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Il Presidente: Intervento in Assemblea

Presentazione del volume di Giovanni Malagodi "Aprire l'Italia all'aria d'Europa" Il diario europeo 1950 - 1951

Presentazione del volume in Sala Zuccari

Autorità, Signore e Signori,
saluto e ringrazio il Presidente Scognamiglio e gli autorevoli relatori di questo importante convegno. Un cordiale saluto a tutti gli intervenuti.
La pubblicazione del Diario europeo di Giovanni Malagodi, raccoglie le annotazioni vergate dall'autore nel corso del suo mandato di rappresentante del Governo italiano presso l'Organizzazione Europea per la Cooperazione Economica, fra il 1950 e il 1951 e getta una luce nuova su una stagione poco nota, ma assai significativa del percorso umano, professionale e politico di una delle più importanti figure del liberalismo italiano, indissolubilmente legata, come è noto, all'Istituzione che ho l'onore di presiedere.
Giovanni Malagodi, nato il 12 ottobre del 1904 a Londra, dove il padre Olindo era corrispondente del quotidiano La Tribuna, si laurea in giurisprudenza nel 1926 sotto la guida di Gaetano Mosca, con una tesi sulle ideologie politiche che sarà pubblicata, su impulso di Benedetto Croce, due anni più tardi.
Come ricorda il professor Farese nella sua introduzione, decisivo per la formazione del giovane Malagodi è l'incontro con Raffaele Mattioli, brillante banchiere e uomo di raffinatissima cultura, mecenate delle arti e delle lettere.
All'ombra di Mattioli si sviluppa tutta la successiva carriera di Giovanni Malagodi presso la Banca Commerciale italiana e le sue controllate, come la Banca francese e italiana per l'America del Sud, che conduce il giovane funzionario a ricoprire ruoli di sempre maggiore responsabilità, fino al 1947, quando, chiamato nuovamente in Italia, gli viene affidato l'incarico di direttore centrale della Comit.
In questa nuova veste inizia, sempre su impulso di Mattioli, la collaborazione tecnica di Malagodi con il Governo italiano, dapprima in seno alla delegazione italiana presso la Conferenza di pace di Parigi, e successivamente presso l'Organizzazione Europea per la Cooperazione Economica, incarico durante il quale vengono tracciate le pagine di diario che oggi qui presentiamo.
Gli autorevoli studiosi presenti, ai quali rivolgo l'affettuoso saluto del Senato e mio personale, sapranno offrire una ponderata analisi delle valutazioni di politica economica espresse dall'autore nei suoi diari, nonché del contesto interno ed internazionale in cui esse si inquadrano.
A me sia consentita qualche rapida considerazione sui temi portanti di queste pagine, che illuminano anni cruciali nel processo di integrazione europea, nei quali le tre maggiori culture politiche dell'Europa occidentale (la democratica cristiana, la socialista e la liberale) hanno saputo incontrarsi, al di là delle ideologie e delle appartenenze nazionali, per sviluppare insieme l'intuizione funzionalista di Jean Monnet, allo scopo di rendere la guerra europea finalmente impossibile.
Tutto questo significa, per Malagodi, un'occasione irripetibile per "aprire" il sistema economico italiano - e non soltanto quello, data la stretta connessione che un liberale autentico rileva tra libertà economica e progresso civile - "all'aria d'Europa", anche allo scopo di guadagnare il tempo e la forza necessarie alla sua piena maturazione.
È una corrispondenza che, in qualche modo, rimarca anche chi oggi ripete che determinate riforme non vanno compiute "perché ce lo chiede l'Europa", ma perché, al contrario, esse costituiscono passi imprescindibili per la maturazione e la modernizzazione del nostro sistema economico.
Anche perché, scrive Malagodi in un memorandum destinato al Ministro Pella, non provvedere per tempo agli interventi necessari non significa soltanto "andare a rimorchio" dei migliori. "Ciò richiederebbe" - egli afferma con una suggestiva metafora nautica - "un cavo assicurato a regola d'arte, un timone e una certa capacità di manovra. Significa semplicemente andare alla deriva, finché l'urto su uno scoglio ci mandi a picco. Significa l'abbandono dei nostri interessi nazionali più vitali". Parole profondamente attuali che, oggi come allora, non possiamo lasciare inascoltate.
Dopo la conclusione dell'esperienza europea, Malagodi scelse di impegnarsi in prima persona nell'agone politico. Nel 1953 si iscrisse al Partito liberale italiano, nelle cui file si presentò alle elezioni politiche, e fu eletto alla Camera dei deputati per il collegio di Milano.
La sua statura politica e culturale lo mise rapidamente in luce nel suo partito e soltanto un anno dopo la sua iscrizione ne divenne segretario politico, incarico che mantenne per quasi un ventennio, fino al 1972: durante la sua segreteria il Partito liberale conseguì, nelle elezioni del 1963, il miglior risultato elettorale della sua storia in età repubblicana.
Dalla terza alla quinta Legislatura Malagodi presiedette anche il Gruppo parlamentare liberale presso la Camera dei deputati, e nel 1972, in occasione della formazione del secondo Governo Andreotti, fu nominato Ministro del tesoro.
Nelle elezioni del 1979 divenne senatore e nell'aprile del 1987, sul finire della nona Legislatura, dopo le dimissioni di Amintore Fanfani, chiamato a costituire il suo sesto governo, fu eletto ad amplissima maggioranza Presidente del Senato.
L'esperienza al vertice dell'Assemblea di Palazzo Madama, anche se breve, fu il coronamento di un lavoro parlamentare sempre incentrato sulla fecondità del reciproco rapporto fra passione politica e competenza tecnica, fra appartenenza partitica e fedeltà istituzionale.
Come affermò infatti Giovanni Spadolini, nel succedergli sullo scranno presidenziale, "se al fondo di ogni scienza settoriale vi è la filosofia come denominatore comune di ogni strumento basilare di conoscenza, al fondo di ogni lavoro politico particolare vi è la trama delle Istituzioni, come punto di riferimento comune, centro di stabilità da non smarrire".
E proprio come un compito strettamente legato all'Europa - quello di Presidente della Giunta per gli Affari europei del Senato - Malagodi (dall'agosto del 1987 al giorno della sua morte, il 17 aprile del 1991) chiuse la sua esperienza di politico, parlamentare, e di grande protagonista della vita pubblica italiana. Vi è ancora la memoria tra i colleghi e i funzionari che ebbero l'onore di collaborare con lui, della sua estrema attenzione nell'interpretare il ruolo della Giunta, come osservatorio sulle politiche europee e al contempo organo di vigilanza sul corretto recepimento del nostro ordinamento degli obblighi comunitari.
Fino all'ultimo dunque Malagodi diede il suo contributo attivo al funzionamento della nostra istituzione;all'indomani della sua scomparsa, il 17 aprile del 1991, il Senato accolse i suoi solenni funerali di Stato, che si svolsero nell'attigua Piazza della Costituente.
Sono certo che la pubblicazione del diario europeo di Malagodi saprà offrire - anche grazie alla competenza degli studiosi che partecipano alla sua presentazione - un contributo imprescindibile ad una più completa e approfondita conoscenza di uno dei simboli della cultura liberale italiana, che è fatta non solo di azione politica, ma di capace amministrazione e consapevole difesa dell'interesse pubblico, soprattutto sulla scena comunitaria e internazionale, nonché di tenace radicamento politico, economico e culturale nell'Occidente.
Le considerazioni di Malagodi durante il suo mandato europeo dimostrano, in conclusione, quanto egli afferma in uno dei suoi scritti più famosi, e cioè che soltanto la passione, da un lato,e il discernimento, dall'altro, possono sostenere chi agisce al servizio dei supremi interessi del nostro Paese, e tenere lontano quella che egli definisce la "politica generica e sciamannata". Con questo auspicio rivolgo a tutti voi un caloroso augurio di buon lavoro.