Incontro: "La memoria e l'immagine - 16 ottobre 1943, così vicino così lontano"
Discorso pronunciato in Sala Nassirya all'incontro: "La memoria e l'immagine - 16 ottobre 1943, così vicino così lontano"
Cari Amici,
con il rastrellamento del 16 ottobre 1943, la storia di civiltà e di umanità del nostro popolo e dei popoli d'Europa, dopo la violenta repressione già da tempo attuata dai regimi nazista e fascista, era ancora una volta infranta e la speranza sembrava come murata da una pietra inamovibile, spietatamente invincibile.
Il simbolo della "pietra d'inciampo", assunto a percorso della memoria attraverso l'immagine, è il volto nuovo della speranza che vive nella mente e nel cuore degli studenti e docenti, meritoriamente impegnati nel progetto che oggi viene presentato in Senato.
Il merito di giovani ed insegnanti è quello di essere stati capaci di interpretare la storia per farsi messaggeri di una giustizia ritrovata dopo le macerie di una umanità straziata, che si voleva fosse dimenticata per sempre.
La scuola può e deve essere il luogo di un sapere autentico, che dalla conoscenza sa ricavare il senso profondo di una esperienza nata dal confronto, dalla riscoperta, dalla testimonianza. E sono le testimonianze l'altro volto della memoria, rappresentano la voce scaturita dal buio e dal sordo silenzio, la luce che oggi rischiara le tenebre del male assoluto.
La deportazione doveva essere la pietra dell'oblio. Deportazione razziale, del rastrellamento del 16 ottobre 1943; deportazione politica, del 4 gennaio 1944; deportazione dei militari italiani, dopo l'8 settembre 1943.
Deportazione significa violenza e rimozione. Violenza fisica e morale, ferita inferta alla dignità di una vita, di un radicamento, di una radice alla propria terra, al proprio popolo, alle proprie origini e quindi alla propria stessa identità.
Deportazione significa anche rimozione di un volto e di un nome, ed è quindi la rappresentazione plastica della viltà di chi si accanisce sugli inermi e sugli innocenti. La via degli inermi è la strada oscura dell'eclissi dell'umanità e della morte della speranza.
Quello fu il tempo dove ogni incertezza era tradimento, ogni timore ipocrisia.
Come scrisse Piero Calamandrei, "era giunta l'ora di resistere; era giunta l'ora di essere uomini: di morire da uomini per vivere da uomini".
E nel frangente dove la storia sembrava uccidere la stessa Patria e la Patria morire sulle secche di un mare disseccato di ogni valore, il "senso dello Stato" imponeva non la fuga, ma la disobbedienza civile e una ferma contestazione.
In un articolo proposto nella nostra Assemblea costituente si affermava: "Quando i poteri pubblici vìolino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all'oppressione è diritto e dovere del cittadino".
Resta allora fondamentale porsi ancora oggi la domanda con la quale Giuseppe Ferrari apriva uno dei suoi scritti più conosciuti: "E' mancanza di senso dello Stato la disobbedienza, la ribellione [...] alla legge emanata dal tiranno della propria città" in violazione delle più alte e non scritte leggi dell'uomo?
La "morte della Patria" - come Salvatore Satta chiamò l'abbandono morale seguito all'armistizio - fu scongiurata dalla Resistenza, che rappresentò, dopo il Risorgimento, la seconda rinascita della Nazione, dove era chiesto il coraggio di essere "pietra d'inciampo" per un bene più grande, per un riscatto morale irrinunciabile ed indifferibile. Quelle furono le pietre sulle quali si ricostruì l'unità nazionale e si ritrovò il senso della comune appartenenza alla società civile.
Nessuno poteva nascondersi dietro un ruolo, neppure dietro il distacco o una condanna solo interiore. La pietra dell'oblio fu vinta e rimossa dalla luminosa testimonianza di quanti seppero e vollero, consapevoli del rischio e superiori alla paura, diventare "inciampo": ostacolo per un costume morale adagiato sulla sopravvivenza e sulla convenienza. Furono servitori di uno Stato democratico, di una Repubblica, ancora non nati, anche quei militari, vittima di inaudite torture e sofferenze, che non tradirono gli inermi e gli indifesi, scontando la prigionia, l'ingiustizia della condanna, la morte nelle Fosse Ardeatine.
Ricordare anche oggi il valore di quei militari resta un impegno e un dovere inderogabile del presente.
La deportazione fu il tentativo di privazione di un volto; la memoria è il riconoscimento della sua dignità violata e ferita. Dare un volto e un nome significa allora sapersi fermare, non solo "guardare", ma "vedere" e riconoscere la verità.
Per sottrarci ad un destino di comparse, le "pietre d'inciampo" raccolte e testimoniate oggi sono la memoria che fonda l'identità nazionale e la Patria. Radicano la nostra esistenza e il nostro avvenire ad una comunità di donne e uomini degni della vita e della liberta conquistati da chi ha saputo resistere alle tentazioni del deserto e della fuga.
La strada da loro tracciata è il cammino che ci sta innanzi e, senza titubanze, possiamo e dobbiamo percorrere insieme.
Quello che è accaduto ieri allo stadio di Genova, in occasione dell'incontro Italia-Serbia, alla presenza di molti ragazzi e di una scolaresca, mostra il volto peggiore di un'Europa ancora troppe volte attraversata dalla violenza di chi rifiuta la civiltà, la dignità, il rispetto della persona.
Gli incivili episodi di Genova, dove gruppi di teppisti organizzati hanno messo a rischio la sicurezza dei cittadini e l'ordine pubblico, le gravissime e inaccettabili aggressioni a Milano e Roma vanno condannati duramente e senza riserve. La matrice è sempre la stessa: una deriva razzista, discriminatoria ed intollerante, che tradisce l'umanità e può di nuovo uccidere, oscurare il volto degli inermi, vittime della barbarie.
La politica ha, pertanto, il dovere di non deviare dal percorso della memoria, consentendo o anche solo tollerando superficiali sottovalutazioni.
Le esperienze che oggi vengono raccontate sono la risposta migliore, limpida ed autorevole ai falsi maestri, che si fanno scudo di una presunta libertà di pensiero e in realtà ne abusano teorizzando revisionismi smentiti dalla storia. Siete voi, giovani, i veri maestri e cultori della nostra umanità, testimoni di una verità che nessuno potrà mai cancellare.