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Il Presidente: Intervento in Assemblea

Inaugurazione dell'Anno Accademico dell'Università di Bergamo

Buongiorno a tutti.
È davvero una bella emozione essere qui oggi.
Saluto il Presidente Fontana, i Parlamentari, il Sindaco Gori, il Professor Locatelli e le Autorità presenti.
Saluto il Magnifico Rettore Remo Morzenti Pellegrini, il Presidente Resta, il corpo accademico, il personale tecnico e amministrativo.
Un affettuoso "in bocca al lupo" rivolgo in particolare alle studentesse, agli studenti e alle quasi ottomila matricole che si accingono ad iniziare l'avventura di questo nuovo anno accademico.

Consentitemi di esprimere un sincero pensiero di riconoscenza e ammirazione a nome mio personale - ma credo a nome anche di tutta la cittadinanza - al Rettore Morzenti Pellegrini per la passione e la dedizione con cui ha guidato l'Università di Bergamo verso importanti traguardi di eccellenza nazionale e internazionale.
Un sentimento che desidero estendere agli enti, alle aziende e a tutti coloro che hanno creduto nel potenziale di questa università e hanno investito - come sono certa continueranno a fare - in progetti, programmi e iniziative condivise.

Una sinergia che ogni anno si rinnova sempre più forte, a conferma del profondo rapporto di reciproco arricchimento che, sin dalla sua fondazione, lega l'Ateneo di Bergamo alla sua città, al territorio e alle sue importanti realtà produttive.
Un Ateneo giovane, specie se confrontato con la storia secolare delle nostre Università, ma non meno ambizioso e certamente non meno prestigioso.
Ce lo dicono i tanti riconoscimenti ottenuti in ambito accademico nazionale e internazionale.
Lo ha confermato da ultimo il recente rapporto del CENSIS che colloca l'Università di Bergamo tra le migliori in Italia come numero di iscritti, livello di internazionalizzazione, qualità dei servizi e delle strutture e che, soprattutto, ne certifica ancora una volta il primato nazionale in termini di occupabilità dei suoi laureati.

Un risultato ragguardevole e molto più alto della media nazionale.
Un riconoscimento di cui essere orgogliosi, che premia un'offerta formativa moderna, dinamica e in linea con le esigenze di un mercato del lavoro in continua evoluzione e trasformazione.
Un mercato di fronte al quale alle nostre Università è richiesto il non facile compito di leggere al meglio i segnali del presente per programmare adeguatamente il futuro, anche professionale, delle prossime generazioni, specie in un contesto socioeconomico di grandi incertezze per i nostri giovani come quello attuale.

È anche significativo che l'Università di Bergamo sia stata fra le prime in Italia ad adottare il Bilancio di genere.
È fondamentale, per la costruzione di un'Italia davvero moderna, che il mondo dell'Università e della Ricerca continui a perseguire, nel proprio ambito, quello che l'Agenda per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite ha indicato come il quinto dei 17 obiettivi da raggiungere entro il 2030, ovvero la parità di genere.

C'è ancora, in Italia, un disequilibrio tra la percentuale di donne laureate e quella di ricercatrici in posizioni apicali.
Una barriera invisibile e ingiusta che a causa di una cultura antiquata impedisce alle donne di ottenere, in base al merito, i giusti avanzamenti di carriera.
Ci sono segnali incoraggianti di un miglioramento della situazione, ma a mio parere si può e si deve fare di più.

L'Italia, come molti altri Paesi nel Mondo, deve oggi confrontarsi anche con le nuove complesse sfide innescate dalla pandemia.
Un'emergenza globale di fronte alla quale nessuno era davvero preparato e che, una volta esplosa, proprio qui ha colpito per prima e con inaudita violenza.
Un'esperienza terribile a cui Bergamo e la Lombardia hanno pagato un prezzo altissimo in termini di vite umane e costi sociali ed economici.
Ricordiamo tutti le paure e le grandi difficoltà dei primi mesi di emergenza sanitaria: i cittadini confinati nelle proprie case; le serrande abbassate; gli ospedali al collasso, medici e infermieri che lavoravano senza tregua; il rumore angosciante delle ambulanze sulle strade; i furgoni dell'esercito trasformati in carri funebri.

Tutta la Nazione si è stretta in un comune abbraccio di solidarietà e sostegno a Bergamo e alla sua comunità.
Anch'io, per quanto mi è stato possibile, ho cercato di fare la mia parte, impegnandomi in prima persona nella ricerca di respiratori, ossigeno e quant'altro necessario da far arrivare velocemente negli ospedali cittadini.

In quei giorni dissi che il nostro obiettivo doveva essere quello di "resistere, vincere e ripartire".
E voi avete resistito, con forza, coraggio e determinazione.
Ha resistito Bergamo e ha resistito la sua Università.
Che non si è mai fermata, dando così un importante segnale di continuità, di speranza e di fiducia ai suoi studenti, ai cittadini, a tutto il Paese.

Penso in particolare all'esemplare rapidità con cui questo Ateneo, come molte altre nostre Università, è stato capace di reinventarsi e potenziare le proprie piattaforme informatiche per consentire in pochi giorni il proseguimento in sicurezza dei corsi di studio, degli esami e delle sessioni di laurea.

Certo, l'esperienza della vita universitaria è molto di più della didattica a distanza.
L'Università è fatta di persone, culture e relazioni.
È crescere insieme attraverso il dialogo e il confronto quotidiano tra studenti, docenti e cittadinanza, specie in un contesto come questo dove l'Ateneo è un tutt'uno in simbiosi con la città.
Eppure, è innegabile che la transizione digitale di cui siete stati efficaci protagonisti rappresenti oggi una nuova dimensione dell'insegnamento e dell'apprendimento.
Soprattutto, uno strumento importantissimo per abbattere tanti ostacoli e barriere sociali che spesso impediscono a molti giovani talentuosi di accedere all'insegnamento universitario e alle opportunità di vita che può offrire. Resistere. Vincere. Ripartire.

Oggi, grazie soprattutto ai vaccini che ci stanno liberando dalla prigionia delle chiusure economiche e delle quarantene sociali, il Covid fa molta meno paura.
Certo, il virus non può dirsi ancora completamente sconfitto, ma voi avete già vinto.
Ha vinto il mondo delle Università e della ricerca italiana, che ha ottenuto risultati eccezionali, riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale, nello studio del COVID e nello sviluppo di cure, terapie e vaccini sempre più efficaci.
Una vittoria che ancora una volta ci ricorda il grande debito che tutti noi abbiamo nei confronti della scienza e della conoscenza.
Resistere. Vincere.
E adesso ripartire.

Riparte questa Università, inaugurando il suo nuovo anno accademico, nel commosso ricordo di chi non c'è più a causa del COVID, ma anche con l'orgoglio e l'entusiasmo di un Ateneo che vuole continuare a crescere puntando a nuovi traguardi e nuovi successi.
Riparte l'Italia, chiamata alla prova epocale del Piano Nazionale di Resistenza e Resilienza e all'attuazione di riforme e investimenti programmatici cruciali per il proprio futuro.

Un obiettivo in cui il legame tra l'Italia del sapere e l'Italia del fare - che voi rappresentate al meglio - diventa fondamentale per elaborare strategie di sviluppo concrete, efficaci e durature.
Strategie di cui le nostre Università devono essere protagoniste.
Perché la rinascita del nostro Paese parte anche da qui.
Parte soprattutto dai nostri studenti, dai loro sogni e dalle loro ambizioni.

Un patrimonio di talenti ed energie che non possiamo lasciare inespresso o perdere per strada, costringendo i nostri giovani a cercare all'estero quelle prospettive di lavoro e di vita che non trovano nel proprio Paese.
Oggi più che mai Parlamento e Governo hanno il dovere di dimostrare di avere compreso veramente che un Paese che non investe seriamente nelle proprie università e nella ricerca scientifica è un Paese destinato non solo a perdere in competitività ma anche in sicurezza e libertà.

Perché è qui che si crea il futuro delle prossime generazioni.
Che si formano le donne e gli uomini che domani dovranno immaginare e gestire le nostre economie, che conquisteranno le nuove frontiere della medicina e della scienza o che saranno chiamati a governare il Paese.
Torniamo quindi, nell'anno dantesco, a guardare le stelle.
Torniamo ad essere l'Italia che emoziona e che vince non solo nello sport ma anche nell'economia, nel lavoro, nella società, nell'arte, nella scienza e nella cultura.
Restituiamo centralità al ruolo delle nostre università, riconosciamone i meriti e sosteniamone lo spirito creativo e intraprendente per costruire insieme un nuovo solido percorso di crescita, benessere ed opportunità.