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Il Presidente: Intervento in Assemblea

"Giorno della memoria"

Quando il 27 gennaio 1945 le truppe sovietiche varcarono i cancelli di Auschwitz, si rivelò al mondo tutto l'orrore del genocidio nazista. Questa data simbolo è stata scelta per istituire il giorno della memoria, per non dimenticare l'atroce sterminio che il popolo ebraico subì dai regimi nazisti e proprio la legge istitutiva di questa giornata commemorativa rammenta che il ricordo va non solo a coloro che furono deportati, ma anche a quelli che si opposero al progetto di sterminio e a rischio della propria vita salvarono altre vite proteggendo i perseguitati ebrei e non solo.

Quest'anno il giorno della memoria si celebra mentre continuano a lasciarci i più rappresentativi degli ebrei sopravvissuti alla Shoah. Si avvia alla conclusione l'epoca dei testimoni di coloro cioè che hanno vissuto una memoria intesa come esperienza. Il ricordo va a Miep Gies ultima superstite del gruppo che aiutò a nascondere la famiglia di Anna Frank e che custodì il diario della giovane che all'interno di una soffitta, prima di essere deportata assieme ai suoi familiari nei campi di sterminio, non cessava di sperare che "quella spietata durezza cessasse, che ritornassero l'ordine, la pace e la serenità". Sono emozionato e commosso nel trovarmi insieme a voi in questo luogo, la risiera di San Sabba, stabilimento costruito per la pilatura del riso e trasformato nel 1943 in uno strumento di morte, in campo di detenzione, in tragico teatro di esecuzioni.

Dinanzi a questo campo di concentramento italiano, divenuto oggi monumento nazionale, non posso non ripercorrere e fare memoria di quei tragici eventi che portarono all'assassinio di almeno 5.000 uomini, donne e bambini.
La storia ebraica è sempre stata legata nei secoli a continue persecuzioni. Oggi dobbiamo continuare a conoscere e a ricordare e dobbiamo impedire che l'ignoranza e l'indifferenza abbiano la prevalenza perché l'orrore e il buio dell'umanità non si ripetano mai più. Questa giornata del 27 gennaio deve servire a tutti noi a costruire una memoria condivisa. Oltre alla follia ideologica del nazismo, una delle maggiori cause dell'antisemitismo è stata, infatti, l'ignoranza di quello che è stato il contributo degli ebrei allo sviluppo della civiltà. Malgrado siano passati decenni dalla fine traumatica e dalla sconfitta bellica del nazifascismo, sarebbe ottimistico pensare che con la fine di quell'ideologia sia venuto meno anche il razzismo. Il razzismo e l'antisemitismo esistevano già da prima e continuano purtroppo ad essere presenti anche oggi, seppure in ambiti circoscritti ed episodici. Per questo abbiamo l'alto compito che dobbiamo trasmettere ai giovani di continuare a combattere i pregiudizi nei confronti degli ebrei affinché siano superate quelle barriere e quelle false ideologie, che furono alla base della persecuzione di questi nostri fratelli; affinché si dia sempre più spazio ad un crescente riconoscimento di quel vincolo e di quel patrimonio spirituale che accomuna ebrei e cristiani.

È necessario un incontro sempre più intenso con gli ebrei in uno spirito disinteressato di amore e di stima e in una ricerca continua di dialogo, comprensione comune, operatività. Con la Shoah abbiamo assistito ad orrori consumati da uomini contro altri uomini, atrocità che ci hanno fatto comprendere di quanta crudeltà sia capace l'uomo.
Chi è stato oggetto di tanta brutalità ed è riuscito a sopravvivere, è rimasto segnato indelebilmente nell'anima, marcato come quel numero che porta impresso sulla pelle. È una sofferenza che ha determinato un momento di pessimismo totale e di completa perdita di fiducia nell'altro. La memoria diventa, quindi, strumento dell'anima per non dimenticare. Impariamo a ricordare, a tenere sempre vivo scolpito nella nostra mente quanto è stato, per non ripeterlo.

Impariamo il vero significato di essere fratelli. Il giorno della memoria non è stato creato solo per gli ebrei ma soprattutto per chi non lo è, affinché sappia ricordare. Il giorno della memoria non è solo un evento commemorativo, ma è un ammonimento perenne contro ogni persecuzione e ogni offesa alla dignità umana. Le leggi razziali del regime fascista sono ancora una ferita profonda non soltanto degli ebrei ma di tutta la società, di tutti noi. Facciamo tesoro del passato per costruire un futuro dove le parole odio, violenza, razzismo, siano relegate a eventi non più ripetibili. Non un'esortazione, ma una promessa d'onore. Lo dobbiamo a noi stessi ma soprattutto ai giovani ai quali abbiamo il dovere morale di trasmettere la conoscenza della storia del passato disumana e terrificante, affinché crescano nel rispetto assoluto della dignità umana.

L'antisemitismo non è soltanto la rappresentazione dei campi di sterminio o coloro che hanno sposato la teoria del negazionismo; l'antisemitismo è anche il comportamento di chi continua ancora oggi a privilegiare atteggiamenti dai quali traspare la diffidenza razziale. Purtroppo l'odio razziale continua ancora oggi ad albergare in molti uomini e diviene strumento di violenza. Eppure dagli orrori del nazifascismo, dalla sconfitta delle dittature e di quelle ideologie si è fatto tesoro in Europa con l'affermazione dei principi che sono alla base del nostro vivere civile e che sono indelebilmente scritti nelle nostre carte costituzionali: il diritto di libertà, il diritto di professare le proprie idee, il diritto di esprimere liberamente i propri convincimenti religiosi, il diritto di rispettare gli altri. Affermare questi principi, difenderli e diffonderli diventa allora un compito primario ed uno strumento fondamentale per impedire che sentimenti di discriminazione possano scardinare il nostro sistema.

Dovrebbe divenire un obbligo morale per tutti noi quello di visitare la risiera di San Sabba, questo luogo dovrebbe essere meta di tutti i giovani e non solo, di tutti gli italiani, per comprendere meglio cosa ha significato per i deportati la perdita d'identità, lo smarrimento, le violenze, la morte. Perché, purtroppo, anche l'Italia fu teatro di stermino. Se sapremo coltivare la memoria, se saremo capaci di custodire il ricordo di quanto di inenarrabile è accaduto, e lo sapremo fare non soltanto il 27 gennaio, ma ogni giorno, sempre, come guida preziosa delle nostre azioni, dei nostri comportamenti; se faremo tutto questo, vorrà dire che abbiamo compreso veramente il significato della Shoah. Vorrà dire che avremo radicato in noi i sentimenti di vera giustizia che devono guidare il nostro presente e il nostro futuro. Solo allora avremo raggiunto la piena maturità dei fatti accaduti e saremo in grado di allontanarli definitivamente dalle nostre coscienze e dalle nostre azioni. Mai più Shoah per gli ebrei, ma anche per coloro che ancora adesso, alcuni di noi si ostinano a ritenere diversi.

La "diversità" deve essere bandita. L'odio razziale, la xenofobia che purtroppo albergano in taluni, sono veicolo di pericolosi pregiudizi, di falsi convincimenti che possono degenerare in violenza morale e fisica. E ancora più grave è l'atteggiamento di chi, di fronte a comportamenti di questo genere, non vuole vedere e sentire e gira lo sguardo dall'altra parte. Diventiamo noi stessi memoria, apriamo consapevolmente gli occhi. Memoria significa coraggio di vedere e non solo di guardare. Memoria significa fare della nostra vita "un cuore che vede", come ha affermato Benedetto XVI. Memoria significa riconoscere nei testimoni e nei sopravvissuti della Shoah i nostri maestri. "Un vero maestro non è chi dice qualcosa di nuovo, ma chi dice qualcosa di vero" (Neusner). La memoria della Shoah ci porta a riconoscere non solo un messaggio, ma soprattutto i messaggeri che hanno nei loro corpi, nella loro storia, nelle loro tragedie, una intrinseca verità. La verità dell'olocausto va affermata, ricordata, compresa fino in fondo.

Shoah significa oggi vivere i confini della nostra storia, del nostro Paese, della nostra Europa, della nostra umanità, come i confini di un'etica che sappia ripartire proprio da dove ogni morale, ogni bene, ogni bellezza sono stati frantumati dalla barbarie, dalla viltà, dall'egoismo. Ogni ipocrisia va smascherata. Oggi i confini di Israele non sono mero dato geografico, sono i confini della nostra stessa Patria, i confini della nostra civiltà, i confini della nostra storia. Questo significa ricordare: non gettare lo sguardo solo al passato, ma gettare ponti per un futuro di pace vera.
In questo senso, ogni uomo oggi è ebreo.
Anche io oggi sono ebreo.