Commemorazione solenne del Senatore a vita e Presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga
Commemorazione solenne del Senatore a vita e Presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga
Signor Presidente della Repubblica, Signor Presidente della Camera dei deputati, Onorevoli Colleghi, Autorità, Signore e Signori,
l'Italia è in lutto per i nostri giovani e valorosi militari caduti in Afghanistan.
In segno di profonda commozione e vicinanza alle loro famiglie e ai loro cari osserviamo un momento di silenzio e raccoglimento.
Signor Presidente della Repubblica, Signor Presidente della Camera dei deputati, Onorevoli Colleghi, Autorità, Signore e Signori.
Francesco Cossiga rappresenta il testimone, il protagonista, l'interprete delle Istituzioni e della Politica dell'Italia "unita" e "ritrovata". Il tema della Nazione "unita" e "ritrovata" è il filo rosso di tante vicende, anche drammatiche e dolorose, come il rapimento e l'uccisione di Aldo Moro, di fronte alle quali poteva sembrare di essere in bilico tra la sopravvivenza stessa dello Stato e la prospettiva di una democrazia matura. Nelle sue ultime volontà pubbliche, Cossiga ha chiesto di rispettare il carattere strettamente privato dei suoi funerali. Una consonanza, direi una vera e propria analogia, con quanto espresse il senatore a vita Norberto Bobbio, quando affermò: "Nessun discorso. Non c'è nulla di più retorico e fastidioso dei discorsi funebri". L'unico modo per rispettare la Sua volontà è quello di non volgersi indietro con il semplice ricordo, ma guardare avanti attraverso una storia capace di farsi memoria del futuro, origine e meta, ancora una volta, dell'Italia "unita" e "ritrovata".
La testimonianza di vita di Francesco Cossiga ha la forza di sottrarsi alla quasi obbligata sequenza di incarichi di altissimo rilievo ai quali venne chiamato, per recuperare appieno proprio il senso di una "chiamata", che Egli sempre considerò come "missione". Le parole indirizzate al Presidente Giorgio Napolitano, datate 18 settembre 2007, per essere lette dopo la sua scomparsa, sono l'emblema della sua vocazione di uomo, cittadino, servitore dello Stato: "Fedeltà alla Repubblica, devozione alla Nazione, amore alla Patria, predilezione alla Sardegna". "Fu per me un grande onore servire immeritatamente e con tanta modestia, ma con animo religioso, con sincera passione civile e con dedizione assoluta, lo Stato italiano e la nostra Patria". Per Francesco Cossiga valeva il monito: "Se conoscessi qualcosa di utile per me, ma di pregiudizio per la mia famiglia, lo scaccerei dalla mente. Se conoscessi qualcosa di utile alla mia famiglia, ma non alla mia Patria, cercherei di dimenticarlo. Se conoscessi qualcosa di utile alla mia Patria, ma dannoso all'Europa, oppure di utile all'Europa e di pregiudizio per il genere umano, lo considererei un delitto".
Le tappe della Sua storia politica sono scandite dentro il perimetro dell'ideale per lui irrinunciabile di "mettersi a servizio degli altri". Quando nel 1944 aderì alla Democrazia Cristiana, divenendo poi Deputato nel 1958 e dal 1983 Senatore, non avrebbe mai pensato di ricoprire - unico tra i politici italiani - tutti i più prestigiosi incarichi di governo ed istituzionali, fino alla Presidenza del Senato e quindi all'elezione a Capo dello Stato, risultando, inoltre, tra i più giovani della storia repubblicana ad assumere la responsabilità di questi alti uffici. Non aveva pensato né cercato nulla per sé, e mai avrebbe accettato, se non fosse stato per un ideale radicato e radicale di fedeltà alla Sua terra, alla Sua gente, alla Sua Sardegna, all'Italia e all'Europa. Per lui la stessa idea di Nazione presupponeva l'idea di Europa. Il "primato della politica" era tutt'uno con il "primato della coscienza". Ne è testimone autorevole e unico Benedetto XVI che la sera della scomparsa di Francesco Cossiga, il 17 agosto scorso, ha parlato di lui come "illustre e caro amico", al quale stavano a cuore tre traguardi che riuscì a raggiungere: la proclamazione di san Tommaso Moro a patrono dei politici cattolici e la beatificazione dell'abate Antonio Rosmini e del Cardinale John Henry Newman, "il grande campione dell'ufficio profetico del laicato cristiano", che si sente come chiamato ad "offrire uno specifico servizio". Per Francesco Cossiga l'impegno politico, la sua dimensione etica e, come egli stesso dichiarò, "religiosa", erano "testimonianza": non un fatto privato e soggettivo, né una questione di opinione personale, perché il "primato della coscienza" non poteva che tradursi in "storia", "storia della libertà e storia dei popoli".
Il recupero di una dimensione etica della politica - l'opposto di una sbrigativa politica dell'etica - avvicinava Cossiga al tentativo di Bobbio di aprire la politica alla "ragione dei filosofi". Appare comune la critica a quel razionalismo che "finisce per relegare l'etica e in genere la sfera dei valori nel dominio incontrastato delle passioni, degli stati emotivi, delle forze irrazionali". Per entrambi, ritrovatisi a sedere negli scranni dell'Aula del Senato, il tema fondamentale restava l'incontro tra "politica" e "cultura". Per Bobbio, "cultura significa misura, ponderatezza, circospezione: valutare tutti gli argomenti prima di pronunciarsi, controllare tutte le testimonianze prima di decidere". Per Cossiga, che riconosceva di avere imparato, soffrendo, che "l'amicizia è anche silenzio", l'uomo moderno è "colui che vive e partecipa delle aspirazioni, dei dubbi, delle certezze, delle ricchezze o delle miserie del suo tempo e vuole vivere con consapevole pienezza il tempo in cui Dio lo ha collocato". Lasciarsi scuotere dal "vento della libertà e della verità" significa farsi seguaci ideali di Alfonso Maria de' Liguori, per il quale "la libertà è il requisito necessario della moralità". Per l'uomo moderno, Cossiga invocava "una Italia moderna e civile, una Repubblica comunità vera di uomini liberi ed eguali, una Patria luogo e sentimento comune dei cittadini, uno Stato democratico e fondante il diritto e garante di esso, forte del reale consenso dei cittadini, una società politica pervasa di valori e programmi e scuola di servizio e di responsabilità, una comunità civile luogo di ricerca e vita della verità, del bello e del giusto".
Non c'è tentativo di salvataggio della partitocrazia, ormai frantumata, ma forte e coraggiosa difesa della "democrazia rappresentativa", neppure pensabile senza o al di fuori dei partiti, che pretende però da ciascun partito una visione viva e vera, espressione e ispirazione di grandi movimenti ideali. Per Francesco Cossiga l'insidia del nostro tempo era l'incompiutezza dello sviluppo politico dell'Italia unita, la cosiddetta "storia incompiuta" di una "transizione infinita", che rischiava di divenire "crisi dello Stato". Dopo la disillusione per i numerosi tentativi di riforma andati a vuoto, in Lui prevalse la consapevolezza che "l'incompiutezza politica di oggi si rispecchia nella storia di ieri": per mantenere il confronto politico entro la logica della reciproca e frontale opposizione, si ripropongono antiche contrapposizioni che non sanano le fratture e le incomprensioni del passato, ma provocano pericolose tensioni nel presente.
La sua idea di Assemblea Costituente non è affatto un'improvvisazione. Rispetto alla ricostruzione post-bellica del 1945, diceva, "non si è trovato alcun mito sostitutivo a quello che ha fondato la Repubblica sulla Costituzione. [...] Nessuno può negare quanto, nell'Italia della "ricostruzione morale", quel mito sia stato necessario". La "Grande Riforma" mancata, per far diventare l'Italia una democrazia "normale", a quasi vent'anni dal Suo messaggio, discusso forse in modo non compiuto dal Parlamento di allora, resta oggi un nodo irrisolto per il futuro dello Stato, con le parole di Carlo Arturo Jemolo, "la casa che si può desiderare in uno stile od in un altro, ma che comunque è il tetto che ci ripara". Ed è il "senso dello Stato" la testimonianza più alta e viva di Francesco Cossiga. "Senso dello Stato" che, propriamente, Giuseppe Ferrari definì come "sentimento e coscienza dello Stato "democratico"". Quel "senso dello Stato" che impedisce la degenerazione "del senso della famiglia in familismo, del senso del paese natale in municipalismo, del senso del partito in settarismo" ed è espressione della "preminenza dell'interesse della collettività su quelli particolari".
La proposta di Assemblea Costituente nasceva allora da quello che Maurizio Fioravanti ha definito il "disseccarsi della radice politica della costituzione", ma nell'altrettanto lucida e lungimirante necessità, ben espressa da Paolo Grossi, di scongiurare le esercitazioni astratte. I diritti, infatti, "possono essere dichiarati, ma hanno in sé la vocazione a diventare esercizio e cioè tutela attuata nell'esperienza quotidiana". In uno scritto del 1951 rivolto alla comunità accademica si trova l'affermazione: "il supporto e l'anima" della democrazia è l'"effettiva partecipazione della base popolare alla vita dello Stato". Per Cossiga, "popolarità" non è "populismo", semmai ne rappresenta l'antidoto, perché vinta l'autoreferenzialità del mito, si traduce nell'apertura sconfinata dell'ideale. E' questa l'idealità che supera l'ideologia. La politica è uno spazio "aperto", ma non può essere uno spazio "vuoto": i valori ne descrivono l'orizzonte e ne tracciano il destino. Cossiga diceva di sé: "sono un povero cattolico peccatore che nulla ha da insegnare a nessuno e ha tutto da imparare da tutti". Oltre ogni metafora, il "cortile dei gentili" è per lui anche "l'orto dei semplici".
Il Senato raccoglierà i suoi discorsi parlamentari in occasione dei 150 anni dell'unità d'Italia, perché di quell'unità Cossiga fu protagonista, orgoglioso difensore della coesione, della stabilità, della identità nazionale, per lui legata alla difesa di Israele. Una difesa fondata sull'ideale dell'amicizia, che lo faceva appartenere a quella stessa comunità tradita dove la civiltà umana si era infranta, e dalla quale si poteva, si doveva ripartire per dare dignità alla vita e alla libertà.
Ai figli Anna Maria e Giuseppe rivolgo un affettuoso saluto ed esprimo a nome di tutti i presenti la gratitudine come italiano per la dedizione del loro padre alla vita democratica delle Istituzioni repubblicane. Ancora di più oggi la memoria delle sue parole commosse, vere, profonde, rivolte nell'Aula del Senato ai nostri militari impegnati in missioni di pace all'estero è il segno di un'intera vita spesa per il popolo italiano. A loro si rivolgeva, chiamandoli "nostri ragazzi". Grazie alla sua difesa incondizionata, tenace, fedele si sono sempre sentiti "figli della Patria". E con Lui, oggi, giorno del silenzio, senza distinzioni di parte, diciamo loro di riconoscerli come orgoglio di tutti noi e dell'Italia intera.