Inaugurazione Anno Accademico 2007-2008 dell'Università de L'Aquila
Autorità, Signore e Signori,
nel rivolgere ai presenti un cordiale saluto voglio premettere che intervengo con piacere a questa cerimonia. In particolare desidero ringraziare il Rettore Magnifico per avermi voluto invitare e per l'opportunità che mi ha offerto di potervi incontrare in questa importante occasione. Ho ascoltato con attenzione gli interventi che mi hanno preceduto e i problemi che sono stati posti, insieme ai risultati che questo Ateneo ha raggiunto in pochi anni.
Quando nacque questa Università qualcuno sostenne che, forse, si trattava di una iniziativa esagerata per una realtà piccola e con difficoltà strutturali nella crescita. Oggi, a circa venticinque anni dal riconoscimento dello Stato, devo dire che l'Università de L'Aquila ha saputo costruire un suo spazio di riferimento vero e una identità formativa importante. Una identità che ha investito molto su di una antica tradizione di studio e di insegnamento delle materie scientifiche - creando le Facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali, di Ingegneria, di Medicina e, più di recente, di Biotecnologie - alle quali si aggiungono quelle economiche e umanistiche. Il riferimento territoriale poi è rapidamente andato oltre il bacino aquilano fino a coinvolgere una più vasta area interna e la stessa area romana.
Oggi il Polo Universitario aquilano è una realtà e ha ampliato il suo spazio nel panorama complessivo, oltreché in quello regionale. Sottolineo questo aspetto non tanto per orgoglio localistico, ma perché da questa condizione vengono responsabilità più grandi per i processi sociali e di sviluppo delle aree locali. Ne viene, ad esempio - come è stato ben ricordato da alcuni prima di me - la necessità di costruire un rapporto di collaborazione ancora più stretto tra l'Università e il territorio, per valorizzare importanti presidi e laboratori di ricerca scientifica che qui ci sono e per promuovere le risorse culturali, naturali e ambientali che distinguono l'Abruzzo.
Condivido molte delle considerazioni che sono state illustrate dal Rettore, in particolare sulla necessità di rafforzare i rapporti tra le Università dell'Abruzzo e le Istituzioni regionali e locali, tra le sedi di alta formazione e il tessuto economico regionale. In questo mio breve intervento vorrei solo toccare tre aspetti.
Il primo riguarda direttamente i giovani, che sono il principale punto di riferimento di ogni politica universitaria. La domanda di formazione qualificata è molto cresciuta nel nostro Paese. Tanti ragazzi e le loro famiglie hanno capito che per inserirsi nella società moderna è necessario avere un più solido bagaglio culturale. Tuttavia il numero dei nostri diplomati e laureati rimane ancora più basso della media europea e, soprattutto, troppo debole nei settori scientifici. Comunque devo osservare che, già oggi, a fronte di una maggior domanda di alta formazione - che peraltro deve ancora crescere - non abbiamo ancora attuato tutte quelle politiche necessarie per dare risposte adeguate. C'è troppa precarietà nei percorsi di inserimento dei ragazzi nel lavoro e non abbiamo ancora adeguati strumenti per aiutare i giovani a rendersi autonomi nella vita di comunità, con la casa e i servizi sociali. Credo, infatti, che uno sforzo politico nella direzione di una maggiore velocità dei tempi di responsabilizzazione dei giovani - ovvero di un loro autonomo ingresso nella società - sia una delle chiavi anche della nostra crescita economica complessiva.
Dobbiamo trasmettere ai giovani la passione per la conoscenza, dobbiamo dare loro gli strumenti per accedere ai saperi, dobbiamo orientarli a formarsi una propria coscienza critica. Ma, soprattutto, dobbiamo dare più fiducia e più responsabilità, accettando anche che possano fare taluni errori per crescere come, quasi certamente, è capitato, in altri tempi, ad ognuno di noi.
Devo dire che sul tema dei giovani troppo spesso si enfatizzano aspetti di patologia e di disagio. Non credo proprio che si debbano sottovalutare certi fenomeni, anche di violenza. Ma credo che nel nostro Paese sia urgente rilanciare l'idea che i giovani rappresentano la nostra risorsa più importante e che si deve, con grande positività, guardare alla valorizzazione delle energie del mondo giovanile.
E qui vengo al secondo punto della mia riflessione. Sono, infatti, convinto che sull'Università bisogna investire di più, bisogna dare più attrezzature e mezzi per la ricerca. Così come bisogna migliorare la condizione dei docenti e quelle degli studenti. Ma, se vogliamo che gli investimenti producano gli effetti che attendiamo, bisogna anche che ci impegniamo in uno sforzo ulteriore di qualificazione e di capacità competitiva di ogni Università. I temi della valutazione e della competizione devono sempre di più farsi spazio in una sana gara a fare il meglio, ad esprimere tutte le potenzialità che ci sono, ad offrire paradigmi per un confronto costante con gli altri. Dobbiamo, dunque, sburocratizzare i rapporti all'interno. Dobbiamo saper costruire e mantenere, con i nostri ragazzi, un clima di forte rispetto istituzionale e, insieme, dobbiamo rafforzare una didattica improntata al dialogo, al confronto critico, alla disponibilità verso i giovani. Ad esempio, nel campo delle discipline scientifiche qualcosa dobbiamo pur fare per attrarre più giovani, per coinvolgerli anche con metodiche nuove, nello studio di materie fondamentali.
L'Università nel suo significato profondo è una Comunità di persone impegnate nello studio, nell'amore per la conoscenza. La riscoperta del valore fondamentale della qualità delle relazioni umane - dell'impegno forte per lo studio, per la didattica, per la ricerca, per il confronto critico - può essere la chiave vera per porre l'Università come Comunità aperta alla conoscenza universale. Nella società moderna, dove la democrazia è un processo continuo e dove gli avanzamenti non sono costanti ma sono il frutto di un impegno attivo, l'impegno dell'Università si connette direttamente anche alla formazione dei giovani come cittadini consapevoli dei diritti e doveri costituzionali che chiedono a tutti di concorrere "al progresso materiale e spirituale della società".
E vengo al terzo punto del mio intervento. Mi riferisco al tema della ricerca scientifica, un campo nel quale - malgrado successi e ricercatori straordinari - dobbiamo veramente fare di più. La nostra spesa complessiva è ancora circa l'1% del Prodotto interno lordo, mentre la Germania è al 2,5% e i Paesi nordeuropei sono intorno al 4%. Ricordo solo che gli obiettivi fissati nell'agenda europea di Lisbona nel 2000 prevedevano che entro 10 anni si dovesse arrivare al 3%. Possiamo fare tutte le considerazioni che vogliamo ma questi dati sono fin troppo eloquenti e parlano da soli. Obiettivo prioritario di tutto il Paese - dello Stato e delle Regioni, ma anche delle imprese - deve divenire quello di accrescere questi investimenti, rafforzando sia la ricerca di base che la ricerca applicata, e poi anche il trasferimento delle nuove scoperte nei processi produttivi e della vita sociale.
Un recente saggio di uno studioso nordamericano ha messo bene in luce come la poderosa forza di quell'economia, lungo tutto il Novecento, non era dovuta tanto a questioni politiche o finanziarie, ma alla precisa scelta di promuovere e mantenere una costante relazione strategica tra scienza e industria, tra scoperte scientifiche e progettazione di nuovi prodotti. Oggi abbiamo bisogno di spingere il pedale delle innovazioni e, soprattutto, per sviluppare il nostro Paese abbiamo bisogno di innestare nuove tecnologie e nuove modalità di lavoro nel nostro tessuto sociale. Abbiamo bisogno di fare questo con un forte consenso e con una robusta coesione del Paese, se vogliamo raggiungere dei risultati veri e duraturi.
Certo, nel dirvi queste cose, mi rendo ben conto che, per raggiungere questi obiettivi, un compito grande spetta anche alla politica. E non voglio certo sottrarmi con Voi dal fare qualche considerazione sulla nostra situazione. Dopo le elezioni del 2006, e fino dal momento della mia elezione a Presidente del Senato, ho sempre considerato necessaria una stagione di confronto e di collaborazione seria fra le forze politiche della maggioranza e dell'opposizione per dare risposte concrete ad alcuni problemi importanti del Paese. Penso, anzitutto, alla modifica di questa pessima legge elettorale che ha incoraggiato la frammentazione e ha ridotto i margini della governabilità e privato il cittadino di reali poteri di scelta e di partecipazione. Ma penso anche ad alcuni necessari aggiustamenti costituzionali, fondamentali per dare più efficienza al sistema democratico, in una fase nella quale cresce la competizione mondiale e vengono richieste ai singoli Paesi decisioni più veloci e incisive.
Forse devo pensare che, dopo una prima lunga stagione di muro contro muro, il quadro è finalmente più dinamico e aperto. Prime importanti volontà di dialogo sono state espresse tra forze della maggioranza e dell'opposizione. Credo che una fase di maggiore sobrietà della politica - che da più parti si chiede - debba consistere non solo nella necessaria diminuzione dei costi della vita pubblica e nel taglio di superati privilegi, ma debba prevedere anche l'impegno fattivo a definire e approvare quelle riforme e quelle modificazioni che sono davvero necessarie. Un risultato del genere consoliderebbe la nostra vita civile e democratica, renderebbe le Istituzioni più salde e credibili, e darebbe al nostro Paese quel moderno sistema pubblico più che mai necessario per liberare nuove energie, per fare più spazio ai giovani e affrontare nuove sfide.
Tutto il mio impegno, come potete capire, è in questa unica direzione, anche se non mancherò, ogni volta che potrò, di adoperarmi a sostegno della crescita delle nostre Università e di quella aquilana alla quale mi lega uno speciale rapporto di affetto e di stima.