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Il Presidente: Intervento in Assemblea

Chiesa e Stato in Italia - Dalla Grande Guerra al Concordato (1914-1984)

Eminenza Reverendissima, Autorità, Signore e Signori,

prima di iniziare il mio intervento, desidero dare lettura del messaggio inviatomi dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano:

Caro Presidente,

la ringrazio per l'invito alla presentazione del libro di Roberto Pertici "Chiesa e Stato in Italia dalla grande guerra al nuovo concordato 1914-1984". Purtroppo non mi sarà possibile essere presente, ma la prego di trasmettere all'autore, a tutti i partecipanti e in particolare al Segretario di Stato Vaticano, Sua Eminenza Reverendissima il Cardinale Tarcisio Bertone i miei più cordiali saluti. Giorgio Napolitano

Il Presidente Schifani e il Cardinale Bertone al loro arrivo alla Biblioteca del SenatoL'iniziativa di oggi - che si svolge nella stessa sala dove l'allora Cardinale Ratzinger tenne la lectio magistralis sulle radici cristiane dell'Europa, il 13 maggio 2004 - segna, in una qualche misura, l'evento di chiusura dell'ottantesimo anno dalla conclusione dei Patti Lateranensi e del venticinquesimo anno dalla sottoscrizione dell'Accordo di modifica del Concordato. Ed è questo anche il novantesimo anno dalle intese realizzate nel 1919 a Parigi dal Presidente del Consiglio Orlando e dall'inviato di Benedetto XV, mons. Cerretti.Intese che hanno rappresentato un fattore decisivo per la successiva sottoscrizione dei Patti Lateranensi e che, a distanza di tempo, possiamo affermare siano state il vero punto di saldatura tra l'eredità, la cultura dello stato liberale e la futura Repubblica, ossia la cerniera con quel prologo risorgimentale, del quale il prof. Roberto Pertici ripercorre, nel libro che oggi presentiamo, le fasi storiche più significative. La tappa del 1919 non va dimenticata, né circoscritta come fatto isolato.

In realtà, è proprio la storia a sfatare l'equivoco di considerare la cultura liberale e il liberalismo come filosofie alternative o incompatibili con il sentimento religioso.

Anzi, con una novità significativa rispetto al passato, è proprio Benedetto XVI a condividere il ragionamento per il quale "all'essenza del liberalismo appartiene il suo radicamento nell'immagine cristiana di Dio" e lo stesso "liberalismo perde la sua base e distrugge se stesso se abbandona questo suo fondamento".

La presenza autorevole di Sua Eminenza il Cardinale Tarcisio Bertone, che desidero ringraziare pubblicamente per l'attenzione che presta in modo costante alla nostra Istituzione, è eloquente, oltre ogni parola, di come il rapporto tra Italia e Santa Sede sia solido, stabile, e rappresenti per tutti una ricchezza da salvaguardare.

Il legame tra Stato e Chiesa, che in Italia si è sviluppato lungo la traiettoria del doppio binario della distinzione e della collaborazione, è patrimonio di tutti i cittadini, dell'intera Nazione.

Il momento più alto del percorso di saldatura e sintesi dell'esperienza nazionale è rappresentato dal dibattito costituente. La civile convivenza fu in quella circostanza un valore fondamentale che ispirò i padri costituenti e venne alimentata da un senso di appartenenza dove, nel reciproco riconoscimento e rispetto delle diverse sensibilità, si sviluppò la piena consapevolezza della propria identità.

Palmiro Togliatti, nel motivare il proprio voto sull'inserimento in Costituzione del richiamo ai Patti Lateranensi, usò parole coraggiose e lungimiranti: "La nostra lotta è la lotta per la rinascita del nostro Paese, per il suo rinnovamento politico, economico e sociale. [...] vogliamo si realizzi l'unità politica e morale di tutta la Nazione. Disperdiamo le ombre le quali impediscono la realizzazione di questa unità! [...] Siamo convinti [...] di compiere il nostro dovere [...] verso il popolo italiano, verso la democrazia e la Repubblica, verso la nostra Patria".

E in un passaggio precedente, legò "le libertà di coscienza, di fede, di culto, di propaganda religiosa e di organizzazione religiosa" intese come "libertà democratiche fondamentali", alla soluzione definitiva della Questione romana data dai Patti Lateranensi.

Il sentirsi parte di una comunità, considerare la storia del proprio Paese come la propria storia, il suo destino come il proprio destino, non significa fare dell'identità un vessillo contro qualcuno, ma un ponte gettato verso le future generazioni per la costruzione di una duratura e reale pacificazione, capace di superare steccati ideologici e pregiudizi.

La storia del nostro Paese rappresenta un modello da seguire.
Rispetto e reciprocità non significano abbandono della propria tradizione, della propria cultura, della propria storia, ma al contrario identità.
Non una identità chiusa in se stessa ed autoreferenziale, ma un'identità arricchita, che sa dialogare e confrontarsi proponendo i propri valori ed esperienze, e sa anche ascoltare, accogliere, migliorare.

Il rischio è quello di voler dimenticare e di offuscare le proprie radici, confondendo il rispetto con l'indifferenza. Quando l'incontro con una cultura diversa, che mantiene una propria caratterizzazione forte, contrasta con quel tentativo di accantonare le ragioni storiche della propria identità, si ingenerano reazioni confuse.

Lo scontro tra campanili e minareti non si sviluppa infatti dentro l'ambito religioso, ma entro un campo prevalentemente politico. Non serve criticare il giorno dopo, ma è necessario dapprima comprendere come al fondo della questione, per nulla banale, vi sia proprio quel disconoscimento forzato al simbolo religioso, da ultimo il crocifisso, del suo valore religioso, storico e culturale.

Nel tempo, può portare alla cecità lo strabismo del quale sembriamo talvolta affetti noi europei, quando ci allarmiamo per il referendum in Svizzera sui minareti e restiamo invece silenti rispetto alle pronunce sul crocifisso nelle scuole.

Quando si disconosce il valore storico e culturale di un simbolo religioso si rischia oggettivamente di farne un simbolo politico, oltrepassando la linea di confine fondamentale tra religione e stato che sta alla base della stessa libertà religiosa.
E' proprio dall'affermazione della reciproca autonomia tra mondo politico e religioso, che, con le parole di Benedetto XVI, "l'identificazione di religione e stato, divinità e stato, [...] quasi necessaria per dare stabilità allo stato", è stata superata nella prospettiva delle libertà individuali e collettive.

Riconoscere che "non esiste un'opinione politica che sia l'unica giusta", che non c'è una dottrina o progetto politico, per così dire, "assoluto", significa comprendere come "il mondo politico è il mondo della nostra ragione pratica dove, con i mezzi della nostra ragione, dobbiamo trovare le strade.
Bisogna lasciare proprio alla ragione umana di trovare i mezzi più adatti e non assolutizzare lo stato".

Rifuggire dalla tentazione di contrapporre il realismo dei politici all'utopismo degli intellettuali è allora indispensabile, per costruire una spazio che sia aperto al confronto, senza diventare per questo uno spazio vuoto.

L'esperienza italiana è preziosa, perché non ha mai negato il significato pubblico del fatto religioso e ha inteso la reciproca indipendenza ed autonomia di Stato e Chiesa come il criterio fondativo di una solida convivenza.

La laicità delle istituzioni non può essere interpretata come separatismo, né in una visione antagonistica o di indifferenza.
Anzi, come afferma il Santo Padre, è proprio dalla "distinzione tra l'ambito politico e quello religioso" che è possibile "tutelare sia la libertà religiosa dei cittadini che la responsabilità dello Stato verso di essi e, d'altra parte, prendere una più chiara coscienza della funzione insostituibile della religione per la formazione delle coscienze e del contributo che essa può apportare, insieme ad altre istanze, alla creazione di un consenso etico di fondo della società".

Il senso di una laicità positiva risiede nel rispetto verso ogni sensibilità che sappia offrire ragioni, per così dire, pubbliche, con un linguaggio fondato sulla comune appartenenza al genere umano.
Confondere pertanto il tema delle radici spirituali dell'Europa con la pretesa di separazione della sfera pubblica da quella religiosa è di per sé ingannevole, anzi può rivelarsi nel tempo foriera di scontri e contrapposizioni politiche, rispetto ai quali dobbiamo tutti interrogarci.
La separazione tra Stato e religione non è messa in alcun modo in discussione.

Con le parole del Presidente Giorgio Napolitano, serve proporre un "senso della laicità dello Stato [...] che abbraccia il riconoscimento della dimensione sociale e pubblica del fatto religioso", ricordando che la religione non è soltanto un fenomeno di culto, ma anche un elemento di identità culturale.

Solo in questo modo si può evitare di "dare all'umanità la sensazione di essere sola nell'universo", permettendo ad ogni cittadino di sentirsi non semplice spettatore, ma protagonista e responsabile del proprio e dell'altrui destino.

Vi ringrazio