A cinque anni dall'11 settembre 2001
Discorso pronunciato in Sala Zuccari nel corso della cerimonia di commemorazione delle vittime nel quinto anniversario degli attentati del 2001.
Onorevoli Colleghi,
rivolgo anzitutto un saluto e un ringraziamento a tutte le Autorità presenti, per aver aderito all'invito a ritrovarci insieme quest'oggi.
Un particolare ringraziamento all'Ambasciatore degli Stati Uniti d'America per le parole che ha voluto pronunciare. La Sua presenza e la Sua testimonianza, Signor Ambasciatore, ci sono particolarmente gradite.
Ho fortemente voluto promuovere questa commemorazione, d'intesa con l'Ambasciatore Spogli, per confermare - in modo non formale - la nostra amicizia e la nostra vicinanza al Popolo americano.
Desidero perciò chiederle - certamente interpretando tutti i presenti e tutta la nostra Nazione - che, attraverso di Lei, possa giungere al Popolo americano la forza della nostra sincera amicizia e la rinnovata vicinanza nel Quinto Anniversario degli inumani attentati di New York e Washington.
In questa occasione desidero, in apertura, sottolineare tre aspetti importanti.
In quel giorno, che le cronache descrissero come una frizzante e luminosa giornata - di quelle che gli americani della costa atlantica conoscono bene con il nome di "estate indiana" - la follia assassina dei terroristi falciò, in pochi istanti, circa tremila vite innocenti.
Nella memoria di tutti noi sono rimaste indelebili le immagini, tanto incredibili quanto strazianti, di quei momenti: non si possono cancellare né, credo, si vorranno mai dimenticare.
Ci troviamo di fronte ad immagini di sofferenze inaudite, insieme ad immagini di straordinario eroismo e di abnegazione epica dei soccorritori di fronte ad una sciagura di proporzioni terrificanti.
L'orrore artificiale di tante pellicole di fantascienza divenne improvvisa realtà, per il disegno di menti diaboliche e per la volontà di pochi uomini posseduti da un fondamentalismo totalitario.
A tutte le vittime va oggi il nostro commosso ricordo:
- ai tanti che quella mattina, per lavoro, si trovavano nelle Torri gemelle,
- ai passeggeri e agli equipaggi degli Airbus,
- ai meno conosciuti che operavano presso il Pentagono,
- ai soccorritori periti nel disperato tentativo di salvare il maggior numero di vite umane nel cuore di Manhattan,
- a quanti sono morti nei mesi successivi per gli effetti di quegli atti.
A tutti costoro, e alle loro famiglie, va oggi il nostro primo pensiero.
Di fronte a fatti così gravi ci sentiamo "tutti americani", riprendendo il senso delle espressioni del Presidente Kennedy dinanzi al Muro di Berlino e al suo tragico significato.
Oggi come allora, la tragedia dell'11 settembre del 2001 - quella assurda carneficina - ci appartiene, ha colpito anche noi: se non i nostri corpi, certo i nostri cuori, le nostre menti, il nostro spirito.
Voglio anche ricordare come l'allora Presidente del Consiglio, on. Silvio Berlusconi, affermò - esprimendo il sentimento unanime del popolo italiano - che l'Italia era al fianco degli Stati Uniti.
Queste espressioni, come Lei Signor Ambasciatore sa, rappresentano il forte e costante sentimento dell'Italia, di tutti gli italiani, ieri come oggi.
La fraterna amicizia che lega le nostre Nazioni è robusta come l'acciaio, temprata anche attraverso il lavoro ed il contributo alla crescita degli Stati Uniti di milioni di nostri connazionali emigrati, ma anche attraverso il generoso sacrificio di tante giovani vite di soldati americani, il cui impegno fu determinante per liberare il nostro Paese da una dittatura totalitaria e dall'occupazione nazista.
Ma, soprattutto, il nostro legame è dato da un comune, saldissimo, ancoraggio ai valori della libertà e della democrazia, al rispetto della dignità dell'uomo in ogni espressione della sua vita.
Siamo uniti nella difesa e nella promozione della libertà e della democrazia. E in questo impegno insieme saremo sempre.
«Un giorno buio nella storia dell'umanità». Così il compianto Papa, Giovanni Paolo II, descrisse l'11 settembre del 2001.
Sono sempre stato convinto della profonda verità di queste parole.
Ma dal buio di quel giorno abbiamo iniziato a risollevarci, e a prendere coscienza della lezione che quel tragico evento ci impartiva e ci impartisce.
Se la follia omicida dei terroristi di Al Qaeda aveva come obiettivo la guerra all'Occidente essa produsse, invece, una profonda ferita all'intera umanità colpita da tanta, insensata, atrocità che si credeva cancellata dalla faccia del Pianeta.
Oggi, a cinque anni di distanza, non possiamo negare che fummo tutti presi di sorpresa, non solo perché l'opinione pubblica non aveva avuto alcun sentore, ma perché nessuno si poteva aspettare atti così gravi e devastanti.
Lo sgomento e la sorpresa di allora, ci inducono oggi, a cinque anni, a più approfondite e ragionate considerazioni su quel momento e alla prospettiva attuale.
Quando, nel 1989, si chiudeva una pagina dolorosa della storia mondiale con la caduta del Muro di Berlino e la fine dei regimi totalitari del "socialismo reale", si pensò che, finalmente, si sarebbe aperta una epoca di pace più ampia e forte di quella vissuta nei cinquant'anni del dopoguerra.
La fine del sistema bipolare apriva scenari di nuovi equilibri politici e strategici.
Vi era, in molti, la speranza di un nuovo ordine internazionale, più pacifico, meno chiuso e rigido, più compatibile con gli ideali di libertà e di partecipazione.
L'idea e la visione della globalizzazione si facevano prepotentemente strada con tutto il loro carico di significati e di potenzialità positive, per la circolazione più aperta di idee, conoscenze, esperienze, persone.
Nel breve volger di poco tempo ci si rese, però, conto del fatto che la fine dei due blocchi apriva anche un vuoto politico e ideologico enorme, nel quale trovavano spazio, o riemergevano, tendenze e tensioni soffocate, nazionalismi vecchi e nuovi, forme di razzismo e di xenofobia, fondamentalismi religiosi di varia origine.
La contrapposizione tra mondo "libero" e sistema del "comunismo reale" veniva così, nei fatti, ad essere sostituita da nuove e semplificate contrapposizioni trasversali, come quella tra il Nord e il Sud del mondo, o quella tra un Occidente democratico e capitalista e un Mondo islamico che qualcuno dipingeva compattamente ostile.
L'11 settembre è stato anche la fine di una visione superficiale, di un sogno illusorio, che pure molti avevano coltivato, circa la possibilità di una pace più ampia e aperta come effetto automatico della fine della "Guerra fredda".
L'11 settembre di cinque anni fa ha determinato una forte presa di coscienza, che ha coinvolto fortemente anche il nostro Paese, sulla necessità di un impegno senza equivoci o riserve contro il terrorismo.
Tutto il mondo civile, ad ogni latitudine e senza incrinature, al di là di interessi e logiche particolari, deve portare avanti senza dubbi una lotta senza quartiere ai fenomeni del terrorismo, ai suoi attori materiali e ai suoi mandanti.
La corale reazione della Comunità internazionale che, unendo Paesi e Nazioni di ogni latitudine, consentì la nascita di uno spirito di coalizione per sconfiggere il terrorismo, è stato un primo esempio incoraggiante in questa direzione.
Questo impegno non va attenuato perché i germi sono ancora presenti e vitali, come i recenti episodi inglesi, per fortuna sventati, testimoniano.
Proprio nei giorni scorsi il Presidente Bush ha affermato che «l'America è più sicura ma non ancora del tutto sicura».
In tutto il mondo libero la lotta al terrorismo fondamentalista deve dunque proseguire, senza sosta e senza incertezze.
Dobbiamo combattere quelle che, oggi, sono le centrali di questo grande crimine contro l'umanità e la civiltà, ma dobbiamo però anche investire un più costante e serio impegno per tagliare le radici, i bacini di reclutamento di persone disperate.
Dobbiamo eliminare almeno le ragioni più evidenti e profonde che alimentano, nelle masse diseredate dei Pesi più arretrati, l'illusione di poter contrastare il mondo civile con queste armi di terrore e di morte.
Sappiamo tutti che il terrorismo dispone di ingenti risorse finanziarie, e sfrutta con abile propaganda la disperazione e la miseria delle fasce più povere e disperate della popolazione delle aree più misere del Pianeta.
Ci sono però due considerazioni che mi spingono ad affermare che in questo conflitto due primi successi li abbiamo fin qui ottenuti.
Colpendo al cuore l'Occidente, nei suoi simboli più manifesti, i terroristi hanno tentato di scardinare i nostri sistemi democratici, di trasformare i nostri Stati in regimi di polizia dove sarebbero state oppresse, in nome della sicurezza in pericolo, le garanzie di libertà.
Ciò non è successo. Non poteva succedere. E, su questo, hanno fallito.
Al Presidente Franklin Delano Roosevelt si attribuisce questo pensiero: «la sola cosa che dobbiamo temere è la paura».
Credo che gli Stati Uniti, e l'intero mondo democratico, abbiano fatto proprio questo monito: non ci siamo fatti sconfiggere dalla paura che avrebbe potuto, com'era nelle intenzioni dei "signori del terrore", riportare indietro le lancette dell'orologio dei nostri sistemi di democrazia liberale.
Dobbiamo sapere bene, però, che il fondamentalismo non è l'Islam. E non c'è nessuna Guerra Santa dichiarata dal mondo musulmano all'Occidente.
Come ha ribadito nei giorni scorsi Papa Benedetto XVI: «La religione non può che essere foriera di pace. A nessuno è lecito assumere il motivo della differenza religiosa come presupposto o pretesto di un atteggiamento bellicoso verso altri essere umani».
Ecco, dunque, l'altra sconfitta profonda dei terroristi. Hanno provato a far credere che l'Islam fosse fondamentalismo, intolleranza, radicalismo fanatico. Hanno tentato di imporre lo schema che poi è stato definito come "scontro di civiltà". Ma in questa trappola le nostre democrazie non sono cadute.
I Gruppi come Al Qaeda che, certo, hanno appoggi e sostegni in aree grigie di alcuni Paesi del medio e dell'estremo oriente, non sono né le truppe, né le avanguardie di una presunta nazione musulmana scesa in "Guerra Santa" contro l'Occidente.
Sul piano dell'azione di indagine e di repressione, la lotta al terrorismo è lontana dal dirsi conclusa. Ma possiamo invece, con altrettanta chiarezza, riconoscere che la vitalità civile e la coscienza democratica dei nostri Paesi, hanno saputo irrimediabilmente sconfiggere - sul piano culturale e politico - questi uomini della morte, e le loro aberranti idee e i loro rituali parareligiosi.
Onorevoli Colleghi e Autorità,
Signor Ambasciatore,
abbiamo l'obbligo verso noi stessi, ma soprattutto verso i nostri figli e le nuove generazioni di tutto il mondo, di costruire un futuro di pace. Per questo è giusto reagire alle minacce reali, evitando pericolose semplificazioni.
Per questo è giusto mobilitare la Comunità internazionale - come avvenuto di recente in Libano - e assumere dirette responsabilità, come il Governo del nostro Paese ha fatto, per interrompere rischiose escalation militari solo in apparenza "locali".
Il mio auspicio, senza esitazione, è che il Parlamento - come hanno già fatto con una Risoluzione congiunta le Commissioni Esteri e Difesa - sia capace di confermare, su questo interesse fondamentale, una posizione di larghissima condivisione. Per questo è giusto sostenere, con lealtà e disinteresse, processi di libertà e di democrazia in ogni angolo del Pianeta.
Dobbiamo, noi, la Comunità internazionale, sostenere con grande decisione e generosità i processi di formazione libera, perché un numero sempre più ampio di fanciulli e di giovani - ragazzi e ragazze - frequentino le scuole e ricevano una educazione aperta e positiva. E' questa la nuova frontiera per una vera emancipazione sociale nel mondo dopo i primi, grandiosi, progressi conseguiti nella lotta alla fame.
La Comunità internazionale deve impegnarsi ad assottigliare quelle sacche di miseria e di povertà, dove possono attecchire rancori e odi, che sono il terreno di coltura per il radicalismo e la propaganda estremista. E' questa la speranza che dobbiamo coltivare, non solo per la nostra sicurezza, ma per il bene dell'Umanità.
Per costruire, allora, un futuro di pace - insieme alla fermezza senza equivoci contro i violenti - non c'è altra via che il dialogo, la paziente fatica di comprendersi, conoscersi, apprezzarsi, rispettarsi.
Per effetto dei sistemi multimediali i ragazzi e le ragazze di tutto il mondo vedono il nostro Occidente e, certamente, sperano di poter vivere in un mondo più civile e giusto. Se vogliamo superare le difficoltà dell'oggi non dobbiamo chiuderci a queste aspettative, ma dobbiamo affrontarle con coraggio e passione civile e politica.
Dai momenti più duri il mondo civile ha saputo sempre risollevarsi con fiducia nelle proprie capacità, guardando in avanti, valorizzando con intelligenza le energie che ci sono.
Noi italiani ed europei abbiamo sempre guardato con ammirazione la straordinaria esperienza di libertà e di progresso rappresentata dalla Democrazia Americana. Una Democrazia fatta da uomini e di uomini - e perciò non certo esente da errori - ma le cui radici sono animate da profondi valori umani e religiosi di promozione dell'uomo e di libera realizzazione dei suoi ideali e delle sue aspirazioni nella dimensione della famiglia, nelle comunità civili e delle loro organizzazioni, nell'ordinamento giuridico come sistema di garanzia dei diritti per tutti.
Sono certo che noi italiani - insieme ad una Europa più forte e consapevole delle proprie responsabilità - sapremo rafforzare una collaborazione profonda con gli Stati Uniti d'America per affrontare nelle Istituzioni internazionali le nuove e grandi sfide del mondo.
Dobbiamo, insieme, sradicare definitivamente il terrorismo fondamentalista, e le sue atroci strumentalizzazioni, ma anche aprire un futuro più giusto alle nuove generazioni che, già oggi, si incontrano e comunicano più di quanto noi, delle generazioni passate, abbiamo fin qui saputo fare.
Grazie, ancora, a tutti Voi per la Vostra presenza che, sono certo, è testimonianza collettiva dei sentimenti che ho voluto esprimere e di questa profonda responsabilità che sento e che ho voluto richiamare qui, insieme a Voi.