«La sicurezza è vita»
Discorso pronunciato alla Seconda Conferenza Nazionale Salute e Sicurezza sul lavoro svoltasi a Napoli.
Signore e Signori,
nel ringraziare gli organizzatori di questa Conferenza per avermi invitato voglio, in premessa alle brevi considerazioni che farò, esprimere l'apprezzamento per questa occasione di riflessione e approfondimento corale che è testimonianza, anch'essa, di quanto il tema della sicurezza sui luoghi di lavoro abbia acquisito centralità nell'azione della politica e delle istituzioni.
Ritengo anche opportuno salutare con favore la predisposizione del "Testo unico" per coordinare, razionalizzare e naturalmente potenziare la legislazione attuale nel campo della tutela della salute dei lavoratori.
E' questo un modo virtuoso di operare perché se è vero che nuove situazioni e mutamenti nei processi produttivi chiedono di adeguare la normativa è altrettanto vero che spesso, aggiungendo disposizioni, non si ammoderna né si semplifica ma, al contrario, si rende più complessa, farraginosa e lenta la macchina della Legge rischiando di creare svantaggio per i più deboli.
Vale per questo come per altri campi, a livello centrale e locale: troppe leggi non sempre fanno una buona legge e molto spesso, anche al di là dei retti propositi, il quadro che emerge non è di maggiore giustizia e garanzia per i cittadini.
Allo stesso modo va valutata positivamente la cooperazione tra i dicasteri del Lavoro e della Sanità e di questi con le Regioni e poi la concertazione con le parti sociali perché solo con un'unità di visione si possono realizzare azioni concrete ed efficaci.
Ho seguito con attenzione lo svolgimento fino ad ora della Conferenza come pure la fase preparatoria. Ho letto che tra gli obiettivi c'è «l'intensificarsi della campagna di sensibilizzazione» nel Paese. Considero questa finalità importante quasi quanto l'altra di rivedere, ampliandola e aggiornandola, la normativa.
Voglio spendere due parole in proposito. Per provare a definire l'enormità degli incidenti, degli infortuni, delle malattie "professionali" e delle morti sui luoghi di lavoro abbiamo pescato nel nostro vocabolario le parole più terribili; piaga, mattanza, strage: solo per citarne alcune. E lo stesso capita anche nei paralleli, in quelle immagini che vengono usate per tentare di rendere con più evidenza un fenomeno che nella sua fredda contabilità quotidiana non sempre riesce a raggiungere l'attenzione degli italiani.
Su un giornale di qualche mese fa ho letto un titolo che non riesco a dimenticare. Diceva: Nei cantieri come in guerra, muoiono cento operai al mese. Vedete, è un titolo spaventoso. Per almeno due ragioni. Ci racconta, con immediatezza paragonabile a quella di uno scatto fotografico o di una sequenza tv, la tragedia o - appunto - la mattanza di donne e uomini, giovani e anziani, italiani e stranieri che scorre accanto a noi, ogni giorno, tutti i giorni, ogni mese, tutti i mesi.
Ma anche un secondo motivo rende agghiacciante quel titolo: è l'accostamento tra guerra e lavoro. Si va in fabbrica, al cantiere, in officina per sentirsi parte di una comunità che produce e si sviluppa, per guadagnare e per poter affrontare dignitosamente la propria vita familiare e, invece, per tanti, troppi - cento al mese, più di mille all'anno se parliamo solo di quelli che perdono la vita - diventa un campo di battaglia, un luogo di morte.
Non è così che immaginiamo il lavoro. Non è così che ne parla la Costituzione all'articolo 4 quando recita: «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto». Di più. Il primo tra i dodici principi fondamentali che reggono l'impianto costituzionale afferma che «l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro».
Il lavoro è vita e mai e poi mai può mutarsi in morte o sofferenza, per il lavoratore e per i suoi cari. Registro, come tutti, una legittima e forte indignazione generale quando la gravità dell'evento è tale da "bucare", come si dice, gli schermi tv e catturare un forte interesse dei media. Ma non lo stesso accade con lo stillicidio quotidiano e perciò si parla di "morti invisibili". Ci vuole più attenzione nell'opinione pubblica. Direi anche più vigilanza per non cedere all'assuefazione.
Perché accade? So bene che giornali e tv sono alle prese ogni giorno con grandi quantità di notizie, spesso, troppo spesso, di forte drammaticità che diventano così prevalenti. Ma mi interrogo se, nel nostro Paese, non si sia determinata una condizione di minore considerazione per la dimensione etica del lavoro e della persona-lavoratore e quindi delle situazioni in cui donne e uomini svolgono le proprie mansioni. Mi pare di scorgere una non sufficiente attenzione anche da parte del mondo della cultura o comunque minore rispetto a qualche tempo fa.
Perciò con il presidente Bertinotti ed il Cnel abbiamo deciso di proporre un'indagine sul "lavoro cambiato" perché oggi occorre anzitutto capire per agire.
Signore e signori,
tutte le istituzioni, a partire dal Presidente della Repubblica, sono impegnate ad affrontare questa che il Governo ha dichiarato "emergenza nazionale" e giustamente - e lo dico manifestando la mia totale adesione - ha indicato tra le priorità della sua azione.
Del resto alcune misure, come i provvedimenti di contrasto al lavoro sommerso e irregolare, sono stati adottati dall'esecutivo già da alcuni mesi e, per quanto nelle competenze e nelle prerogative del Parlamento, al Senato è attiva la Commissione d'inchiesta sugli infortuni sul lavoro, presieduta, come nella precedente legislatura, dal senatore Tofani. La Commissione, composta nel novembre scorso, ha immediatamente predisposto un fitto programma di azione con sopralluoghi, audizioni e indagini specifiche.
Auspico vivamente che la Legge delega giunga quanto prima in Parlamento e possa essere oggetto di un confronto costruttivo tra gli schieramenti teso a dare corpo ad una legislazione giusta ed idonea quanto severa per coloro che mettono a rischio la vita e l'integrità fisica dei propri dipendenti.
Sono fiducioso che alle Camere maggioranza ed opposizione, pur all'interno della fisiologica dialettica democratica, opereranno affinché si pervenga a risultati qualificati e rapidi in una logica il più possibile condivisa in nome dell'interesse generale perché proprio non mi parrebbe questo il terreno su cui attardarsi in una contesa di bandierine, in una competizione tra ricette di destra o di sinistra.
Mi sia consentito aggiungere, e non solo perché siamo a Napoli, area dove la questione della mancanza di lavoro è più forte che in altre zone del Paese, che il principale obiettivo dell'esecutivo, della maggioranza ma di tutte le forze politiche e di tutta la classe dirigente deve essere la lotta alla disoccupazione e al precariato che, in particolare, ha tanta relazione con i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori. C'è una frase che ho letto ieri in un editoriale de il "Mattino" e voglio ripetervi: «Dovremmo preoccuparci non solo di difendere la vita sul lavoro ma anche di offrire lavoro per difendere la vita». E, aggiungo io, lavoro vero, sicuro, duraturo non precario, incerto, provvisorio.
Un'ultima considerazione che, più che altro, sottolineo come forte aspettativa. Dall'azione del governo e del Parlamento mi attendo provvedimenti ancora più efficaci per porre fine alla infamia che colpisce i "più ultimi tra gli ultimi" e mi riferisco a quei lavoratori, quasi sempre stranieri, irregolari e perciò ricattati, minacciati, sfruttati, malpagati, costretti a orari e condizioni inumane e per questo non di rado vittime di infortuni mortali o altamente invalidanti che non vengono nemmeno denunciati.
A volte scompaiono e basta. Cose, non persone. E' una vergogna. Un'altra Italia, non la nostra Italia. Ma c'è, e le istituzioni, centrali e locali, la politica, la società devono ricacciarla dietro, batterla. Eliminare questa infezione se vogliamo essere fedeli ai nostri principi repubblicani ma ancora prima alla nostra tradizione di civiltà e di legalità.