Presentazione del progetto "Living Room Candidate" rientrante nell'iniziativa Videocittà
Discorso pronunciato nella Sala Koch di Palazzo Madama
Presidente Rutelli,
autorità, signore e signori,
è con vero piacere che ho accolto la proposta di presentare qui in Senato "Living Room Candidate", una straordinaria raccolta di tutti gli spot elettorali delle elezioni presidenziali americane dal 1952 ad oggi.
Consentitemi preliminarmente un sentito ringraziamento al Presidente Rutelli e a tutti i componenti dell'organizzazione per la realizzazione del progetto Videocittà. Una manifestazione parallela e qualificante della Festa del cinema di Roma, che sta regalando alla città e a tutti gli spettatori presenti centinaia di proposte in grado di coniugare innovazione e storia, sperimentazione e tradizione.
Parole chiave che ritroviamo per intero in questa iniziativa, realizzata dal MOMI di New York (Museum Of Moving Image) e che tra poco potrete tutti vedere e apprezzare attraverso la messa in onda di una breve ma significativa selezione.
Da Eisenhower a Trump: basterebbe questo per rendere la raccolta imperdibile, per stimolare curiosità, per spingerci ad una riflessione sul ruolo della comunicazione e del marketing rispetto alla politica e alle scelte degli elettori.
Si deve infatti ad Eisenhower, nel 1952, il primo utilizzo degli spot elettorali - mandati in onda nell'intervallo di programmi molto popolari - per raggiungere le famiglie americane.
Il 34esimo presidente degli Stati Uniti, che evoca nella nostra memoria la liberazione dell'Europa dal nazifascismo e la firma dell'armistizio di Cassibile, trasse anche da questa innovativa strategia comunicativa lo slancio per battere il suo rivale nella corsa alla Casa Bianca.
E allora le prime domande che dobbiamo porci sono: quanto è cambiato il linguaggio in questi due/terzi di secolo? Come è cambiata la società? Quale trasformazione ha investito i mezzi di comunicazione?
Rispondere a queste domande non è un semplice esercizio dialettico, proprio perché tali quesiti ci impongono una riflessione storica a tutto tondo sulle trasformazioni della società e sul rapporto tra cittadini e politica.
Da sempre precursori nel linguaggio e nell'utilizzo dei mass-media, gli Stati Uniti rappresentano oggettivamente una pietra di paragone di inestimabile valore per tutte le liberal-democrazie.
La comunicazione politica nasce infatti negli USA e proprio in questa nazione si sviluppa fino a diventare la principale arma utilizzata nelle competizioni elettorali, nonché l'ago della bilancia di ogni contesa politica.
Il sistema istituzionale americano, con la contrapposizione frontale che caratterizza inevitabilmente l'elezione diretta del Presidente, rappresenta un ulteriore ed interessante elemento per cogliere tutti gli aspetti comparativi, dalla polemica su singole proposte alle sfide territoriali.
Dalla personalizzazione alla scommessa su un tema-chiave, dalla ricerca di una totale immedesimazione degli elettori alla scelta di un preciso target di riferimento, le tecniche di comunicazione si ripetono negli anni con una imprevedibile continuità. Cambiano i desideri dei cittadini-elettori, si trasformano le priorità, mutano le tecniche: eppure la continuità del messaggio politico è evidente, fino al punto di diventare un vero e proprio filo conduttore della vita democratica degli Usa.
In Italia una simile antologia della comunicazione politica non potrebbe probabilmente avere la stessa efficacia, quanto meno se relativa al solo mezzo televisivo.
Tra limitazioni normative e presenza nell'arena politica di numerosi e diversificati partiti, l'indagine andrebbe necessariamente allargata ad altri strumenti di marketing.
A partire dagli indimenticabili manifesti che segnarono le prime elezioni repubblicane:
- Ascolta la voce della tua coscienza. Nel segreto della cabina Dio ti vede, Stalin no!
- Madre! Salva i tuoi figli dal bolscevismo. Vota Democrazia Cristiana;
- Il padrone vota DC. Tu operaio vota Pci
Slogan entrati nel costume della società italiana e che, nonostante la scelta di campo radicale che si chiedeva all'elettore, resteranno validi anche nelle fasi di maggiore collaborazione tra i due principali partiti del dopoguerra.
Non c'è dubbio che con la seconda Repubblica, e la conseguente nascita del bipolarismo, i mezzi di informazione, a partire proprio dagli spot elettorali, abbiano avuto un ruolo centrale.
Il 1994 segna per la politica italiana un momento di radicale trasformazione dei linguaggi, dei protagonisti e degli stessi partiti sopravvissuti alla stagione giudiziaria.
Un passaggio storico, anticipato nell'autunno del 1993 dalle prime elezioni dirette per la scelta dei sindaci - e qui c'è chi ricorda certamente meglio di me quella fase - alle quali seguirono i primi faccia a faccia televisivi, dopo stagioni caratterizzate dalle ovattate Tribune politiche, frutto di quella logica proporzionale che aveva prevalso per quasi mezzo secolo.
Il successivo passaggio che ha rivoluzionato la comunicazione politica è senza ombra di dubbio l'era dei social che, probabilmente già dalla prima elezione di Obama - a conferma del ruolo innovativo degli Stati Uniti - hanno modificato la stessa dinamica tra mittente e destinatario del messaggio. I ruoli spesso si fondono, i seguaci diventano protagonisti, gli odiatori assurgono ad un ruolo assimilabile a quello dei sostenitori.
Non è cambiata però la necessità della narrazione. L'esigenza di fissare in pochi minuti - se non addirittura in pochi secondi - un posizionamento in grado di creare immedesimazione, fidelizzazione, coinvolgimento.
Se i social hanno infatti ampliato e amplificato la potenza comunicativa dei candidati, a ben vedere le similitudini nei messaggi politici hanno mantenuto una loro continuità, fino a poter rappresentare una sorta di linea di continuità con il passato.
Anzi, sempre più spesso sono gli Hashtag, magari creati spontaneamente, a diventare la versione digitale e social degli slogan.
Negli anni c'è stato il passaggio dal bianco e nero al colore, sono cambiate le tecniche di ripresa, le soluzioni grafiche, il montaggio: è rimasta però intatta la forza del messaggio, delle parole d'ordine che ogni singolo candidato fa proprie in una logica di persuasione e coinvolgimento.
A distanza di anni - altro prezioso pregio della raccolta che viene presentata oggi - possiamo quindi esaminare con lucidità e con il giusto distacco l'efficacia o l'irrilevanza di alcuni slogan, cogliendone appieno il rapporto causa-effetto con il risultato elettorale.
E allora, dalla nuova Alba di Reagan alle 3 parole di Obama (Yes we can), dal motto "I Like Ike" di Eisenhower al famoso slogan sull'economia di Clinton (The economy, stupid), buon viaggio a tutti nella vita politica americana, nella democrazia.