Convegno “I cento anni del Governo guidato da Francesco Saverio Nitti”
Discorso del Presidente del Senato Elisabetta Casellati nella Sala Capitolare di Palazzo della Minerva
"Autorità,
Signore e signori,
è per me un vero piacere portare il mio saluto personale e quello del Senato a questo evento dedicato al Governo presieduto, nel biennio 1919/1920, da Francesco Saverio Nitti.
Intellettuale, professore universitario, meridionalista, politico e statista, costituente, europeista, economista, antifascista, esule, scrittore e saggista: non vi è dubbio che la figura di Nitti può e deve essere valutata e approfondita sotto ogni aspetto e attraverso l'esame della sua notevolissima produzione politica e letteraria.
Una necessità raccolta dal Comitato per le Celebrazioni del Centenario del Governo Nitti, che ha infatti organizzato numerose iniziative in tutti i luoghi simbolo della sua vita e delle sue attività.
Formatosi alla scuola di Giustino Fortunato nella Napoli dei grandi fermenti culturali di fine ottocento, ne divenne ben presto animatore imprescindibile.
Un ruolo che lo spinse - insieme a Benedetto Croce e altri illustri esponenti -, a fondare "La società dei nove Musi", iniziativa che contribuì alla diffusione e al successo delle opere e delle iniziative editoriali che da quel sodalizio letterario discendevano.
Nelle vesti di ricercatore sociale e di meridionalista Nitti seppe anticipare i risultati che la storiografia raggiunse solo decenni più tardi, a partire dal ruolo del brigantaggio e delle reali cause alla base dell'arretratezza delle province del Sud Italia.
Senza mai indulgere nella retorica filo-borbonica, né accondiscendere alle teorie in voga in alcuni ambienti fortemente anti-piemontesi, Nitti sin da subito coniugò una lucida analisi geo-antropologica con una riflessione scientifica sull'economia e sulle capacità produttive degli Stati pre-unitari.
Gli squilibri nella gestione finanziaria dell'Italia unita venivano da Nitti sempre accompagnati da una fotografia della realtà che nulla lasciava al caso, anche per quello che riguardava il Piemonte.
Infatti, "dal punto di vista della finanza - affermò in uno dei suoi scritti -, bisogna ricordare che nel 1860 il Piemonte aveva una grandissima rete stradale; numerose ferrovie e canali e opere pubbliche di molta importanza".
La stessa impostazione realista la si può ritrovare nel rifiuto di qualsiasi agiografia risorgimentale, da Nitti sempre considerata un'epoca di conquiste da far risalire essenzialmente all'azione e alle scelte delle élites.
La distanza della popolazione dai moti ottocenteschi, oggi punto condiviso dalla gran parte degli studi storiografici, fu quindi anticipata e sapientemente contestualizzata.
Sarà questo uno dei tratti peculiari anche del Nitti politico.
Già da deputato contribuì all'azione degli esecutivi Giolitti con le sue competenze tecniche e una visione non comune sulle cause del mancato sviluppo produttivo del Mezzogiorno e non solo. Un prestigio che lo portò, nel 1911, ad essere il primo meridionalista a ricoprire il ruolo da ministro.
Nelle fasi antecedenti la scelta dell'Italia di entrare nel primo conflitto mondiale, il suo fu probabilmente il giudizio più razionale e ragionevole.
Egli riteneva che dalla guerra l'Italia non avrebbe tratto alcun beneficio, anche in caso di vittoria, perché l'alleata Germania non avrebbe mai soddisfatto le concessioni promesse.
La sua avversione per l'entrata in guerra non ne pregiudicò però, in alcun modo, l'impegno personale e politico.
Chiamato a ricoprire il ruolo di ministro del Tesoro nel Governo Orlando - subito dopo la disfatta di Caporetto - , fu a Nitti che si deve la novità normativa della prima assicurazione generale per i militari italiani.
Così come l'istituzione dell'Opera Nazionale Combattenti, ente pensato per fornire assistenza ai combattenti e ricondurli nell'alveo delle istituzioni democratiche.
Nelle conferenze internazionali che nei mesi successivi sancirono la fine delle ostilità e riscrissero i confini degli Stati europei e delle loro zone di influenza, Nitti riuscì a mantenere quella lucidità che ne ha sempre contraddistinto il pensiero e l'azione.
Se oggi tante responsabilità politiche sulla fine della Repubblica di Weimar - e quindi l'avvento di Hitler al potere - vengono fatte discendere dall'insostenibile livello delle riparazioni di guerra al quale fu sottoposta la Germania, non possiamo non sottolineare come fu proprio Nitti - diventato Presidente del Consiglio il 23 giugno 1919 - tra i pochi, pochissimi, a nutrire forti perplessità rispetto a una simile quantificazione dei risarcimenti.
Le difficoltà nelle quali si trovò ad operare il Governo Nitti furono quindi chiare sin dall'inizio. Fu lui a firmare il trattato di Saint-Germain, che per l'Italia sanciva la definizione dei confini con l'Austria - con il Brennero italiano - , e allo stesso tempo rimandava ad intese bilaterali il destino del confine orientale.
L'impresa fiumana di D'Annunzio, la propaganda sensazionalistica della vittoria mutilata, la difficile transizione sociale che seguì la fine del conflitto, le aspirazioni del reducismo, il ritorno a casa degli invalidi e dei mutilati di guerra, la difficile riconversione industriale da bellica a civile, le fibrillazioni valutaria e finanziarie, gli scioperi generali: fu questo il contesto nel quale Nitti guidò l'esecutivo.
Eppure non mancarono né le intuizioni né i risultati.
Tra le varie iniziative credo doveroso ricordare:
- l'istituzione della Regia guardia per la pubblica sicurezza, in una fase in cui sedare gli animi delle piazze significava spesso lasciare sul campo morti e feriti;
- l'istituzione della Cassa Nazionale delle Assicurazioni Sociali che, attraverso l'assicurazione obbligatoria per la vecchiaia e l'invalidità, rappresenta un balzo in avanti nella legislazione sociale dal quale nascerà poi l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale così come lo conosciamo oggi.
La fine del cosiddetto "biennio rosso" e il ritorno di Giolitti in un estremo tentativo, fuori tempo massimo, di preservare il vecchio Stato liberale sanciranno la fine dell'esperienza governativa di Nitti, non la fine del suo impegno politico.
Esule in Francia per sfuggire alle rappresaglie fasciste, Nitti sarà infatti un instancabile tessitore di rapporti e strategie per contribuire alla liberazione della Penisola.
A Parigi divenne ben presto un punto di riferimento, come da lui stesso ricordato.
"Alla nostra modesta mensa - ricorderà lo stesso Nitti - sedevano spesso gli uomini che più lottavano fra loro per diversità di programmi e di ideali: il sacerdote Sturzo e Modigliani di idee esageratamente anticlericali, Turati e Salvemini che si diffidavano tra loro, Treves e i repubblicani più accesi, Chiesa e i diffidenti suoi avversari".
Deputato all'Assemblea Costituente e senatore di diritto nella prima legislatura, non farà mai mancare la sua autorevolezza e il suo apporto alle istituzioni repubblicane e al miglioramento della qualità della vita, come dimostra il suo impegno diretto contro l'analfabetismo.
Fiero del suo impegno politico e letterario, anche nei periodi di prigionia lavorerà incessantemente alle sue riflessioni su fatti e protagonisti della scena pubblica, con ironia e lungimiranza.
Consentitemi, in conclusione, un'ulteriore riflessione sull'antifascismo che Nitti espresse in tutto l'arco della sua vita. Ritengo infatti doveroso ricordare il prezzo personale e familiare pagato da Nitti per aver da subito negato la legittimità a quello che sarebbe diventato il regime fascista.
Una presa di distanze che lo porterà ad abbandonare l'Aula della Camera nel giorno della fiducia al primo governo Mussolini, il 31 ottobre 1922.
E allora vorrei concludere questo intervento con le parole che Nitti stesso rivolse a Giovanni Amendola subito dopo l'uccisione di Giacomo Matteotti.
"Bisogna resistere e vincere. Noi rappresentiamo la civiltà e la vita contro la nuova barbarie. Io ho fatto sempre opera di moderazione. Ma ora tutta la coscienza nazionale insorge contro i sistemi di brigantaggio e di violenza. In tutta l'Europa è un senso di diffidenza e di attesa. Ella non dubiti della vittoria. Le grandi idee morali hanno una invincibile forza e siamo noi soltanto che ora le rappresentiamo".