Giornata di studio in onore di Vittorio Foa
Discorso pronunziato nella Sala Capitolare di Palazzo della Minerva
Autorità, signore e signori,
è con spirito di reale gratitudine che ho accolto l'invito a portare il saluto del Senato ai lavori di questa giornata di studio dedicata alla memoria di Vittorio Foa.
La gratitudine è infatti il sentimento più giusto nei confronti di un intellettuale a tutto tondo, libero pensatore, innovatore, parlamentare, sindacalista e molto altro ancora.
Foa ha attraversato il nostro tempo in una serie di "passaggi" (il titolo di un suo scritto del 2000) importanti e - potremmo dire - vivendo, e facendoci conoscere di lui, molte vite.
Dalla condanna del Tribunale speciale del 1936 alla resistenza, dall'impegno nel partito d'azione all'Assemblea Costituente, dall'attività sindacale a quella parlamentare, sempre dentro il destino e le trasformazioni del mondo operaio, della sinistra politica, la "nuova sinistra", fino alla partecipazione attiva alla fase successiva alla svolta della Bolognina.
Ripercorrendo le tappe della vita della vita di Vittorio Foa - che sono poi le tappe fondamentali della storia contemporanea italiana - non si può non cogliere un aspetto qualificante, che ne riassume e ne determina la grandezza: l'assoluta coerenza tra pensiero e azione.
Lui stesso, in una intervista, disse: ""Quando eravamo in prigione eravamo i soli uomini veramente liberi perché avevamo scelto la via giusta e quindi ci sentivamo liberi. Il significato della parola libertà diventa evidente: la libertà non è la possibilità di fare quello che vuoi ma è la coerenza con qualcosa dentro".
Mai scontato, mai prevedibile, Vittorio Foa è stato prima di tutto uno spirito libero. Capace, ad esempio, di descrivere la sua scelta politica contro il fascismo come determinata "dalla insopportabilità di una vita tutta già decisa, dal bisogno sempre più imperioso di decidere io stesso il mio futuro".
Da qui il suo rifiuto di definirsi antifascista perché - scrive e ricorda - "quella espressione di pura negazione ci disturbava, ci definiva solo per negazione e disconosceva in qualche modo la nostra positività. Preferivamo definirci post-fascisti per affermare il nostro disegno per il futuro».
Fin dalla lotta di liberazione i tratti dei suoi ideali politici lo segnalano per originalità e anticonformismo, oltre il perimetro dei rigidi schemi dell'ortodossia marxista. Non a caso, nel 1992 ad esempio, Foa afferma che «la stessa parola 'sinistra'» si è trasformata in «un feticcio, un robusto reticolato in difesa dell'esistente» e conclude che le «vecchie parole», pur possedendo «una loro verità», sono «ormai marginali, o almeno molto parziali, sempre più parziali».
Ma sarebbe sbagliato e insincero mostrare questa citazione come un trofeo e la prova del fallimento di un'analisi e di una prospettiva che Foa non ha cessato di tracciare nella sua lunga stagione politica dedicata al mondo operaio.
E a ben pensarci se oggi siamo qui a rendergli omaggio non lo facciamo con la presunzione di un bilancio. Al contrario, lo facciamo perché la sua azione e le sue opere ci consentono di camminare con lui lungo quella frontiera mobile che ogni analisi e ogni politica dovrebbero conoscere e saper attraversare, soprattutto quando le repliche del tempo e della storia rendono incerto, talvolta addirittura vecchio, il nostro pensiero.
Ed è proprio questa consapevolezza ad animare in Foa la continua ricerca di nuovi strumenti e di nuove categorie di analisi.
Penso, ad esempio, ad una interessante riflessione, condotta da Foa assieme a Pietro Marcenaro, sull'idea, l'immagine e la definizione di mondo operaio: un'identità che una storiografia compiacente descrive come forte e condivisa, plasmata dall'esperienza della vita di fabbrica; un'identità che la realtà sembra invece contrastare se è vero che "le persone non solo sono diverse una dall'altra ma non sono nemmeno uguali tutti i giorni".
Quello delle identità multiple è un tratto originale della analisi di Foa, dedicata al mondo sociale, una analisi che anticipa, a ben pensarci, l'esperienza che noi abbiamo oggi dei media e del mondo digitale: un'epoca caratterizzata dalla cosiddetta cultura della "convergenza", da un cambiamento radicale ed epocale del nostro sentimento del tempo, attraversati come siamo, nella nostra vita quotidiana, da attenzioni e distrazioni che imprigionano il nostro sguardo.
E sarà proprio la costante ricerca, unita ad una rara e riconosciuta onestà intellettuale, a spingere Foa, alla fine degli anni '70, a ricercare un nuovo futuro di fronte alla crisi delle idee che avevano generato il suo impegno, etico e politico insieme. Fino a consigliargli il silenzio e a spingerlo a ricercare nel tempo il lievito di nuove risposte.
Il tempo si presenta come centrale sia per gli operai sia per le donne e i giovani, e puntare su di esso sembra a lui consentire il superamento della visione del lavoro inteso come valore fondante.
Del resto - il termine è suo - una vera e propria "tempesta" ha investito gli "strumenti di analisi, i modelli culturali e gli stessi progetti di trasformazione della società" utilizzati per anni.
Da qui la necessità di interrogare il passato e verificarne la continuità con il presente in un dialogo, specialmente con i giovani, dallo sguardo al futuro.
La libertà, la storia, la politica, il lavoro, il futuro alimentano e animano la curiosità e la voglia di ascolto di questo campione di un mondo politico che non ho direttamente conosciuto e che pure non mi appartiene, ma che fanno di Vittorio Foa una parte di noi.
Vorrei dire: "parte anche della mia parte", se è vero come è vero che celebriamo in lui un'intelligenza italiana, membro di questo nostro Senato, espressione di quella rappresentanza politica che ha scritto pagine importanti nella storia di questa Repubblica. Che nessuno potrà cancellare.
Così come, nell'anno in cui festeggiamo i 70 anni dall'approvazione della nostra Carta, non si può non sottolineare il suo impegno nell'Assemblea Costituente.
E fu proprio lui, che aveva pagato a caro prezzo l'insopprimibile necessità di essere e sentirsi libero, a dare un determinante contributo alla stesura degli art. 39 e 40 della Costituzione, sulla libertà di organizzazione sindacale e sul diritto di sciopero.
Un lascito, tra i tanti, per il quale dobbiamo e dovremo sempre essere grati a Vittorio Foa.