Coesione sociale, media e minori: la Carta di Treviso oggi
Messaggio inviato dal Presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, al convegno che si è svolto a Treviso
Signora Prefetto, autorità, signore e signori tutti,
è per me motivo di piacere sincero intervenire a conclusione di questo importante momento di confronto su un tema particolarmente caro quale la tutela dei minori.
Consentitemi quindi di rivolgere il mio più affettuoso ringraziamento alla padrona di casa, il prefetto Lega, che ha fortemente voluto organizzare questo incontro anche per riaffermare la centralità della città di Treviso quale luogo simbolico del dibattito nazionale relativo al rapporto media e minori.
È qui infatti che, a conclusione di un convegno svoltosi nell'ottobre del 1990, per la prima volta in Italia vennero scritte le regole deontologiche che i giornalisti sono tenuti ad osservare nel rispetto delle persone di minore età.
È questa la genesi della Carta di Treviso, un vero e proprio manifesto contro lo sfruttamento mediatico di bambini e adolescenti, che ben presto avrebbe oltrepassato i confini del giornalismo in senso stretto, per andare ad interessare tutti gli operatori dell'informazione.
Una Carta nata, come è noto, sull'onda emotiva sollevata da alcuni fatti di cronaca e dai dubbi circa l'opportunità di parlare e scrivere dei minori in essi coinvolti alla stregua degli adulti.
Per la prima volta, in maniera organica, ci si chiese se non fosse indispensabile esporre specifiche notizie adottando un supplemento di attenzione e di cura. In altri termini, con un senso di responsabilità maggiore e una diversa sensibilità.
Si trattò, e a questo proposito vorrei - anche a distanza di tanti anni - rivolgere un sincero ringraziamento ai promotori di allora, al Presidente di Telefono Azzurro, Caffo, all'Ordine dei Giornalisti attraverso il presidente Verna e alla Federazione della stampa - di affrontare con tempestività e al tempo stesso lungimiranza il tema del rapporto media e minori.
La Carta di Treviso nasceva, infatti, poco meno di un anno dopo la Convenzione di New York dell'89 sui diritti del fanciullo, recepita dal nostro Parlamento nel 1991.
La firma di questo protocollo, il cui obiettivo era contribuire a promuovere una vera cultura dell'infanzia, segnò uno spartiacque.
Pose il giornalismo italiano all'avanguardia rispetto alla tutela del bambino e allo sfruttamento della sua immagine, superando negli intenti la stessa attività del legislatore.
Successivamente, sentenze della Corte costituzionale, della Cassazione - che ha riconosciuto la natura giuridica delle regole deontologiche, nonché pareri dell'Autorità della Privacy e più di recente rilievi dell'Autorità garante dei minori - con la quale ho già avuto modo di confrontarmi su questi temi - hanno delineato i confini del diritto dell'informazione con particolare riferimento alla tutela dei minori protagonisti di episodi di cronaca, anche al fine di difenderli dai rischi di sovraesposizione mediatica.
Dal 1990 ad oggi, duole evidenziare ancora una volta che il documento di intenti è rimasto in buona sostanza tale, pur se per ragioni diverse.
La deontologia professionale non è un optional. Eppure tanti sono gli esempi di palesi violazioni. In molti fanno appello al generico diritto di cronaca, laddove invece questo diritto, quando si parla o si scrive di minori, dovrebbe sempre fare un passo indietro.
Cito una notizia su tutte, che mi ha particolarmente colpito non solo perché era un tipico caso di separazione tra due genitori che si contendevano un figlio, ma anche perché accaduto in un piccolo centro del padovano che ben conosco, Cittadella.
È il caso di Leonardo, il cui filmato mentre la Polizia trascinava via a forza questo bambino dalla sua scuola in lacrime e implorante l'aiuto dei familiari materni, ha fatto il giro delle televisioni.
Immagini crudeli, scioccanti, indegne di un paese che si dica civile. Una intera trasmissione televisiva fu incentrata solo su quelle riprese. Ne parlò tutta Italia per giorni, settimane.
L'opinione pubblica si divise in innocentisti e in colpevolisti. Chi sosteneva le ragioni del padre, chi quelle della madre. Qualcuno ipotizzò addirittura che il video stesso fosse stato organizzato ad arte, frutto di una messinscena.
E intanto più nessuno si occupò di Leonardo, di quello che realmente aveva provato e di quello che nei mesi, negli anni a venire, avrebbe provato nel rivedersi strattonato moralmente e fisicamente da adulti incoscienti.
Il caso di Leonardo mi consente di fare una riflessione che vorrei condividere con tutti voi.
Se torniamo a parlare della Carta di Treviso in un consesso così qualificato, che chiama in causa tutti gli attori principali, ciascuno per loro competenze, nella difesa delle persone di minore età, è perché il protocollo ha mantenuto la sua validità in quanto - ribadisco - manifesto di intenti.
Ma, al di là delle modifiche pur apportate nel 2006, è forte la necessità di un suo puntuale adeguamento ai nuovi media, alle nuove tecnologie della comunicazione, al mondo virtuale di internet.
Oggi quel filmato è ancora in rete. Chiunque può rivedere Leonardo umiliato e mortificato nel suo essere semplicemente un bambino conteso.
È evidente che questa sia una realtà, quindi, sulla quale tutti siamo chiamati a intervenire: giornalisti, Autorità garanti, Istituzioni, associazioni, genitori.
E che rende ancora più lastricata di ostacoli la strada verso la realizzazione di una effettiva coesione sociale in relazione alle persone di minore età.
La capacità di farsi promotori del benessere dei nostri figli, dei nostri bambini, di attenuare e superare le criticità, trova infatti nell'era della globalizzazione e della digitalizzazione nuove e più insidiose difficoltà.
Stabilire un rapporto equilibrato tra nuovi media e minori è indubbiamente una sfida, ma che va affrontata con spirito positivo e costruttivo. Conoscendo e cogliendo tutte le potenzialità del mezzo senza mai esserne dominati.
E questo perché "Ai bambini che avranno la possibilità di accedere a Internet sembrerà di respirare aria fresca", come ha sostenuto Nicolas Negroponte, il guru del Mit di Boston, confermando il suo ottimismo verso le nuove tecnologie e soprattutto verso il genere umano.
Non è quindi attraverso la demonizzazione del medium che si garantisce la tutela del minore. Bensì attraverso un uso consapevole e attivo della comunicazione multimediale e online.
Fermi restando, quindi, i principi fissati nella Convenzione Onu, nella Carta di Treviso e prima ancora nella nostra stessa Costituzione a difesa del minore in quanto persona 'in divenire' e portatore di diritti, ritengo quanto mai necessario avviare un'azione programmatica che coinvolga tutti gli attori sociali, finalizzata alla stesura di norme idonee a proteggere i bambini e gli adolescenti dalle maglie della grande rete del web.
Se è vero che il 'tempo' digitale corre a velocità elevatissime e che il 'web 4.0' impone maggiore centralità al controllo dell'informazione, alla protezione dei dati e alla sicurezza della rete, il mio auspicio è che questo incontro segni una fondamentale tappa per la definizione di una 'Carta di Treviso 4.0', da accompagnare ad una iniziativa legislativa che deve essere immediata ed efficace.
Carenze normative vanno colmate, pur nella consapevolezza di affrontare una problematica sovranazionale che necessiti di una omologazione legislativa da parte di tutti gli Stati, anche in considerazione del ruolo e del potere del web rispetto ai minori.
Internet è per loro, appunto, aria fresca. È possibilità di fare cose abbattendo i confini dello spazio e le limitazioni del tempo. È la massima espressione della libertà e quindi di quel diritto di cronaca esercitato da tutti, professionisti e non, grazie alla possibilità che ciascuno ha di caricare contenuti e godersi i suoi 15 minuti di popolarità.
È però un mondo dove rare sono le censure ed evanescenti gli obblighi. E, soprattutto, è una realtà che non conosce alcun rispetto del diritto all'oblio, un diritto non ancora codificato e che permetterà domani ai tanti Leonardo di essere nuovamente oggetto di spettacolarizzazione.
Ma la preoccupazione, e anche su questo aspetto desidero richiamare la vostra attenzione, non riguarda solo i contenuti veicolati e fruiti dal minore in rete. Essa attiene anche al palcoscenico che il web offre.
I social network come Facebook o piattaforme come YouTube sono un esempio di costante violazione del protocollo nella misura in cui dispone di proteggere il bambino da quei "clamorosi protagonismi" che possono deviarne o comunque disturbarne il naturale processo di crescita.
In questo scenario senza confini, 'La Carta di Treviso 4.0' è quindi un'assoluta emergenza insieme a un adeguamento del diritto che rischia altrimenti di rimanere indietro, confinato a schemi ormai obsoleti.
La dimensione sovranazionale del fenomeno non può essere un'attenuante. L'immobilismo, quando si parla di bambini, non è ammissibile.
Ed allora, se lo scopo autentico della Carta e più in generale del mondo dell'informazione, delle Istituzioni, del legislatore, è quello di tutelare i minori, una chiave di volta per riscrivere tutti insieme nuove regole e nuove leggi potrebbe essere mettersi dalla parte dei protagonisti, dei bambini.
Chiedersi un po' più spesso che cosa pensano, cosa vogliono, cosa si aspettano dalla società che contribuiranno a formare. Siamo, ad esempio, così certi che i nostri figli, i nostri nipoti, vogliano essere ripresi a tutte le ore, fotografati in ogni situazione, mostrati come un trofeo e spinti a sorridere e a dire la cosa giusta per soddisfare un bisogno di affermazione che è nostro e non loro? Siamo sicuri che questa sovraesposizione sia indice di reale coesione sociale?
Walt Disney - il cui mondo tra fantasia e realtà ha plasmato l'immaginario di intere generazioni di bambini - non a caso diceva che "aule affollate e sessioni di mezza giornata sono un tragico spreco della nostra più grande risorsa nazionale: le menti dei nostri bambini".
Ebbene, considero incontri come questo una straordinaria occasione di stimolo ad una azione che possa essere sempre più comune e fattiva.
Il mio auspicio è che, sapendo vedere con gli occhi dei bambini e sapendo parlare come gli adulti, si possano fare passi avanti significativi sulla tutela dei minori nel loro rapporto con i media, per una diffusa cultura dell'infanzia quale strumento di coesione sociale. Mantenendo sempre un atteggiamento di fiducia nelle intenzioni, nella sensibilità e nel senso di responsabilità di ciascuno.