«Schifani: Monti dopo il voto? Non lo escludo»
Intervista pubblicata dal quotidiano "Corriere della Sera"
di Francesco Verderami
Da presidente del Senato sostiene che «il Parlamento e i partiti non sono stati commissariati dal governo Monti», e il lavoro di Palazzo Madama sul decreto per le liberalizzazioni «ne è la prova». Da uomo del Pdl, Renato Schifani confida che «l`area dei moderati» possa «riaggregarsi otto le insegne del Ppe».
Ed è in questa doppia veste, istituzionale e politica, che Schifani analizza lo stato dell`arte all`epoca dei tecnici e getta uno sguardo oltre il 2013: dove la competizione si dovrà svolgere tra «forze politiche rinnovate», con una nuova legge elettorale magari senza più quel premio di maggioranza «che ingessa un poco le alleanze». E soprattutto «liberi dal tabù» delle larghe intese, che però sono «scelte straordinarie per situazioni straordinarie», e sì possono realizzare «dopo, non prima del confronto nelle urne».
Secondo Schifani, dinnanzi «al furore dell`antipolitica», i partiti dovrebbero «sfruttare l`occasione offerta dal governo Monti, che al contrario di quanto si dice - ha offerto nuovi spazi alla politica e ai parlamentari, garantendo la centralità delle Camere e rispettandone il ruolo, al punto da aver posto la fiducia al decreto per le liberalizzazioni sul testo redatto dalla Commissione». Nel merito del provvedimento, «strumento di modernizzazione del Paese», si compiace per l`approvazione del «rating sulla legalità delle imprese», testimonianza del fatto che «la politica ha saputo ascoltare la società civile». Quanto all`emendamento che ha innescato la polemica del settore bancario, difende l`operato degli uffici del Senato, che non hanno commesso «alcun errore nella trascrizione del testo»: «E l`esecutivo, che già veniva -indicato da qualcuno come il governo delle banche, giustamente non ha inteso cambiarlo».
C`è un motivo se l`inquilino di Palazzo Madama si dilunga sul l`esame del decreto sulle liberalizzazioni: «Il confronto tra forze politiche si è svolto senza i rancori, i pregiudizi e le risse cui eravamo abituati da anni. Il governo Monti, che è nato grazie al gesto di responsabilità del presidente Berlusconi, ha disintossicato il clima. I primi cento giorni sono stati la prova generale di quel che dovrà accadere in futuro, con i partiti tornati a dialogare. Certo, le prossime Amministrative apriranno un tempo supplementare di polemiche e contrapposizioni. Ma dopo il voto sarà necessaria, direi obbligatoria, una riflessione seria e profonda, perché le forze politiche dovranno rigenerarsi e rinnovarsi. Ciò significa dotarsi di regole sulla trasparenza dei bilanci, aprirsi a innesti di classe dirigente, adottare un nuovo linguaggio e proporre anche volti nuovi con cui parlare ai cittadini».
«Rigenerarsi per porre fine al processo di delegittimazione»: non c`è altra strada, a detta del presidente del Senato. Solo così la politica potrà tornare ad accreditarsi, «senza subire la decapitazione della classe dirigente», presentandosi alla sfida elettorale del 2013. Difficile oggi immaginare quale sarà lo sbocco, se l`esperienza di Monti sarà destinata a protrarsi: «In politica - spiega Schifani - un anno equivale a un secolo. Bisognerà vedere in quale stato di salute arriveranno i partiti e quale conformazione avranno. Così come bisognerà verificare lo stato di salute del Paese. Perché se la crisi dovesse continuare bisognerà riflettere sulle qualità del futuro premier per mettere l`Italia al riparo da ogni pericolo e da ogni aggressione». A voler tradurre il ragionamento, si potrebbe dire che il presidente del Senato non esclude la permanenza del professore a Palazzo Chigi.
La prudenza con cui la seconda carica dello Stato scruta l`orizzonte di governo, lascia invece spazio alla determinazione del dirigente di partito quando affronta il tema che gli sta più a cuore: «La ristrutturazione dell`area moderata, che oggi è divisa e vive un momento non facile». In realtà nelle peste c`è il Pdl che «sta pagando per il gesto di responsabilità compiuto con l`appoggio a Monti. Non c`è dubbio che il nostro elettorato abbia subito un contraccolpo dopo la fine del governo Berlusconi». Schifani ritiene però che si debba guardare oltre, alla riunificazione del blocco moderato», a un «processo di riaggregazione sotto le insegne del Ppe» di quei pezzi che «per storia, cultura e tradizione» sono «destinati a stare insieme». Non cita sigle, non accenna al Fli o all`Udc, ma è chiaro a chi si riferisce quando parla di «alcuni gruppi che puntano alla disarticolazione del blocco con patti di esclusione», e di altri gruppi che «vorrebbero addirittura imporre egemonie inaccettabili». È rispettivamente a Fini e Casini che Schifani allude, sottolineando come «non ci sia futuro senza una ricomposizione di tutte le forze moderate».
Un progetto che «non può passare attraverso una rimozione, un accantonamento» della figura del Cavaliere: «Berlusconi ha deciso di non ricandidarsi a Palazzo Chigi, ma nessuno può pensare che non rimanga uno dei fondatori dell`area moderata. E sarebbe un grave errore, nel percorso di riaggre gazione, ignorarne l`esistenza, perché da solo gode ancora di un consenso molto significativo. Starà a lui stabilire il livello di impegno e l`ambito di azione». Il punto è che il Cavaliere sembra interessato ancora una volta a sparigliare il gioco; con la sua ultima esternazione ha messo all`incanto il Pdl o quel che ne rimane, compreso il segretario che lui stesso aveva imposto al gruppo dirigente: «Conoscendo la stima che Berlusconi ha per Alfano - ribatte Schifani - non credo proprio che abbia potuto esprimersi in modo negativo verso Angelino, un leader dotato di eccezionali capacità organizzative e di grande intuito politico. Sono certo che il suo impegno per la ricomposizione del blocco moderato sarà determinante».
Da esponente di partito non pensa che l`uomo del predellino abbia in serbo un altro colpo di scena, non dice una parola sul progetto attribuito al Cavaliere - quello del cartello di «Tutti per l`Italia» - né tantomeno cede all`idea che il Pdl sia un soggetto politico transitorio. Piuttosto insiste sul disegno di rimettere insieme i pezzi del blocco moderato: «Se la riunificazione dovesse realizzarsi - secondo Schifani - il Pdl sarebbe un elemento centrale del processo, e per il Paese sarebbe un grande successo. Sono certo che all`interno di quel blocco si troverebbero gli equilibri necessari». La verità è che tutto appare precario, mentre il governo Monti continua a svolgere il ruolo di lavatrice e levatrice della politica. E non c`è dubbio - ammette il presidente del Senato - che l`eàecutivo tecnico abbia «prodotto grandi novità»: «Noi stiamo in effetti vivendo dentro un`esperienza di larghe intese. Ma vorrei far notare a chi cita il caso tedesco che in Germania, dopo la Grofie Koalition, si è tornati al principio dell`alternanza. Certo, è importante che sia stato sfatato un tabù. Ma simili governi, storicamente, sono frutto di scelte straordinarie. E che queste formule non vengono proposte prima delle elezioni, ma adottate dopo le elezioni, in circostanze altrettanto straordinarie».
Quello di Schifani sembra un promemoria per Casini, a cui si aggiunge un promemoria per i partiti sul futuro sistema di voto: «Confido nel processo riformatore delle forze politiche e sono fiducioso sul fatto che verrà ristabilito un rapporto diretto tra elettore ed eletto. È chiaro che un accordo sul nuovo modello avverrà a ridosso delle. Politiche, e a quel punto si dovrà decidere se tenere, cancellare o ridimensionare il premio di maggioranza». E solo un accenno, ma tanto basta per capire quale sia la preferenza di Schifani: il ritorno al proporzionale sul modello tedesco. Da presidente del Senato, però, non può spingersi oltre. Così come da uomo di partito glissa sul suo mancato invito alla scuola di formazione del Pdl che si terrà a Orvieto. Strano che a via dell`Umiltà abbiano dimenticato di invitarlo...