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Il Presidente: Intervento in Assemblea

"Competenza e onestà per una buona politica"

Intervento alla scuola di Gubbio sul tema "Competenza e onestà per una buona politica"

Cari amici,
partecipo sempre con entusiasmo a questo appuntamento annuale del Pdl, al quale sono particolarmente legato.
Un appuntamento quest'anno diverso rispetto a quello del 2009, per la situazione politica particolare che tutti noi stiamo vivendo e che ci vede impegnati insieme ad affrontare una fase difficile della legislatura.
Il nostro partito ha vissuto momenti ben più complessi ma oggi siamo qui per guadagnare quell'ottimismo che ci ha sempre contraddistinto nella piena consapevolezza che, tutti insieme, saremo capaci di affrontare e risolvere nel migliore dei modi ogni problema. Il mio ruolo non mi consente di entrare nel merito specifico di alcune questioni. Da quando rivesto questa alta carica, come sapete, ho cercato di non fare polemiche o essere causa di contrapposizioni, tra maggioranza e opposizione ed anche all'interno della maggioranza.

Il mio ruolo istituzionale invece non mi impedisce di parlare qui "di politica" o, forse meglio, "della politica".
Non è la "politica" ad essere il male. Lo sono alcuni diffusi, radicati e praticati modi di intenderla, di applicarla e di comunicarla.
La politica ha una sua specificità e ha un suo compito: serve a tradurre nella realtà di governo quei principi e quei fondamenti ideali che trovano sintesi rispetto alle esigenze diverse che esprime il corpo sociale. Il perseguimento del bene comune, ma anche un'azione improntata a principi di etica, rigore, moralità, correttezza sono il fondamento e la meta del nostro operare.

Non cambia il bisogno dell'onestà, della correttezza dei comportamenti, della rinuncia al tornaconto personale o di gruppo, dell'esigenza di un uso del potere finalizzato all'interesse pubblico, da esercitare nel pieno rispetto delle norme e capace di riscuotere la fiducia (non necessariamente l'assenso) degli elettori, anche di quelli che non ci hanno votato.
Ritengo invece un elemento fortemente negativo l'antipolitica ed il tentativo di fare dell'avversario politico il bersaglio di semplificazioni poco veritiere. Lo ritengo anche pericoloso ricordando i guasti profondi che questa anti-cultura ha provocato in passato. Dopo che sono stati smitizzati i ruoli, screditate le persone, instillato un sospetto sistematico e preventivo che prescinde dalla realtà provata, cosa potrà costruirsi per la ricomposizione di una politica alta in grado di farsi ponte per le generazioni future?

Ho sempre sostenuto il valore grande della critica ai comportamenti della politica o anche meglio dei politici.
Ma l'attacco frontale alla politica è un fatto grave, da condannare e combattere a viso aperto.
Dobbiamo invece fare riferimento alla "politica", specialmente in un momento in cui la crisi finanziaria globale si è trasformata in crisi economica incidendo in maniera profonda e dolorosa nella quotidianità sociale.
Spetta proprio alla politica consolidare i segnali di ripresa, per evitare che siano a pagare ancora una volta i più poveri e gli emarginati.
A noi quindi il compito di sapere guardare avanti e di trovare le giuste soluzioni.
Un compito difficile ma non impossibile; punto di partenza e faro per ogni scelta è e rimane la Costituzione tirata in ballo durante questa calda estate con ragionamenti e riflessioni ma soprattutto interpretazioni più o meno condivisibili.

In questi mesi difficili il tema ricorrente è stato quello dell'eventuale scioglimento delle Camere e dell'avvio di nuove elezioni, per l'impossibilità del Governo di proseguire l'attuazione del programma a causa dell'indebolimento della maggioranza parlamentare.
Se non ci sono più le condizioni per governare, l'unica strada - si è detto - è quella delle elezioni anticipate invocate a breve termine, addirittura prima della fine di quest'anno. Dall'altra, autorevoli esponenti dell'opposizione ed anche alcuni parlamentari hanno invocato la necessità di dare vita ad un governo tecnico di transizione, meglio ancora di "responsabilità", che abbracci forze politiche diverse da quelle che attualmente compongono il governo, al fine di modificare la legge elettorale in vigore.
In questa disputa accesa e a volte priva dei necessari contenuti giuridici, abbiamo assistito a dichiarazioni eterogenee, contrastanti tra loro, univoche solo per appartenenza ideologica e partitica, sulle quali mi sembra opportuno cercare di dare chiarezza.

Ognuna di queste dichiarazioni attribuisce alla Costituzione contenuti, interpretazioni, che nascono da esperienze maturate nel corso degli anni e che tengono conto di situazioni fra loro eterogenee dettate dalle diverse leggi elettorali che si sono succedute nel tempo.
L'attuale sistema elettorale bipolare porta ad invocare la sovranità popolare che gli elettori esprimono al momento del voto con la scelta della coalizione e del Presidente del Consiglio indicato nella scheda elettorale; di conseguenza se viene meno la maggioranza - come può accadere a causa dei contrasti all'interno della stessa - la parola dovrebbe tornare agli elettori con il necessario ricorso al voto.
Altri sostengono che la scelta popolare di Governo è un mero dato di fatto; la Costituzione vigente prevede, infatti, un sistema di governo parlamentare in cui quello che conta è che il Governo abbia la fiducia del Parlamento. In questo contesto, in caso di crisi del governo in carica, si potrebbe tentare di formare un altro governo composto da una maggioranza diversa da quella uscita dalle urne elettorali. Lo scioglimento anticipato sarebbe soltanto la soluzione estrema da adottare nell'impossibilità di formare un qualunque governo.

E proprio per rafforzare l'una o l'altra tesi interpretativa, abbiamo assistito quest'estate a velenose polemiche che non hanno risparmiato neppure chi deve essere e lo ha sempre dimostrato nei fatti, l'unico baluardo a garanzia della funzionalità e della legittimità del sistema.
Il Presidente Napolitano ha da sempre svolto il suo alto incarico con assoluta trasparenza, autentico equilibrio, ferma saggezza; ha garantito la funzionalità del sistema; è e rimane un punto di riferimento istituzionale fondamentale, a maggiore ragione in momenti di turbolenza politica, quando diviene indispensabile la sua posizione terza che guardi con vera obiettività al bene del Paese. A lui va pertanto la nostra stima e fiducia.
La nostra Carta Costituzionale è stata volutamente concepita con norme generali, duttili, aperte e flessibili, da leggersi in relazione all'evoluzione del sistema costituzionale ed è integrata dalle prassi che producono regole non scritte, "le convenzioni costituzionali", quelle che il grande giurista Leopoldo Elia definiva "norme a fattispecie aperta", che possono diventare vere e proprie consuetudini, cioè fonti del diritto in senso tecnico.

Serve allora senso di responsabilità da parte di tutti. Serve sicuramente abbassare i toni e tornare al rispetto delle reciproche posizioni in un clima di confronto responsabile.
Quasi sempre il confronto è stato vantaggioso per le forze politiche, per le Istituzioni, in definitiva per il Paese; confronto non significa ricerca di una unanime soluzione ai problemi. E' invece la ricerca in cui appare forte il richiamo di un interesse nazionale, degli strumenti che, in quei campi, possono assicurare una convergenza se non su tutti i mezzi, quantomeno sulle finalità dell'agire.
L'opinione pubblica chiede che venga realizzato il programma che ha votato; gli italiani non desiderano andare alle urne con cadenze troppo ravvicinate. Hanno già scelto con il loro voto il governo, il premier, la maggioranza che ritenevano meglio li potesse rappresentare e chiedono governabilità con l'attuazione del programma da loro votato. Ogni interruzione anticipata della legislatura è un evento traumatico e deve trovare motivazioni in cause e circostanze gravi e irreversibili.

Troppe tensioni dilaniano inutilmente il Paese che in questo momento ha bisogno di vedere risolti i problemi che la crisi economica ha posto sul tappeto.
Sulla crisi economica, è vero che la parte difficile è passata, ma adesso servono riforme finanziarie e di governo; bisogna continuare a realizzare una politica economica severa e senza tentennamenti sul piano del risanamento e del contenimento del debito, ma abbiamo anche il dovere di riaprire il cantiere delle riforme ed andare avanti per offrire prospettive economiche vincenti.
Riempiamo le parole di contenuti: il Paese ci chiede lavoro e meno pressione fiscale.
Occorrono coraggio e generosità da parte di tutti; la crisi oggi colpisce di più le famiglie che risparmiano.
Uscire dalla crisi significa tornare a crescere. Per questo occorre un nuovo patto tra impresa e lavoratori da realizzarsi con lealtà e collaborazione reciproca; i diritti dei lavoratori non sono privilegi, ma vanno esercitati senza abusarne.

Abbiamo il dovere di aiutare gli italiani a vivere meglio: la pressione fiscale complessiva deve essere gradualmente ridotta a vantaggio prima di tutto delle famiglie monoreddito che sono anche le più deboli.
E abbiamo tutti gli strumenti per potere fare meglio; ci vogliono umiltà e buona volontà, servono serenità e consapevolezza che ogni riforma deve essere utile al bene dell'Italia.
Abbiamo un debito nei confronti della classe più debole; il nostro futuro sarà solido e forte se saremo capaci di renderlo tale.
Aiutiamo i giovani a pianificare le loro esigenze, ad avere certezze e prospettive. Non possiamo permetterci di spezzare i loro sogni e le loro legittime aspettative di una stabile sistemazione lavorativa e di costruire, come abbiamo fatto noi, una famiglia; non dobbiamo consentire che il nostro diventi un Paese di anziani in conseguenza del fenomeno delle culle vuote e della fuga dei giovani.
Lo scontro tra generazioni lacera ancora di più dello scontro tra territori. La disoccupazione giovanile potrebbe divenire un rischio per la stabilità e per la stessa coesione sociale.

Il Paese ha bisogno di vedere la propria terra sicura, liberata dalla criminalità organizzata.
L'impegno contro le associazioni criminali è quello per la legalità, ma anche per la civiltà e per lo Stato di diritto che, da sempre, è la prima e fondamentale garanzia della libertà personale di ognuno di noi.
Il Parlamento e il Governo devono continuare a produrre il massimo sforzo per cancellare questa macchia intollerabile agli occhi del mondo globalizzato. Dall'azione di bonifica dalla criminalità organizzata dipende anche un circolo virtuoso di investimenti nazionali e internazionali che non è separabile dal progresso civile e dalla modernizzazione del Paese.
E' compito della società civile e in particolare dei giovani, specialmente nel Mezzogiorno, capire che la cultura della legalità è la prima condizione per uno sviluppo economico duraturo, il vero e irrinunciabile passaporto per l'Europa e per il Mondo.

Non illudiamoci che i continui e rilevanti successi ottenuti nell'attuale legislatura, in particolare con il sequestro di innumerevoli beni mafiosi, abbiano portato a compimento il fine di estirpare le radici di questo fenomeno criminale.
Se il recente gravissimo attentato al Procuratore Generale di Reggio Calabria Salvatore Di Landro, conferma la bontà delle azioni investigative e giudiziarie svolte in quella sede da magistratura e da forze dell'ordine, è al contempo prova della pericolosità e dell'attuale vitalità delle organizzazioni mafiose.
Il nostro sostegno a chi giornalmente si batte per l'affermazione della legalità, mettendo a rischio la propria vita, è fermo e deciso.
Ma non basta: abbiamo il dovere di continuare a stare accanto a questi uomini con i fatti, realizzando ogni ulteriore strumento legislativo che renda sempre più incisiva questa fondamentale e necessaria attività sui territori piagati dalla mafia. E anche per queste ragioni dico con fermezza che dovremmo tutti, prima di abbandonarci a beghe personali, a critiche reciproche, a inutili e sterili provocazioni, guardare unicamente al bene della Nazione.

Ognuno nel proprio ruolo è chiamato ad assolvere le proprie funzioni con coraggio e responsabilità.
L'attuazione del federalismo può aiutare a crescere il nostro Paese, se realizzato con intelligenza e lungimiranza. Troppo accentuato è il divario tra Nord e Mezzogiorno; troppe divergenze, prima fra tutte quella del reddito pro capite e delle infrastrutture.
Voglio però soffermarmi prima di affrontare il tema del federalismo sulla questione del Sud. Me lo richiede la mia provenienza ed il mio patrimonio culturale e politico; me lo impone il convincimento che senza un riequilibrio profondo delle diverse zone del paese, in campo economico e sociale, il prezzo non lo pagherà solo il meridione, ma l'Italia tutta.
Siamo davanti a una storica e drammatica questione che può essere risolta solo da partiti nazionali capaci di avere una prospettiva che vada al di là degli stessi nostri confini; e solo se saranno capaci di operare una inversione di marcia coraggiosa. Quello che serve è una presenza dello Stato forte e capillare: e mi sembra che in questi ultimi tempi risultati altamente positivi si siano qui visti, grazie all'impegno, e spesso al sacrificio, delle Forze dell'Ordine e della Magistratura.

Quello che serve è una reazione e una presa di coscienza nuova dei cittadini meridionali non solo con il rifiuto sempre più diffuso, specialmente fra i giovani, dell'accettazione fatalistica di una realtà di corruzione e degrado ritenuta irredimibile; ma anche con il rifiuto di forme di assistenzialismo clientelare, il cui risultato più drammatico è stato forse proprio la fuga di intelligenze, di capacità imprenditoriali, di energie giovanili e culturali dai paesi del Sud.
Quello che serve, ancora, è una assunzione di responsabilità nuova delle classi dirigenti meridionali: quelle politiche, quelle sociali e quelle culturali. Dalla "richiesta" al "fare": questo deve divenire il loro motto.
Se si ha piena consapevolezza delle potenzialità del Sud, appare logica una politica di sostegno che aiuti quelle popolazioni a "camminare con le proprie gambe". Va attuata, allora, una politica, quella che l'attuale governo ha definito "Piano del Sud" che faccia perno su una serie di interventi: la banca del Sud per il finanziamento delle piccole realtà imprenditoriali, i FAS concentrati sulle grandi iniziative strategiche; le principali infrastrutture, prima fra tutte il completamento della Salerno - Reggio Calabria. Sono opere necessarie e non più differibili, sono gli strumenti da affidare al sud per potere competere con le altre zone che già li possiedono e per interagire con le regioni maggiormente industrializzate.

Il Sud è una risorsa per tutto il Paese e, soltanto con una partenza "alla pari", il federalismo sarà un vero vantaggio e non già una forma di penalizzazione.
Il federalismo impone responsabilità e trasparenza, ma non decolla senza gradualità e soltanto se sarà solidale, ragionato ed equo; se saprà ovviare alle divergenze tra il nord e il sud creando condizioni iniziali di vera parità; soltanto così la sua attuazione si realizzerà senza sofferenze, disparità e zavorre iniziali.
Se un Paese è unito può reggere l'innovazione del federalismo.
La parola unità ha un profondo significato: vuole dire soluzione dei conflitti storici e di quelli attuali e prevenzione di quelli a venire; significa aprire il tempo delle idee, riscoprirsi Nazione e riconoscersi senza esitazione nei suoi simboli e nei luoghi di una memoria condivisa.

A tutti noi il compito di dare un'immagine alta del nostro Paese anche all'estero.
Siamo tutti pienamente consapevoli di questi numerosi problemi e dei tanti altri sul tappeto; dobbiamo allora bandire interessi personali e contrapposizioni sterili fine a se stesse e improduttive.
Noi invece dobbiamo onorare il patto che abbiamo stipulato con gli italiani, perché senza riforme il Paese si siede ed invecchia.
E ampie convergenze sono sempre possibili e virtuose, soprattutto per le riforme; il bene del popolo italiano sopra tutto e prima di tutto.
Voglio concludere con a ritrovare l'orgoglio nazionale.
Realizziamo un nuovo patriottismo costituzionale che, al di là delle nostre legittime contrapposizioni, veda tutti noi porre in primo luogo l'interesse nazionale, impegnandoci a superare quelle ragioni di ritardo, di debolezza, di insicurezza sociale che ancora certamente permangono.
L'Italia innanzitutto.........