Presentazione del Rapporto 2010 sulle aree sottoutilizzate
Intervento del Presidente del Senato, Renato Schifani in Sala Zuccari, in occasione della presentazione del Rapporto Annuale 2010 del Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica sugli interventi nelle aree sottoutilizzate del territorio, promossa
Signor Ministro, Autorità, Signore e Signori,
il rapporto annuale sugli interventi nelle aree sottoutilizzate è ormai da anni un punto di riferimento fondamentale per quanti vogliono avere un quadro chiaro e dettagliato dello stato di salute della parte meno fortunata della nostra Patria.
Da sempre i parlamentari e gli studiosi lo utilizzano come fonte di dati ed elaborazioni essenziali per tutti gli studi sull'evoluzione dell'economia del Mezzogiorno.
Dobbiamo quindi essere grati al Ministro Fitto e ai tanti dirigenti e studiosi che da anni forniscono al Parlamento questo prezioso lavoro.
Sento da sempre come essenziale ed urgente la missione di contribuire a ridurre l'insostenibile divario tra Nord e Sud dell'Italia. E' ancora più importante impegnarsi in quest'anno difficile, in occasione del 150° anniversario dell'Unità d'Italia, in questo fondamentale obiettivo della comunità nazionale.
Proprio nel rapporto, si legge che l'economia meridionale è stata contrassegnata nell'ultimo decennio da tassi di crescita modesti, insufficienti a realizzare gli obiettivi di riequilibrio territoriale del Paese e a invertire quelle tendenze strutturali che contraddistinguono l'assetto economico e sociale dell'Italia sin dalla sua nascita come Stato unitario.
Tutto ciò è ancora più evidente oggi che la nostra economia è messa a dura prova da una crisi internazionale ma che minaccia seriamente il benessere nostro e delle future generazioni.
Nel contesto della crisi internazionale il Mezzogiorno rischia di pagare il prezzo più alto: occorre scongiurare questo pericolo.
Ed infatti, confermando una dinamica "tipica" della nostra economia, il rapporto segnala come nel biennio 2009-2010 il divario Nord-Sud si sia ulteriormente ampliato, con una ripresa nell'ultimo anno della tendenza, in atto dai primi anni duemila, a significativi gap a sfavore del Mezzogiorno.
Il ritardo di sviluppo del Mezzogiorno resta dunque "il problema dei problemi" dell'Italia.
La politica non può consentire che la crisi aggravi ancor di più questo stato di cose.
Per affrontare con onestà intellettuale il dibattito sui temi del Mezzogiorno alla luce delle crisi non bisogna temere di ribadire una premessa di metodo che deve ispirare tutte le politiche nazionali: gran parte dei problemi economici dell'Italia, dalla bassa crescita, alla disoccupazione, al disagio sociale, sono in realtà problemi che si aggravano nel Mezzogiorno.
Da questo stato di cose scaturisce una constatazione: il Mezzogiorno è un problema nazionale, e se non cresce il Sud in termini di PIL e di occupazione, non cresce l'Italia.
E' però altrettanto vero che al Sud vi sono molti esempi di eccellenza produttiva, tanti distretti industriali e singole realtà di nicchia, dinamiche ma troppo spesso isolate perché si inseriscono in contesti sfavorevoli.
Occorre allora rifuggire da ogni ricostruzione semplicistica. Il Sud non è una uniforme area depressa. I tanti esempi di eccellenza ci dimostrano invece che non esiste un solo Sud, ma diverse realtà locali dove non mancano i germogli di un percorso di sviluppo civile ed economico possibile ed essenziale per il destino dell'intero Paese.
Ovviamente, in una situazione di estrema ristrettezza finanziaria, spetta alla classe dirigente meridionale utilizzare al meglio le risorse, passando dalla logica della mera rivendicazione di maggiori risorse alla piena responsabilizzazione e verificabilità della qualità dei risultati conseguiti con le risorse disponibili.
Non un singolo euro deve essere speso in ritardo o, peggio, speso male. Nessuno oggi può permettersi di disperdere o sprecare i talenti migliori. E' molto positivo quindi che a fine maggio scorso le regioni meridionali abbiano impegnato il 100% delle risorse da rendicontare a fine 2011.
Questa è la strada da seguire, ma va fatto con la convinzione e il senso di responsabilità di chi si sente rappresentante di un popolo che chiede lavoro, legalità, sicurezza e avvenire per i propri figli.
La stessa approvazione recente del «piano Sud» è un passaggio importante.
Il piano Sud va nella giusta direzione: non si dà spazio solo alle grandi opere ma anche alle piccole che hanno una importante funzione anticiclica, in un momento così difficile per l'economia nazionale.
Vi è poi il tema dello sblocco delle risorse del cofinanziamento nazionale: a questo proposito è chiaro che tutto deve essere fatto ma solo e quando serve e soprattutto nel presupposto che le autonomie locali siano pronte e responsabili anche collaborando con gli altri livelli di governo nel facilitare al massimo la realizzazione delle infrastrutture di interesse regionale o nazionale.
A sua volta, per lo Stato, da qui al 2013, la priorità è di spendere presto e bene le risorse disponibili garantite dai fondi europei e nazionali.
E' importante poi vigilare sulla qualità dei programmi regionali, i POR, nonché sul grado di definizione dei cosiddetti grandi progetti, che costituiscono parte rilevante della spesa dei programmi regionali.
Senza entrare nel merito delle scelte legislative, va colto il segnale dato dalla modifica inserita nell'ultima manovra, dove si prevede la possibilità per le cinque regioni dell'obiettivo convergenza di superare i limiti di spesa imposti dal Patto di stabilità interno in relazione all'utilizzo delle risorse correlate alle politiche di coesione.
Il mio auspicio su questo punto, pertanto, è che questa decisione valga come esempio e dimostrazione che si può giungere a risultati importanti quando le forze politiche e sociali si impegnano ad individuare la soluzione tecnica più idonea per scongiurare la perdita di fondi europei.
Ciò non toglie che permane un problema di capacità di programmazione e di esecuzione della spesa da parte delle regioni meridionali.
Anche qui, nuovamente, vi è una diffusa convinzione che, al di là del mero aspetto quantitativo, gravi sul Mezzogiorno - così come sui livelli istituzionali centrali - una sostanziale inadeguatezza strategica e tecnico-operativa.
Troppo spesso diamo l'idea di non riuscire a valorizzare le numerose opportunità che l'Unione Europea mette a nostra disposizione.
Troppo spesso le Amministrazioni non appaiono in grado di costruire interventi coerenti, articolati, di contesto e sovraregionali in grado di affrontare le numerose diseconomie che rendono il nostro territorio poco attrattivo e le nostre imprese poco competitive.
Deve allora maturare un disegno ampio di sviluppo del Mezzogiorno, inteso come macroregione europea e non come somma di interessi localistici e particolari.
Ancora oggi, come disse nel 1989 Pasquale Saraceno, l'essenza della questione meridionale resta una grande questione etico-politica, che investe le stesse fondamenta morali della società nazionale e dello Stato unitario.
E' giunto il momento di cambiare atteggiamento: lo dobbiamo soprattutto ai giovani in cerca di impiego delle terre meridionali. E' giunto il momento di volere fare; non servono poteri straordinari, occorrono coraggio e volontà propositiva. Occorre farlo anche in nome dei tanti meridionali che con la loro partecipazione attiva al Risorgimento, in nome di un'unica Patria, rinunciarono a quelle istanze autonomistiche che pure sentivano profondamente.
Con la piena consapevolezza che il Sud ha nelle nuove generazioni, le energie positive per ripartire. Vi ringrazio.