Commemorazione di Luciano Lama nel 10° Anniversario della scomparsa
Palazzo Giustiniani, Sala Zuccari
Signor Presidente della Repubblica,
Onorevoli colleghi,
Gentili ospiti,
dieci anni or sono, proprio il 31 maggio 1996, scompariva prematuramente Luciano Lama, all'età di settantaquattro anni, dopo un'esistenza spesa interamente nell'impegno sindacale e politico.
Il breve intervallo cronologico che ci separa da quella data - ma soprattutto il carisma di cui egli diede prova prima alla guida della Cgil in un quindicennio tra i più difficili della nostra storia e poi nell'attività parlamentare - rendono ancora vivo il suo ricordo, sia in coloro che ebbero la fortuna di conoscerlo personalmente, sia nella memoria collettiva del Paese.
Credo che dobbiamo essere grati alla Cgil ed al suo Segretario generale Guglielmo Epifani per aver voluto, quest'oggi, dedicare al ricordo di Lama, ed alla riflessione sulla sua vita e azione pubblica, questa iniziativa che, ben volentieri - non solo perché Lama fu Senatore, e Vice Presidente del Senato dal 1987 al 1994 - il Senato ospita.
Voglio, però, subito dirVi che svolgerò questo mio intervento conclusivo non solo per gli obblighi che mi derivano dalla carica che qui mi è stata affidata, ma anche con la partecipazione di chi ha vissuto con Luciano Lama alcune pagine importanti della nostra vita sociale e politica.
Sia, dunque, consentito a me - che qualche tempo ho vissuto nel Sindacato e qualche responsabilità ricoperto - dire che Luciano Lama è ben più di un importante leader sindacale, la cui impronta è netta nella storia delle organizzazioni dei lavoratori e delle relazioni industriali.
La sua figura, e il suo impegno diretto, accompagnano la crescita della nostra Repubblica fin dai giorni drammatici della lotta per la Liberazione dell'Italia dal nazifascismo.
Dopo una prima, lunga, esperienza come Deputato Lama lascia la Camera quando il Sindacato decise l'incompatibilità tra attività parlamentare e attività sindacale.
Ritornerà poi in Parlamento al termine della sua responsabilità di dirigente sindacale.
Eletto Senatore nella X legislatura a Palazzo Madama ricoprì, subito, incarichi di rilievo.
Il 9 luglio 1987 fu eletto Vicepresidente del Senato con il più alto numero di voti.
Mi piace riproporre, oggi, la testimonianza diretta, dedicata proprio all'incarico di Vicepresidente, che Nicola Mancino, Presidente del Senato, rese nella Commemorazione in Aula il 5 giugno 1996:
«Lama ricoprì la carica ed assolse alle sue funzioni - disse appunto Mancino - con una autorevolezza congenita, sempre solennemente rappresentata nel portamento austero, quasi sigillo fisico di virtù morali».
Mi ritrovo pienamente.
C'era una corrispondenza diretta tra l'aspetto dell'uomo e la sua temperie morale.
Un amico nei giorni scorsi mi ha ricordato che Lama, assillato una volta da un intervistatore particolarmente zelante, disse di sentirsi un poco somigliante ad una pesca: morbida fuori ma dura, durissima, dentro.
Nel nocciolo: là dove stanno fermissimi, radicati, i principi, i valori.
Componente della Commissione permanente Lavoro e Previdenza sociale fu tra i promotori della richiesta di istituzione di una Commissione monocamerale di inchiesta sulle condizioni di lavoro nelle aziende.
Di tale Commissione speciale divenne Presidente, svolgendo il lavoro con particolare impegno e profondità.
La Commissione - istituita dopo il tragico incidente nei Cantieri navali di Ravenna, dove persero la vita 13 lavoratori - fece numerosi sopralluoghi negli ambienti di lavoro e promosse parecchie audizioni di responsabili del settore.
I lavori si conclusero il 20 dicembre 1989 con l'approvazione di una Relazione finale, e con numerose proposte innovative, già redatte in forma di provvedimenti di legge allegati alla Relazione.
La gran parte delle proposte già recepiva e introduceva nel Paese le più avanzate disposizioni comunitarie in materia.
Durante il suo impegno parlamentare in Senato rimane assai viva, come filo conduttore della sua vita e della sua iniziativa, l'attenzione speciale per i problemi legati al mondo del lavoro e alla tutela dei lavoratori.
Traggo dalla raccolta dei suoi Discorsi parlamentari, pubblicata dal Senato nel 2004, introdotta da un bellissimo saggio del senatore Cesare Salvi, un brano che a me pare quantomai illuminante dell'impegno prima descritto e dell'altissima considerazione delle nostre istituzioni democratiche.
Lama, concludendo l'illustrazione di una mozione di cui è primo firmatario sulla sicurezza del lavoro nelle aziende, afferma:
«in questo nostro mondo tutti hanno una parola di comprensione per il lavoratore infortunato o ammalato, ma poi quasi nessuno si pone pazientemente e pervicacemente alla ricerca delle cause di quell'infortunio o di quella malattia e, un momento dopo aver pronunciato parole che in questo modo diventano di circostanza, se ne scorda e pensa ad altro. Non dobbiamo permettere che un fine umanitario così alto e nobile scada al livello di frasi di circostanza, senza alcun seguito nell'azione delle istituzioni democratiche».
Noto, nelle ultime parole, un forte richiamo alle responsabilità e alla coerenza dei Parlamentari.
Sui momenti più drammatici e complessi della sua esperienza di leader sindacale si è tanto indagato e riflettuto.
Mi riferisco alla tragica stagione della lotta armata e della ferma reazione del Sindacato che non tentennò, mai, dinanzi al tentativo di piegare anche le giuste lotte operaie alla ribellione contro lo Stato, le sue istituzioni ed i suoi uomini.
Ma non posso non riferirmi, anche, al conflitto tra le due più grandi Organizzazioni dei Lavoratori attorno alla scala mobile, alla svolta dell'Eur e al cosiddetto accordo di San Valentino, prima, e al Referendum poi.
Nel luglio del 1990 - intervenendo al Senato, in una fase nella quale i rapporti tra le Parti sociali tornarono ad essere scottanti - ebbe modo di riprender lucidamente, e senza giri di parole, il tema della scala mobile, che tante fratture aveva provocato negli anni precedenti:
«La scala mobile - disse Lama - non porta né in Paradiso, né all'Inferno¿.Non si tratta né di uno strumento da Terzo Mondo, né dell'ultima invenzione per realizzare la rivoluzione sociale».
«Questa non era la causa principale dell'inflazione ma, poteva in alcuni casi diventarlo», sommandosi ad altri fattori, quali «l'andamento dei prezzi internazionali, le politiche monetarie, lo sviluppo tecnologico, la capacità di governo e di sviluppo dell'industria, la dilatazione dei consumi».
Poche parole voglio spendere, ancora, a proposito della cifra costante, rintracciabile sempre nell'azione sindacale e politica di Luciano Lama: la scelta riformista.
Ricordo che non amava sentirsi dire e dare del riformista.
C'è stato un periodo della nostra storia in cui questa sembrava e suonava quasi come una parola negativa a sinistra.
Non era così nella mia parte del campo politico e sindacale, ma nella sua sì.
E ne soffriva.
Ma a Lama non metteva paura la parola in sé.
Lo urtava la connotazione erroneamente ribassista che il termine aveva assunto nella vulgata della sua parte politica e, largamente, anche nel Sindacato.
Perché sapeva, per esperienza personale, quanto - mi sia consentito dire - la gradualità sia ¿ rivoluzionaria ed il massimalismo conservatore.
La sua cultura era quella di chi, cresciuto lavorando e studiando, ottenendo e verificando di continuo i mandati per guidare in posizioni di responsabilità sempre maggiore un'organizzazione fatta di milioni di donne e uomini, di lavoratrici e lavoratori, conosce bene la pazienza e la fermezza della mediazione che è necessaria ogni giorno.
Come pure la dura fatica che costa misurarsi con le controparti per conquistare condizioni di lavoro e quindi di vita migliori, più giuste, più rispettose della dignità dei lavoratori e delle loro famiglie ed in ultima analisi tali da garantire reale progresso sociale e civile del Paese.
Nella pubblicazione del Senato, sono ben riportate le parole con cui Lama rivede, negli ultimi anni della sua vita, ciò a cui si è dedicato:
«impegno per un programma riformatore, per cambiare questa società democraticamente dando concretezza ai valori storici del socialismo: l'eguaglianza, la libertà, la democrazia, lo sviluppo, la conoscenza, la giustizia, la salute, la pace. Sono i valori - dice Lama - che contano nel progresso umano e quindi non dobbiamo abbandonarli all'ideologia ma viverli quotidianamente».
Ecco, a me pare una sintesi perfetta di teoria e prassi riformista.
Riformismo oggi è parola meno negletta nel panorama politico e culturale italiano.
Anzi, all'opposto, molto in voga. In qualche caso abusata e confusa.
Spetta agli operatori politici e a quanti si cimentano con le idee evitare che venga devalorizzata, svuotata, messa sul banco delle opinioni utili per tutte le occasioni, come le offerte nei supermarket.
Al contrario occorre darle robustezza, peso, spessore, forza.
Ma anche futuro!
Quel futuro che le appartiene di diritto perché ha dimostrato di poter essere vincente, di aver superato gli esami della storia, non solo italiana, a differenza di altre parole.
Ma, anche perché, in nome del riformismo, si sono spesi con fatica, sacrificio e coraggio, uomini - tra cui Luciano Lama - che hanno mostrato di avere lo sguardo più lungo di altri ed anche quella forza, che è dei leaders.
La forza di non seguire l'onda, di non lasciarsi trascinare dal vento più forte, ma resistere - non in nome di un vezzo o di una presunta superiorità intellettuale - ma con la consapevolezza della bontà delle proprie idee, della fondatezza di esse e, soprattutto, della rispondenza con i principi ed i valori a cui si sono sempre ispirate tante battaglie nel Sindacato e nella politica.