Inaugurazione del Master Universitario di primo livello in giornalismo
Discorso pronunciato a Teramo, al Campus universitario di Coste Sant'Agostino, in occasione dell'inaugurazione del Master Universitario di primo livello in giornalismo
Autorità,
Signore e Signori,
ho accolto con piacere l'invito rivoltomi dal presidente dell'Ordine dei giornalisti dell'Abruzzo e dal preside della Facoltà di Scienze della comunicazione dell'Università di Teramo ad essere presente al momento di avvio di questo importante percorso di studio che qualifica la formazione di tanti giovani che hanno scelto di impegnarsi in un campo così affascinante.
Si tratta di una iniziativa molto importante anche perché valorizza realtà territoriali, contribuisce alla diffusione dei saperi e offre ai giovani nuove opportunità.
Voglio innanzitutto formulare, a voi giovani, i migliori auguri sia per questo periodo di studio al quale vi accingete sia per la professione che svolgerete: spero il prima possibile.
Auguri davvero sinceri a tutti voi. Che l'entusiasmo e la passione che mettete in questa avvincente avventura siano premiati.
Un particolare apprezzamento all'università teramana ed alla Facoltà di Scienze della Comunicazione per aver promosso, insieme all'Ordine dei Giornalisti, questo Master, testimonianza della consapevolezza di quanto sia delicato e, oggi, importantissimo nella dinamica della società, il compito del giornalista e, quindi, quanto decisiva la sua formazione.
Desidero svolgere solo qualche breve considerazione.
In questo nostro tempo di così profondi e sconvolgenti mutamenti che, non a caso, è stato definito non "un'epoca di cambiamenti" ma un "cambiamento d'epoca" la conoscenza, l'apprendimento, la competenza rappresentano una "conditio sine qua non" per il successo e per la realizzazione personale - certamente importante - ma soprattutto per il progresso e lo sviluppo dell'intera comunità nazionale.
Voglio ribadirlo in questa occasione, in un contesto universitario.
La scuola, la formazione, la ricerca, sono temi chiave per guardare al futuro. Non è una novità della modernità, da sempre le società hanno fondato su queste pilastri il cammino del progresso.
Oggi però che, per effetto dei fenomeni di globalizzazione, il mondo è diventato più piccolo e la competizione più serrata, senza una costante, decisa e prioritaria strategia per far avanzare il Paese nell'industria, nei servizi, nelle infrastrutture materiali e immateriali, nella tutela e valorizzazione delle proprie risorse naturali, nella acquisizione dei saperi il rischio di vedersi scavalcati e di "perdere il treno" del progresso è tutt'altro che irreale.
Non bisogna disperdere quel patrimonio che fa dell'Italia una vera fucina di talenti.
Ogni anno il nostro Paese esporta migliaia di ricercatori. Nelle università e nei centri di eccellenza di tutto il mondo rintracciamo personalità italiane che sono riuscite a farsi largo contribuendo al progresso scientifico, sociale ed economico. E' paradossale, ma l'Italia - che destina ancora troppe poche risorse alla ricerca - riesce comunque a produrre cervelli ai quali, però, attingono altri Paesi senza che questi abbiano investito nella loro formazione.
L'attenzione delle istituzioni e della politica, per fortuna crescente nel tempo, non è ancora adeguata. Procediamo a piccoli passi mentre servirebbe un'andatura decisamente più rapida. Il mio personale auspicio è proprio l'accelerazione, presto, di quest'andatura.
Il mondo dell'informazione, come la società italiana, attraversa un periodo di grande cambiamento.
Parlerei di un duplice cambiamento.
Cambiamento nei modi di "fare informazione", frutto del progresso tecnologico, dell'evoluzione dei media - basti pensare alla Rete ed alle sue opportunità - e della diffusione sempre più ampia degli strumenti di accesso alle notizie.
Se solo volgiamo lo sguardo alla realtà ed alla struttura dell'informazione di qualche anno fa sembra di precipitare nel "giurassico": la velocità delle innovazioni trasforma gli anni in decenni, se non in secoli.
L'altro cambiamento riguarda il "peso" dell'informazione, ovvero la rilevanza che detiene sulla formazione dell'opinione pubblica che sempre più diffusamente trae dai giornali, dai tg e dagli altri media in modo pressocchè esclusivo quei materiali su cui costruire una chiave di lettura, un giudizio.
Entrambi questi terreni chiedono, agli operatori dell'informazione, e quindi anche a voi, un "di più" di responsabilità.
Sono certo che ne siete consapevoli e, per questo, non spendo altre parole se non l'invito, appassionato, ad avere sempre presente il rilievo ed il peso delle parole e delle immagini che offrirete ai vostri lettori.
Nel salutarvi, mi piace rileggere con voi una riflessione di quello che diventerà un vostro collega, il direttore del Sole 24 Ore, Ferruccio De Bortoli, scritta in occasione della scomparsa di Enzo Biagi.
De Bortoli rammenta le tante inchieste, i reportage e i servizi di Biagi che hanno raccontato la storia dell'Italia e hanno aiutato tante generazioni a conoscere il proprio Paese, nei suoi lati buoni e nei suoi aspetti meno piacevoli.
Scrive il direttore del Sole 24 Ore: «Il viaggio in Italia di Biagi continuerà, anche senza di lui, se molti raccoglieranno il suo testimone. Cioè faranno semplicemente il loro mestiere. Non solo nel giornalismo. In tutte le professioni. Orgogliosi di fare il proprio lavoro. Con passione, curiosità, rispetto delle persone, dei fatti, della verità. E soprattutto se non smetteranno di farsi e di porre domande».
Mi sembra un buon compagno per il viaggio che iniziate.
Grazie. E ancora in bocca al lupo.