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Il Presidente: Intervento in Assemblea

Convegno su Carlo Donat-Cattin

Discorso pronunciato nella Sala Koch di Palazzo Madama

Signor Presidente della Repubblica,
Autorità, signore e signori,

nel 2019 ricorrono i cento anni dalla nascita di un uomo che ha dato al nostro Paese un contributo straordinario in termini di impegno, autorevolezza e capacità di innovazione sociale nel corso di gran parte del novecento: Carlo Donat-Cattin.
Sono lieta di aprire i lavori di questo convegno dedicato alla sua figura di "Uomo di Governo e leader della Democrazia Cristiana" e di poter ospitare questa importante occasione di confronto e di approfondimento in Senato, nella splendida cornice della sala Koch.
Saluto e ringrazio i relatori che, per peculiarità umane e professionali sapranno fornire interessanti elementi di riflessione, ringrazio Claudio Donat-Cattin, Presidente della Fondazione dedicata alla memoria del padre. Una Fondazione che, oltre a preservare e valorizzare un patrimonio ideale e letterario di assoluto rilievo, rappresenta un punto di riferimento per lo studio del cattolicesimo politico italiano.

Carlo Donat-Cattin è stato tante cose nel corso della sua vita, tutta dedicata al bene comune. Giornalista, partigiano, sindacalista, amministratore locale, dirigente politico, ministro, statista. E in ogni ambito ha saputo lasciare un segno profondo, sia nell'elaborazione teorica che nell'attività pratica e organizzativa.
Era un uomo di pensiero e di azione, un tratto distintivo di una generazione di grandi italiani che avevano visto da vicino la dittatura e la privazione della libertà di espressione; la forte personalità e le originali peculiarità culturali ne caratterizzeranno l'intero percorso politico e istituzionale, impreziosito da responsabilità crescenti in ruoli cruciali per la vita sociale italiana.
Se l'umanesimo cristiano di Jacques Maritain rappresenterà la base valoriale più vicina o avvicinabile alle riflessioni che sin dagli anni quaranta Donat-Cattin presentò all'attenzione dell'opinione pubblica per mezzo della sua instancabile pubblicistica, la sua formazione sindacale, iniziata a conflitto ancora in corso negli anni dell'Olivetti, lo porterà ad essere un riferimento indiscusso per l'intero movimento cattolico italiano.

La sua visione prospettica e la capacità di analizzare i fatti anche e soprattutto in relazione ai generali mutamenti in atto nel Paese e nel contesto internazionale, ne caratterizzeranno non solo l'attività, ma la capacità di intessere relazioni umane.
Sarà così con Giulio Pastore, sarà così con Aldo Moro.
Il lungo percorso istituzionale di Carlo Donat-Cattin dimostra che solo attraverso i grandi slanci ideali, i pensieri difficili e di lungo respiro, articolati e ispirati all'etica della responsabilità, possono configurarsi come base per costruire solidi rapporti personali. Rapporti in grado di superare differenziazioni politiche, contingenze storiche o convenienze di parte.
Mai ciecamente ubbidiente, costantemente ascoltato, unanimemente stimato, anche dagli avversari interni ed esterni.

Dal 1958 sarà deputato per cinque legislature, prima di essere eletto in tre successive elezioni in Senato. Entrato per la prima volta al governo come Sottosegretario nel primo esecutivo Moro - con delega alle Partecipazioni statali - segnerà con la sua azione gran parte degli esecutivi successivi.
Ministro del Lavoro dal 1969 al 1972 - ruolo che sarà richiamato a ricoprire anche a cavallo tra gli anni 80 e 90 - a lui si deve la positiva conclusione dell'iter complesso e sofferto dell'approvazione dello Statuto dei lavoratori.
Insieme a Gino Giugni, dopo la prematura scomparsa del predecessore Giacomo Brodolini, seppe a tal punto indicare con fermezza e decisione quali fossero gli obiettivi irrinunciabili, da essere omaggiato da quello che ritengo il più nobile degli appellativi: Carlo Donat-Cattin, il Ministro dei lavoratori.
Una vera e propria medaglia, coniata negli anni da una totale intransigenza nei principi non negoziabili e da una naturale capacità di dialogo e di ascolto, anche nei frangenti più complessi.
Del resto chi meglio del sindacalista formatosi nella Torino industriale del dopo-guerra - sempre sul fronte opposto rispetto alla Fiat - avrebbe potuto gestire la "costituzionalizzazione del lavoro" negli anni caldi della contestazione generazionale, delle piazze e, dal 12 dicembre 1969, dello stragismo?

Le successive esperienze ministeriali, con deleghe al Mezzogiorno, all'Industria e alla Sanità, confermeranno le doti di un politico sempre pronto a calare nell'azione di governo la spinta ideale e sociale della sua formazione cristiana.
Anche in questi casi non mancarono le innovazioni e gli scatti in avanti. Penso all'approvazione del piano energetico nazionale, alla legge per le ristrutturazioni industriali - oltre tutto non particolarmente sostenuta da Confindustria - al primo vero tentativo di regionalizzazione del sistema sanitario nazionale e di modernizzazione delle Unità Sanitarie Locali.

Parallelamente alle responsabilità ministeriali Donat-Cattin si afferma all'interno del partito, di cui diventa un riconosciuto leader politico nazionale. Resterà negli anni sempre convinto che la Democrazia Cristiana, di cui fu anche vice segretario nazionale, non dovesse mai limitarsi alla gestione del potere per il potere.
Nella sua visione, ripresa e consolidata all'interno di Forze Nuove, la DC non avrebbe mai dovuto auto-ridursi al ruolo di mera conservazione.
[...] "la mia decisione di non accettare gli incarichi offerti - disse in occasione del rifiuto ad assumere il Dicastero della Sanità nel Governo Rumor - è di carattere strettamente politico: dovete confrontarvi con una sinistra reale, altrimenti la DC diventerà il partito conservatore italiano".

Sarà negli anni successivi uno dei massimi ispiratori e sostenitori dei governi di centrosinistra, anche attraverso la vitalità progettuale della sinistra sociale, senza però aderire a quell'idea della "terza fase" che Zaccagnini immaginava per una strutturale cooptazione del Partito Comunista Italiano.
"La questione comunista è aperta: seria, importante e grave", spiegherà Donat-Cattin in un fortunato libro intervista.

Dopo l'assassinio di Moro, unico riconosciuto interlocutore e garante degli equilibri nella fase della solidarietà nazionale, sarà proprio Donat-Cattin a vergare il famoso "preambolo" alla mozione di maggioranza nel congresso di Roma del 1980, determinando la linea politica del principale partito politico italiano fino all'avvento della seconda Repubblica.
Aveva capito, forse meglio di chiunque altro, certamente in anticipo sui tempi, che in una fase internazionale ancora caratterizzata dalla logica dei due blocchi, un governo delle larghe intese avrebbe fatto solo gli interessi di una ristretta cerchia di dirigenti. I cosiddetti "conformisti".

Due culture - quella democratico cristiana e quella comunista - meritevoli di rispetto e di attenzione, ma ancora non mature per non restare ancorate alla dicotomia politica maggioranza-opposizione che rappresentava l'unica strada per preservare, all'interno di entrambe, quelle vitali forme di pensiero critico, libero e non allineato.
Mi consentirete, in conclusione, di ricordare le parole che il Presidente del Senato Giovanni Spadolini dedicò a Carlo Donat-Cattin il 27 marzo del 1991, nella commemorazione in Aula, delineando i contorni della sua personalità, anche politica:
"Per riaffermare i valori della democrazia, per riaffermare quello che Aldo Moro chiamava «un nuovo senso del dovere», non evitò mai la polemica anche aggressiva, la franchezza anche aspra del confronto, con una contrarietà irriducibile agli equilibrismi e alle acrobazie della politica".