"Se ci sono guerriglieri vanno fermati.Ma chi e coinvolto spieghi e non fugga"
Corriere della Sera
«E' irresponsabile chiamare in causa il presidente della Repubblica. Anche solo indirettamente. Sia perché non esiste un solo atto che possa rimandare a una qualsiasi responsabilità di Carlo Azeglio Ciampi nel caso Te-lekom-Serbia, sia perché la correttezza di Ciampi, di cui la sua storia costituisce una testimonianza, è fuori discussione. Se ci sono guerriglieri che nella maggioranza intendono perseguire questa strada, debbono essere smentiti e fermati». Se n'è stato in silenzio per alcuni giorni. Un silenzio rumoroso, nel quale qualcuno ha visto una punta di larvato imbarazzo. Ma il presidente del Senato, Marcello Pera, 60 anni, lucchese, il personaggio del centrodestra che ricopre la seconda carica dello Stato, ha deciso che è arrivato il momento di intervenire.
In questa intervista al Corriere della Sera, Pera lo fa con una chiarezza e una durezza inusitate. E invita la politica a non commettere gli errori di un decennio fa, a parti invertite. Allora, era la giustizia che sconfinava nel campo delle istituzioni politiche. Oggi, sostiene, il rischio è simmetrico e opposto. E cerca anche di proporre una soluzione che scongiuri il pericolo di confusione fra compiti politici e giudiziari negli organi parlamentari. Ma il presidente dell'assemblea di Palazzo Madama si appella anche a Piero Fassino e agli altri leader dell'opposizione, perché non delegittimino la commissione su Telekom-Serbia; perché si presentino per essere ascoltati, senza inseguire dietrologie.
Come mai è rimasto silenzioso mentre infuriava la polemica, presidente Pera?
«Non volevo limitarmi a ribadire un ovvio invito alla concordia. Siamo in pericoloso ritardo, ma ancora in tempo utile per riflettere e non commettere gli errori di dieci anni fa: quelli che hanno condotto il Paese a una guerra politica con l'arma impropria della giustizia».
Errori di chi, presidente? Nelle tensioni di questi giorni la magistratura sembra entrarci molto poco.
«Mi spiego subito. Ricordiamo tutti, credo, certi magistrati che teorizzavano il "processo al sistema". Era una parte della magistratura che agiva in chiave politica. Oggi vedo una politica che rischia di agire in veste giudiziaria. Questo è un fatto negativo, perché finisce con la delegittimazione reciproca e una nuova strumentalizzazione della giustizia».
E secondo lei oggi stiamo assistendo alla reazione della politica a questo passato?
«Il pericolo c'è. Per questo dico: fermiamoci e riflettiamo».
Non sembra per nulla facile.
«Non è detto. In fondo, basterebbe cominciare rifacendosi alla legge istitutiva della Commissione su Telekom-Serbia, che dovrebbe occuparsi soltanto delle modalità dell'affare. Per questo, è necessario che la commissione distingua le responsabilità politiche da quelle penali individuali. Se durante l'accertamento delle prime emergono fatti di rilevanza penale, a mio avviso il materiale andrebbe subito tra!sferito alla magistratura competente. Le domande cruciali sono soprattutto su chi,mtorizzò la vendita e sul perché lo fece. Perché le segnalaZioni del nostro ambasciatore a Belgrado furono lasciate cadere. Perchè non si ascoltò l'opposizione a Milosevic. E ancora, se il prezzo fu congruo, e come fu pagato. Queste sono le domande di carattere politico. Le altre responsabilità attengono a una sfera diversa».
Scusi, presidente, ma sui motivi dell'acquisto, almeno il segretario Ds ha già risposto: secondo Piero Fassino, furono Stati Uniti e Unione Europea a suggerire investimenti nella ex Jugoslavia per favorirne un'evoluzione in senso democratico. Per il resto non è così facile distinguere tra sfera politica e giudiziaria...
«La legge lo prevede. E bisogna riuscirci. Anche perché io ho fiducia nel senso di equilibrio del presidente, Vincenzo Trantino, così come ho fiducia nel procuratore capo di Torino, Marcello Maddalena, per la parte penale. Quanto a Fassino, sarebbe più convincente se andasse in commissione a farsi audire».
L'opposizione dice che la commissione è stalinista, che ha in tasca un verdetto precostituito.
«Sono frasi prive di senso e ingiuste verso il presidente Trantino. Osservo che la difesa di chi è stato coinvolto è stata tardiva. Prima si è risposto con ironia, poi col sarcasmo, poi con le minacce di disertare i lavori; e adesso con una reazione scomposta si cerca di delegittimare la commissione. Non ho ragione di dubitare della completa estraneità di chi è chiamato in causa. Ma questo va spiegato nella commissione, non fuggendo dalla commissione».
Lei a Silvio Berlusconi burattinaio non crede?
«No, e lo considero un errore da parte di Fassino. Mi sarei aspettato meno dietrologia. Temo che le insinuazioni di Fassino nascano dal fatto che in passato certi elementi emersi dalla commissione di indagine Antimafia sono stati usati in maniera dubbia».
Sta dicendo che la sinistra ha usato l'Antimafia come clava, e adesso teme lo stesso trattamento su Telekom-Serbia?
«E' storia recente. Per questo ammonisco a non ripetere gli errori del passato».
Viste le polemiche continue, ha mai pensato che certe Commissioni sarebbe meglio non crearle proprio?
«A mio avviso, più che evitarle occorre definire meglio i limiti del loro campo di azione ed eliminarne la genericità. Questo è il modo migliore per rispettare la Costituzione che le prevede».
Non ha la sensazione che qualcuno abbia straparlato, cercando di tirare in ballo il presidente Ciampi?
«Ritengo irresponsabile chiamare in causa Ciampi, anche solo indirettamente. E' irresponsabile perché la possibilità di un suo convolgimen-to non emerge da nessun atto; e perché della correttezza di Ciampi è testimonianza la sua storia».
Eppure, a volte si ha l'impressione che la maggioranza attacchi l'opposizione, ma sotto sotto tenga di mira proprio il Quirinale.
«Se ci sono guerriglieri nella maggioranza che intendono continuare su questa strada contro il Quirinale, debbono essere smentiti e fermati. Una volta di più ricordiamoci gli errori del passato. Il presidente Giovanni Leone fu prima crocifisso, poi celebrato a 90 anni e poi, dopo la morte, onorato da tutti. La lezione da trarre è che le istituzioni si rispettano. Questo vale per i presidenti della Repubblica e anche per i presidenti del Consiglio».