«Allarme carceri, il Senato è pronto: subito la riforma»
Lettera del Presidente del Senato, Renato Schifani al quotidiano "Il Giornale"
Lettera del Presidente del Senato, Renato Schifani al quotidiano "Il Giornale", in risposta all'articolo di Melania Rizzoli e dell'articolo di Vittorio Feltri del 29 aprile 2012
Ci voleva la sensibilità e la professionalità di Melania Rizzoli, medico e parlamentare del Pdl, per metterci ancora una volta di fronte, con un suolibro, alla tragedia senza fine delle carceri italiane. E ci voleva la penna amara e affilata di Vittorio Feltri per ricordarci che, di fronte a uno scandalo così grande, un Paese che si dice civile non abbia saputo trovare altra strada se non quella della negligenza e dell'ipocrisia. Era un'analisi dura, quella che Il Giornale ha offerto ieri con ben due pagine ai propri lettori. Un'analisi che per fortuna non cedeva né alla comodità dell'indulgenza né al balsamo assolutorio del pietismo e che perciò mi sento di condividere pienamente.
La mia condivisione, debbo pur dirlo, non nasce solo dalla mia antica stima per Melania o dall'apprezzamento per l'asciuttezza con la quale ha voluto segnare le drammatiche pagine del suo "Detenuti", da oggi in libreria. Nasce anche e soprattutto dall'avere percorso, con le mie costanti e continue visite, lo stesso calvario; dall'avere toccato con mano l'orrore delle celle sovraffollate e dei tanti uomini mortificati. Un orrore inimmaginabile, capace di offendere e fustigare qualsiasi coscienza. Perché un detenuto può essere privato della propria libertà, ma mai della propria dignità; e le iniquità che ciascuno di noi puntualmente riscontra quando varca il cancello di un carcere non sono solo la testimonianza di un degrado e di un abbandono; rappresentano anche un atto di accusa, inquietante e insopprimibile, per tutta la classe dirigente e per tutte le istituzioni democratiche. Non mi stanco mai di ripetere, innanzi tutto a me stesso, che la Costituzione prescrive, alla voce giustizia, che la pena deve rispondere a un compito rieducativo e che il detenuto, dopo avere espiato la sua condanna, deve essere messo nelle condizioni di reinserirsi a pieno titolo nella società. Le disumane condizioni dell'universo penitenziario strappano di fatto una norma di civiltà voluta dai nostri padri costituenti e trasformano tutti noi in traditori di un precetto sacro e inviolabile.
Ha ragione Feltri. Di fronte a una situazione che tende sempre più a incancrenirsi e di fronte al lungo elenco di inadempienze, non certo degno
di uno stato di diritto, credo sia venuto il momento di dire basta e di seppellire definitivamente quella ipocrisia che ha consentito finora alla nostra ignavia di buttare la chiave e dimenticare il problema. E per quanto mi riguarda personalmente - anzi, per quanto riguarda l'Istituzione che rappresento - non potrò che proporre ai miei colleghi e alle più alte cariche dello Stato di dedicare all'emergenza carceraria una nuova sessione parlamentare. Posso garantire sin da ora che non sarà e un puro e semplice dibattito, nel corso del quale basterà semplicemente fare qualche inutile atto di contrizione. Per quell'occasione, infatti, dovranno essere presenti in aula i rappresentanti più significativi del governo ai quali chiederò non solo di assistere e prendere nota di ogni suggerimento ma anche di sottoporre al vaglio del Parlamento proposte concrete e
provvedimenti immediati.
So bene, ed è utile sottolinearlo, che l'emergenza da affrontare è una questione immane e che le carceri, con tutte le ingiustizie e le tribolazioni che vi si ritrovano dentro, sono il punto terminale, e perciò dolente, di tanti altri problemi, altrettanto gravi e tutti da risolvere.
Ed è per questo che, secondo me, è necessaria un'intera sessione parlamentare. L'emergenza va affrontata con una visione organica e
complessiva di tutte le cause che concorrono alla costante e inarrestabile moltiplicazione della popolazione carceraria. Intanto, va profondamente rivisitato il concetto di pena, che non può e non deve essere fatta soltanto di carcere e galera: le pene alternative sono, e lo potranno essere ancora di più, una conquista irreversibile delle civiltà occidentali. Poi occorre una depenalizzazione intelligente delle nostre
leggi, nella convinzione politica e culturale che non tutti i mali della società possono essere risolti per via giudiziaria. E occorre soprattutto
il coraggio di rivedere radicalmente l'istituto della carcerazione preventiva: oggi il 42 per cento degli sventurati ammassati dentro le
carceri sono detenuti in attesa di giudizio.
Al di là delle leggi e delle riforme che potranno - io dico: dovranno - venire dal Parlamento, c'è poi una questione che riguarda direttamente il
Governo e la sua capacità di stabilire accordi bilaterali con i Paesi, come il Marocco o l'Albania, che contano un altissimo numero di immigrati
rinchiusi nelle nostre carceri e che, secondo un dettato del diritto internazionale, dovrebbero invece scontare la pena a casa loro. E c'è pure
una questione che riguarda le forze politiche, tutte le forze politiche. Le quali, inutile nasconderlo, non vivono certamente un momento felice: troppe emergenze da risolvere, troppe ostilità da superare. L'emergenza carceraria però, se affrontata bene, può rappresentare per i partiti, in particolare quelli della maggioranza, una irrinunciabile occasione per dimostrare che nella loro agenda non ci sono solo le asprezze delle decisioni economiche ma anche le dimenticate sofferenze degli uomini. La giustizia senza castigo è un'utopia ma la giustizia senza misericordia è una crudeltà, ricordava San Tommaso d'Aquino. Riportare le carceri alla civiltà della misericordia sarebbe oggi una delle più importanti riforme. Una riforma storica, direi.