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Il Presidente: Intervento in Assemblea

Incontro del Presidente del Senato con la Regione Abruzzo

Discorso pronunciato nell'Aula del Consiglio Regionale d'Abruzzo<br />
L'Aquila

Il Presidente Marini durante il suo intervento al Consiglio Regionale dell'AbruzzoVoglio, anzitutto, rivolgere un caloroso saluto e un ringraziamento ai Rappresentanti della Regione - al Presidente della Giunta Regionale Ottaviano Del Turco e al Presidente del Consiglio Regionale Marino Roselli - per avermi invitato a questo incontro istituzionale.

Il mio saluto si estende, naturalmente, a tutti i Consiglieri Regionali, a tutti gli Assessori, a tutti gli Amministratori locali presenti, a tutte le altre Autorità che hanno voluto partecipare a questo incontro, a tutti i cittadini.

Questa è la mia prima occasione istituzionale pubblica, come Presidente del Senato.
Sono davvero contento che si svolga in Abruzzo.
Questo è dovuto certamente al mio naturale legame con questa terra, ma anche dovuto - e voglio sottolinearlo - alla prontezza con la quale i Vostri rappresentanti mi hanno invitato e sollecitato ad intervenire.

Chi mi conosce - e fra di voi ci sono molti che mi conoscono da anni - sa bene che io non sono mai troppo disponibile a svolgere discorsi di protocollo, né tantomeno a leggerli.
Tuttavia, questa circostanza mi ha fatto riflettere e mi ha stimolato a porgervi qualche breve considerazione, che, dichiaro fin d'ora, per me impegnativa.
Pertanto, ho preferito fissare alcuni punti che vi esporrò.

Lasciatemi, però, ancora dire, a Voi che mi conoscete da tempo, di non pensare che l'Alta carica, alla quale i Senatori mi hanno eletto, abbia mutato più di tanto il mio modo di essere.

Questo incontro ha, per me, diversi significati: ha, anzitutto, il carattere di un rafforzamento profondo del mandato di Senatore che l'Abruzzo mi ha dato alle recenti elezioni politiche; ma ha, anche, il significato più generale di testimoniarvi alcune linee di quello che sarà il mio impegno, come Presidente del Senato, sui temi istituzionali delle Regioni e del rapporto tra le stesse Regioni e il Senato della Repubblica.

Tre sono le ragioni di fondo per le quali sono venuto qui, ed altrettanti sono i punti sui quali mi soffermerò brevemente.

Il primo tema che intendo affrontare riguarda proprio il ruolo delle Regioni nel nostro Paese.

Il ritardo con il quale le Regioni sono state istituite pesa ancora sui tempi del loro effettivo decollo, così come grava ancora la tentazione verso quello che è stato definito un neo-centralismo regionale.
Con la nascita delle Regioni, negli anni Settanta, abbiamo voluto limitare e invertire la logica del centralismo statale. A valle di questo si sono, però, manifestate e diffuse concrete forme di neo-centralismo regionale, spesso soffocanti nei confronti delle Autonomie locali.
Vorrei solo ricordare che la Costituzione - all'articolo 5, tra i Principi fondamentali - dice che "la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le Autonomie locali".
E', perciò, impegno forte delle Regioni e dello Stato quello di far esprimere e crescere la capacità progettuale e di rappresentanza dei Comuni e delle Province, in un orizzonte di grande responsabilità e impegno per ciascuna comunità locale.
Si devono rafforzare gli strumenti e le sedi di partecipazione e di corresponsabilità tra la Regione e il reticolo delle Autonomie, che esprime la profonda vitalità della società.

Negli anni recenti, con un percorso un po' affrettato e incompleto, il nostro regionalismo si è molto rafforzato, fino ad assumere una posizione "concorrente" con quella dello Stato centrale in moltissimi, decisivi, settori della vita economica e sociale del Paese.
Mi riferisco alla riforma del Titolo V della Costituzione, approvata al termine del precedente ciclo politico di centro-sinistra con un voto di maggioranza sottoposto, poi, a referendum popolare confermativo.

Molti nodi attuativi, emersi con quella importante riforma, non sono ancora stati risolti.
Penso, anzitutto, al tema della fiscalità (articolo 119) in relazione alle capacità e alle necessità di ciascun territorio, e, quindi, anche al tema della solidarietà tra Regioni, tra territori, nell'uguaglianza dei diritti per tutti i cittadini della Repubblica.
Penso poi al tema della funzione essenziale dello Stato nazionale, all'esigenza di non veder attenuata quella necessaria capacità di iniziativa dello Stato unitario in una fase nella quale vi sono sollecitazioni diverse e rischi di disarticolazione; siamo, infatti, coinvolti dalle dinamiche di integrazione europea e, insieme, da spinte localiste non prive di ragioni.
Ma penso, anche, al tema dell'efficienza e della capacità operativa delle stesse Regioni, con i loro apparati burocratici; dobbiamo evitare di appesantire di regolamentazioni e di inefficienza la vita economica e sociale locale, specie per le piccole iniziative economiche e per i cittadini più deboli.
Il nostro Paese vive, infatti, ancora profondi squilibri nelle condizioni oggettive delle comunità locali e nelle aspettative.
Le aree centro-settentrionali più sviluppate sono stimolate dalla sfida competitiva dei mercati mondiali.
Le regioni del Mezzogiorno rappresentano, invece, la nostra maggiore potenzialità di nuova crescita.

Pur fra tante difficoltà sta, dunque, emergendo la nostra originale via nazionale ad un Federalismo, che deve però ancora trovare una sua equilibratura.
Ci vuole, infatti, una maggiore integrazione tra le spinte di autonomia e di rappresentanza che vengono dai diversi territori del Paese, e la condivisione di uno Stato unitario moderno ed efficiente, capace di assicurare la tutela di quei principi essenziali della Costituzione che noi dobbiamo tenere come una conquista intangibile della nostra democrazia.

Le stesse Regioni devono, però, imboccare un percorso di autoriforma più incisivo e lucido.
La stagione degli Statuti - e le speranze che questi avevano creato - non ha ancora dato tutti i propri frutti.
Il potenziamento del ruolo dell'Esecutivo regionale ha risposto certamente ad una domanda di maggiore incisività e responsabilità.
Anche se vi è stato qualche eccesso mediatico nell'interpretazione del ruolo dei Presidenti, confondendolo con la figura dei Governatori, che non appartiene al nostro ordinamento e alla nostra storia.
Gli apparati burocratici devono essere semplificati e liberati da compiti di gestione, per concentrarsi invece su quelli della programmazione esecutiva e sul sostegno alle capacità gestionali dei soggetti locali pubblici e privati.
In questo quadro si deve, poi, anche costruire un ruolo, altrettanto forte, nelle funzioni di vigilanza, indirizzo e controllo da parte delle Assemblee Regionali.
Così come anche la legislazione elettorale regionale, lasciata troppo all'autonomia locale, rischia di non favorire una adeguata rappresentanza dei diversi territori nelle Assemblee delle Regioni.
Un rafforzamento dei Consigli Regionali è, dunque, la condizione per una più autentica capacità di rappresentanza della realtà regionale e per la costruzione delle linee di sviluppo e di crescita più incisive.

In sintesi, vorrei dirVi - ricorrendo ad una efficace espressione di Luigi Sturzo - che, dal regionalismo amministrativo e di mere competenze funzionali, dobbiamo crescere verso un compiuto regionalismo politico.
Cioè verso una maturazione di classi dirigenti regionali capaci di una forte e alta progettualità politica, capaci di rendere concreti nei tempi efficaci questi progetti, capaci di rappresentare gli interessi economici e sociali senza esserne condizionati o limitati.
Senza una più alta cultura politica regionale sarà davvero difficile consolidare la nostra via federalista, e finirebbe per aver ragione chi oggi cavalca le spinte verso un indebolimento del decentramento e la riduzione delle funzioni locali.

Vi è, poi, un secondo punto che vi debbo rappresentare.
E' quello relativo al ruolo e alla funzione del Senato di fronte alla scommessa della crescita del nostro originale modello regional-federalista.
Il problema riguarda, appunto, il rapporto tra le Regioni e il Senato.
Non è un accostamento rituale o di circostanza.

I Padri Costituenti avevano, infatti, ben chiara l'idea che la composizione - ed anche la funzione stessa del Senato - dovesse avere una originale soluzione, per meglio rappresentare le diversità territoriali del Paese.
La formulazione dell'articolo 57 della Costituzione si fermò alla definizione che vede il "Senato della Repubblica eletto su base regionale".
Ma è bene rileggere oggi, con attenzione, quale fu il dibattito di allora, perché tutti i germi vitali dell'evoluzione necessaria erano già presenti.
"Base regionale - dichiarò Costantino Mortati durante i lavori della Costituente - significa collegamento stabile e istituzionale fra l'ordinamento regionale e il Senato".

Il primo progetto approvato al termine dei lavori preparatori della Costituente prevedeva chiaramente che "I Senatori sono eletti per un terzo dai membri del Consiglio regionale e per due terzi a suffragio universale e diretto con il sistema del collegio uninominale".
Poi, le diffuse preoccupazioni politiche, per la possibile disarticolazione territoriale, portarono i Costituenti a limitare questa proposta ai suoi tratti essenziali (il Senato eletto a base regionale), dai quali però già si poteva evincere la naturale evoluzione connessa.
Le tensioni interne e internazionali del 1947 non erano certo quelle di oggi !

Il completamento del nostro originale modello regional-federalista dovrà, pertanto, avere un suo fondamentale tassello nella riforma del Senato.
Un Senato che, per effetto della legge elettorale attuale, ha visto, in questa fase, indebolire il suo rapporto diretto con il territorio, a causa della eliminazione dei Collegi elettorali e dei legami che questi rappresentavano.
Al di là di quello che sarà l'esito del Referendum della fine di giugno - nel quale i cittadini sono chiamati a pronunciarsi sulla validità della complessa proposta approvata nella scorsa Legislatura dalla maggioranza di centro-destra - non vi è chi non veda, comunque, l'esigenza di precisare e completare la funzione di un nuovo Senato.
Anche in questo caso - come in parte fu nel 2001 - una certa frettolosità unilaterale ha finito per produrre una soluzione insufficiente e, per certi aspetti, anche squilibrata.

Bisogna superare le spinte ad una rottura del rapporto essenziale di solidarietà fra le Regioni che la proposta, sottoposta al Referendum di giugno, contiene.
Ma, come dicevo - al di là dell'esito referendario - bisognerà, comunque, intervenire - questa volta in modo concorde fra maggioranza e opposizione, e mi faccio io fin d'ora garante di questo per la mia responsabilità - per conferire al Senato una nuova funzionalità e una nuova centralità nel processo di maturazione istituzionale e politica del Paese.
La democrazia bipolare, che assicura più efficienza e stabilità agli esecutivi, esige irrobustimento della rappresentanza, non solo nei livelli locali, ma ancor di più in quello della sintesi nazionale dove occorre far convergere e far cooperare, in un'unica sede istituzionale, i rappresentanti nazionali, quelli espressi dalle Assemblee regionali e quelli provenienti dalle Autonomie locali.
Un Senato così rappresentato darebbe, finalmente, nuova linfa vitale al nostro Bicameralismo, e ne farebbe la sede elettiva per una rappresentanza federale positiva, per una forte partecipazione locale diretta e per la costante costruzione delle trame di intesa e di alleanza tra i diversi territori, tra le specifiche aree del Paese, le cui peculiarità sono e rimarranno differenziate.
Vorrei anche dirVi che sono talmente convinto della necessità di dover dare risposte concrete a questo tema che potremmo promuovere prime esperienze immediate.

Nell'attesa della maturazione condivisa di un simile progetto di riforma, si potrebbe dare subito corpo a quella norma transitoria inserita nella riforma del Titolo V che prevede che il Senato e la Camera - con una semplice riforma dei propri Regolamenti interni - possano prevedere la partecipazione diretta di rappresentanti delle Regioni e delle Autonomie locali nella speciale Commissione Bicamerale per le questioni regionali.

Questo strumento potrebbe così divenire un primo, concreto laboratorio di responsabilità e di azione integrata sui temi di rilevanza comune.
Penso che dovremmo poter dimostrare la maturità democratica e istituzionale - come maggioranza e come opposizione - per far funzionare questo strumento, in attesa di averne uno più organico e completo.

Mi avvicino ora a quello che è il terzo punto che mi sono proposto di toccare in questo mio intervento. Un punto che non può non riguardare, più da vicino, l'Abruzzo e il suo sviluppo.
Sono profondamente legato a questa terra, e non solo perché qui sono nato.
Dal 1994, dopo una breve esperienza romana, ne sono anche divenuto Parlamentare: prima Deputato e oggi Senatore.
Come alcuni di Voi sanno, in questi anni ho posto la gran parte del mio impegno politico nella costruzione di questa democrazia bipolare, di un assetto democratico - con un centro-destra e un centro-sinistra - capace di avvicinarci alle moderne democrazie europee.
Tuttavia, questo non mi ha impedito di essere presente nella vita politica e sociale della nostra Regione, per vederne e ascoltarne più da vicino i problemi e le potenzialità.
Che fare, dunque, perché l'Abruzzo possa completare e irrobustire la sua crescita, in tutte le sue aree ?

Grandi passi avanti sono stati compiuti negli ultimi decenni.
Nel primo dopoguerra (nel 1951) l'Abruzzo aveva un reddito pro-capite medio inferiore di 30 punti rispetto alla media nazionale.
Attualmente questo divario si è ridotto di molto, ma rimane ancora superiore ai 10 punti, con notevoli squilibri tra alcune aree costiere più dinamiche e le aree interne.
Credo che, anche in questo caso, dobbiamo avere la forza e la saggezza di osservare il grande lavoro di chi ci ha preceduto.
Ben ricordo, ad esempio, le critiche che si levarono quando, negli Anni Settanta, si aprirono i primi tratti autostradali: la A24 Roma - L'Aquila e la A25 fino a Pescara.
Con la A14 Adriatica si completava poi un primo modello organico, un telaio fondamentale per dare libertà all'iniziativa economica di accedere ai mercati, e per consentire la mobilità dei cittadini in uscita e in entrata.
Mi domando però oggi cosa sarebbe l'Abruzzo senza queste scelte decisive, senza queste arterie vitali che hanno liberato dall'isolamento e dalla marginalità centinaia di piccole e medie comunità locali; che hanno collegato velocemente l'Adriatico con il Tirreno, l'Abruzzo con Roma, tutta la regione con il Nord e il Sud del Paese.

La prospettiva, che io vedo, muove sempre da questo punto non ancora sufficientemente completato.
L'Abruzzo ha, infatti, bisogno, urgente, di irrobustire e articolare ulteriormente il reticolo delle infrastrutture; di potenziare il suo unico Aeroporto, il cui traffico è cresciuto enormemente negli anni recenti; di valorizzare i suoi Porti per il trasporto merci e di persone attraverso l'Adriatico, con un ponte permanente verso i Balcani; di riqualificare l'asse ferroviario esistente Roma - Pescara, quantomeno, nel breve termine, per il pendolarismo tra le aree interne e Roma e tra la costa pescarese e il suo interno; di diffondere i collegamenti informatici e telematici in tutti i piccoli centri, in tutte le strutture pubbliche, in tutte le attività di impresa, in tutte le scuole e università.

Dunque un nuovo disegno di Autostrade non più solo terrestri, ma aeree, marittime, ferroviarie e telematiche. Un nuovo insieme di assi dinamici in grado di connettere stabilmente l'Abruzzo con il Paese, con l'Europa, con il contesto mondiale.
Ponti privilegiati, in questo quadro, devono essere gettati con l'Europa orientale e le sue straordinarie potenzialità economiche, e con la stessa grande area romana e tirrenica.
Dunque, un nuovo disegno integrato di Autostrade del Mare e di Autostrade del Cielo, di nuove linee di trasporto fisico e di movimento di informazioni, in grado di incrementare l'offerta di mobilità e di trasporto senza ulteriori pesanti costi per il nostro territorio.
Da questo punto di vista, vorrei rivolgere un invito alla Regione e a tutti gli Amministratori locali presenti, come abruzzese che ama camminare nei nostri boschi e nei nostri meravigliosi altipiani.
Un invito, particolare, a curare la qualità delle progettazioni e degli interventi.

Un invito a fare delle cose "belle", che non significa sempre cose particolarmente costose, ma, invece, cose ben fatte, legate alla nostra tradizione e alla nostra cultura.
E' chiaro, ad esempio, che anche la viabilità ordinaria deve essere migliorata e messa in condizioni di sicurezza.
Così come è chiaro che molte strutture e infrastrutture di servizio devono essere realizzate per dotare i territori di una capacità di attrazione maggiore, e quindi favorire la formazione di maggiore ricchezza e di più larghe opportunità di lavoro per i giovani e per le donne.
Ma è anche chiaro - almeno per me lo è certamente (e vorrei invitare tutti a riflettere di più su questo punto) - che dobbiamo fare tutto questo con una nuova qualità, alzando la soglia culturale dei progetti e degli interventi.
Un territorio così bello e ricco merita un grande rispetto e, insieme, una grande qualità tecnica nella elaborazione dei progetti e nella realizzazione delle opere.

Abbiamo tante risorse professionali nelle nostre città medie e piccole. Abbiamo tanti giovani che hanno fatto buoni studi.
Valorizziamo questo potenziale con intelligenza e, quando serve, chiediamo anche aiuto all'esterno, con pragmatismo e concretezza.
Solo in questo modo potremo arricchire e specializzare l'offerta di mobilità e di trasporto per far crescere le naturali vocazioni turistiche, commerciali, logistiche, ambientali e culturali di questa straordinaria Regione.

Le difficoltà economiche degli ultimi anni hanno aggredito anche il tessuto manifatturiero abruzzese.
Abbiamo alcune situazioni di tensione e di difficoltà occupazionale, alle quali bisognerà dare risposte moderne e non assistenzialistiche.
Tuttavia abbiamo anche segnali positivi di tenuta e di innovazione nel tessuto industriale, fatto di medie e piccole iniziative qualificate.
Questo tessuto, che ha presenze significative anche in alcune aree interne, deve essere sostenuto e potenziato, incrementando i livelli di qualità dei processi produttivi e dei prodotti, favorendo gli investimenti nella ricerca e nelle nuove tecnologie, puntando a più stretti collegamenti con le Università abruzzesi che hanno ormai, da tempo, superato i loro esami di maturità.

Tuttavia la scommessa più grande rimane, oggi, quella di sostenere la creazione di valore economico nella aree interne, nei piccoli Comuni, riproponendo in modo moderno e qualificato quelle peculiarità, quelle tipicità delle quali si avverte una domanda crescente.
Il grande bacino di consumatori rappresentato dall'area romana, insieme ad una intelligente apertura a segmenti di mercato internazionale possono rappresentare quel mix vincente di domanda, del quale già in questi anni si sono visti i primi importanti segnali.

Nel concludere questo mio intervento, vorrei invitare tutti alla costruzione di una nuova sobrietà della politica. La nostra giovane democrazia bipolare deve rapidamente maturare e consolidarsi.
Per fare questo è necessario affermare un rapporto di riconoscimento e di rispetto vero tra maggioranza e opposizione, in tutte le Assemblee democratiche, nazionali e locali; far crescere il senso di impegno comune per il bene del Paese; assicurare una maggiore efficacia delle iniziative politiche, facendo prevalere la cultura del fare, invece di quella dell'annunciare; diminuire, senza moralismi, i costi della politica, a tutti i livelli.

Una nuova sobrietà che è condizione essenziale anche per una più forte dignità della politica di fronte ai cittadini. L'Abruzzo è una terra di sobrietà e di valori profondi, di legami sociali veri.
Facciamo partire dall'Abruzzo, senza retorica, ma con i nostri valori e le nostre virtù, una stagione nuova per tutto il Paese.