare insidia della natura organizzativa della mafia, della sua capacità di penetrare nel tessuto sociale, dell'abilità di adattarsi ai tempi e di adeguarsi a nuove realtà e a nuovi spazi.
Così scriveva : " La mafia non è un concetto astratto, non è uno stato d'animo, ma è criminalità organizzata, efficiente e pericolosa, articolata in gruppi o famiglie e non c'è una mafia buona o cattiva perché la mafia è una sola ed è associazione per delinquere. E, tuttavia, cosa diversa dalla comune delinquenza: è, per dirla come Leonardo Sciascia, un'associazione segreta che si pone come intermediazione parassitaria fra la proprietà e il lavoro, tra la produzione e il consumo, tra il cittadino e lo Stato, con fini di arricchimento per i propri associati".

Terranova era drastico nel suggerire sistemi e strumenti per battere il crimine organizzato.
Affermava che non dovevano esistere santuari inviolabili.
Temeva le infiltrazioni mafiose all'interno della società civile e il suo richiamo costante era quello ad una mobilitazione corale in quella che riteneva una questione fondamentale per la difesa dello Stato e della legalità; e riteneva la lotta alla mafia una priorità assoluta per conseguire il progressivo risanamento della società siciliana.
Proprio negli anni in cui Terranova era deputato, alcune sentenze di condanna di pericolosi appartenenti all'organizzazione mafiosa erano state annullate.
Molti mafiosi erano tornati liberi e con il prestigio acquisito avevano alzato il livello di scontro contro lo Stato.

Fu allora, nel giugno del 1979, che Terranova decise di tornare in magistratura; era stato designato dal CSM Consigliere Istruttore presso il Tribunale di Palermo, posto che non ebbe il tempo di ricoprire.
Sapeva di essere nel mirino dei Corleonesi di Luciano Leggio ma ripeteva sempre "Cosa mi possono fare? Nella peggiore delle ipotesi mi uccidono".
I suoi nemici avevano capito che quell'uomo integerrimo, negli anni di attività parlamentare, aveva acquisito conoscenze, informazioni e rapporti che lo rendevano un avversario pericoloso ed efficiente.
Terranova aveva ben compreso l'intreccio dei rapporti e degli interessi tra la mafia e il sistema degli appalti pubblici, tra la mafia e l'imprenditoria, tra la mafia e il grande narcotraffico, fra la mafia e la politica.
Quella dei corleonesi di Luciano Liggio fu un'azione preventiva diretta a spegnere sul nascere un focolaio di volontà e capacità inquirente ritenuto quanto mai pericoloso per un crimine organizzato che avrebbe osato all'inizio degli anni 90 sfidare lo Stato con l'opzione stragista.

Cesare Terranova, che oggi commemoriamo insieme a Lenin Mancuso, ha rivestito un ruolo fondamentale nella storia della magistratura impegnata sul fronte del contrasto alla criminalità.
Un uomo che credeva nello Stato, in uno Stato di diritto che doveva essere di tutti.
Sapeva, d'altronde, che solo un'accurata opera di risanamento della classe dirigente avrebbe portato i cittadini ad avere nuovamente fiducia nelle Istituzioni, quella fiducia che a lui tanto stava a cuore.
Il suo insegnamento è quello di un magistrato accorto, puntuale, rigoroso, scrupoloso, che non cedette mai alla tentazione di facili notorietà, che seppe inquadrare gli scenari criminali, individuare i responsabili e portarli davanti alla giustizia.
Nella commovente lettera-testamento alla amata moglie Giovanna, egli ricordava come gli insegnamenti e gli esempi di sua madre e suo padre fossero stati fondamentali per costruire quei principi che lo avevano guidato tutta la vita.

A tali principi fece sempre riferimento nel percorso di magistrato, di deputato e di uomo.
La positiva, importante esperienza di magistrato di Terranova fu posta infatti al servizio non solo della funzione giudiziaria ma anche dell'attività legislativa, in anni nei quali erano evidenti i limiti del sistema che doveva rispondere al fenomeno mafioso.
Nei suoi scritti egli ribadì più volte che nella lotta alla mafia occorrono "leggi adeguate, polizia efficiente, giudici sereni".
Un particolare ricordo va a Lenin Mancuso per molti anni al fianco di Cesare Terranova. Aveva seguito il magistrato a Marsala, poi a Roma, aveva sempre collaborato con lui in un clima di totale reciproca fiducia.
E' stato un fedele servitore dello Stato, un cittadino onesto, un padre esemplare, un italiano di cui tutti noi dobbiamo essere fieri.

Grazie all'opera di persone come Cesare Terranova e Lenin Mancuso loro e dei tanti altri uomini che hanno creduto nello Stato fino al sacrificio della propria esistenza, siamo sempre più motivati ad affermare la democrazia e i principi di libertà scolpiti nella nostra Carta Costituzionale.
L'attività antimafia del Parlamento rappresenta il modo migliore per onorare fino in fondo la memoria di chi è caduto al servizio dello Stato.
E' un dovere per il Parlamento e per il Governo continuare nel solco tracciato da questi uomini.
L'impegno dello Stato contro le associazioni criminali è garanzia per tutti i cittadini, rappresenta la libertà che un vero Stato di diritto deve sapere assicurare al suo popolo.
La lotta alla criminalità organizzata è proseguita senza sosta e senza incertezze con la cattura di latitanti, con l'aggressione sempre più incisiva dei beni dei mafiosi, con la celebrazione di innumerevoli processi e le severissime condanne di centinaia di imputati, con quella energia che continua a caratterizzare uomini coraggiosi al servizio della Giustizia.
La lotta alla mafia è un'eredità fondamentale per tutto il Paese, la tutela della legalità è esempio per i nostri giovani e un viatico per il loro futuro.

In una ricorrenza come quella odierna il tema del convegno ci avvicina a quanto in questi anni è stato fatto, con coraggio, con spirito di sacrificio, con determinazione, con altissimo costo e sacrificio di molti uomini: l'impegno dello Stato, l'impegno della magistratura, l'impegno delle forze dell'ordine.
Tutta la magistratura, ma in particolare quella siciliana e palermitana, ha pagato uno dei costi più alti in termini di vite umane per l'affermazione dei principi di legalità.
I risultati ottenuti sono frutto di un lavoro incessante, costante, portato avanti con grande professionalità.
L'importanza e l'efficacia del lavoro svolto dalla magistratura è conferma del ruolo essenziale che riveste.
A un'associazione criminale così radicata nel territorio, così determinata a fare valere l'illegalità delle sue azioni, lo Stato unito nelle sue componenti ha saputo reagire e continua a farlo.
Anche nel corso di questa legislatura sono state introdotte misure severe per contrastare con sempre maggiore incisività il fenomeno; l'inasprimento del carcere duro, l'introduzione di norme più adeguate ed efficaci in tema di misure di prevenzione ne sono la conferma.

L'approvazione delle leggi da parte del Parlamento, e l'applicazione e l'interpretazione da parte dei magistrati - in assoluta autonomia e senza interferenze esterne - sono accomunate dall'unico interesse di tutti, che è il bene del nostro popolo e della nostra Nazione.
Il principio della separazione dei poteri, il potere esecutivo, la sovranità del Parlamento che deriva dalla sovranità del corpo elettorale, e l'autonomia e l'indipendenza della magistratura sono il fondamento e la garanzia del nostro sistema costituzionale.
Sono la condizione oggettiva per l'esercizio della libertà del cittadino.
La magistratura e il Parlamento sono complementari l'una nei confronti dell'altro e insieme possono fare molto per il nostro Paese.
Un rapporto di utile e proficua collaborazione arricchisce la nostra democrazia e la rende più forte.
E tutti dobbiamo farci promotori di un dialogo sereno e costruttivo tra questi poteri fondamentali dello Stato.

Lavorare in sinergia è il fine al quale dobbiamo tendere sempre.
Non possiamo e non dobbiamo più permettere che la mafia alzi il tiro nei confronti di uomini delle Istituzioni; non possiamo e non dobbiamo permettere che la nostra economia venga mortificata e svilita da chi ritiene di potere occupare spazi della nostra vita.
E' stato fatto molto, ma dobbiamo essere sempre pronti ad arginare nuove offensive.
Cesare Terranova in uno dei suoi interventi chiedeva: "Un processo rapido, semplificato, spoglio di tutti i formalismi inutili, non inceppato da adempimenti ed obblighi che non siano strettamente indispensabili...Non è tanto la durezza della pena, quanto la rapidità e la certezza con cui essa viene inflitta ad esercitare un freno validissimo al delitto. Scoraggia la consapevolezza di potere ben difficilmente sottrarsi alla pena , ricorrendo ai cavilli ed agli espedienti di cui oggi può disporre con larghezza".
Parole profondamente vere che rispecchiano anche il tempo in cui viviamo.
Terranova si riferiva al precedente codice di procedura penale, ma anche l'attuale codice, varato per fini di celerità e di tempestiva efficienza, ha rivelato negli anni tutti i suoi limiti perché non ha fornito risposte concrete alle esigenze per le quali era stato creato.

La certezza della pena, la celerità della risposta dello Stato di fronte alla richiesta di una giustizia rapida, restano ancora oggi obiettivi non raggiunti.
Occorre allora procedere alle riforme, modernizzare il codice, renderlo idoneo ad essere in sintonia con i tempi che viviamo.
Anche voi magistrati avete evidenziato da tempo le disfunzioni di un sistema sempre più inadeguato alle effettive esigenze di una vera giustizia.
Penso che in questa delicata fase di proposte e di decisioni sia utile l'esperienza di chi opera sul campo, ma sempre nel pieno rispetto del principio della separazione dei poteri ereditato da una grande tradizione.
Perché, richiamando il concetto di sinergia, il dialogo costruttivo è elemento indispensabile per il raggiungimento di obiettivi non soltanto condivisi ma anche qualitativamente eccellenti.

E' questo il mio auspicio.
Solo così il nostro Paese potrà dirsi realmente forte e in grado di competere con le sfide che è chiamato ad affrontare contro l'illegalità e il crimine organizzato.
Sono elementi che costituiscono un vulnus alla qualità della nostra democrazia e della nostra sicurezza.
Nessuno di noi può e deve tirarsi indietro.