Gino Giugni. Professore e Senatore della Repubblica a dieci anni dalla scomparsa
Discorso pronunciato nella Sala Koch di Palazzo Madama
Autorità, Signore e Signori,
Sono onorata di essere con voi oggi ad aprire questo convegno dedicato a Gino Giugni, Professore e Senatore della Repubblica.
Ricordare questa insigne figura significa in primo luogo sottolineare il suo imprescindibile ruolo di "ispiratore e guida " di un cambiamento radicale nel modo di concepire il diritto del lavoro, contribuendo al suo profondo rinnovamento.
L'influenza di Gino Giugni sul nostro diritto del lavoro è stata infatti particolarmente ampia e multiforme.
Una influenza indiretta grazie alla sua intensa attività di giurista, espressa attraverso contributi scientifici anche internazionalmente apprezzati.
Una incidenza diretta per mezzo della attività istituzionale svolta nella sua qualità di autorevole consigliere di Ministri, di Presidente della Commissione Lavoro del Senato della Repubblica e naturalmente, nel 1993, di Ministro del Lavoro.
In realtà, come è stato autorevolmente osservato, le sue concezioni giuridiche e le loro pratiche applicazioni hanno conferito "l'impronta più significativa all'evoluzione del diritto del lavoro nell'intera seconda metà del secolo scorso".
E proprio questo convegno offrirà - ne sono certa - preziosi contributi per approfondire ulteriormente il significato e le implicazioni della sua attività.
Voglio in particolare soffermarmi sulla vocazione riformistica, di forte riformismo, del suo pensiero e della sua azione.
Un riformismo, quello di Gino Giugni, che si caratterizza per una duplice connotazione: il realismo e la interdisciplinarietà nell'approccio ai problemi.
Un riformismo che trae quindi alimento dall'osservazione empirica - dall'analisi delle trasformazioni in atto nella realtà produttiva e nelle dinamiche del lavoro - che egli riteneva " l'unico modo di procedere per costruire politiche di riforma".
Egli inoltre si dimostra profondamente convinto della necessità di avvalersi costantemente dell'apporto di discipline diverse dal diritto, elaborando così un metodo di analisi "globale" dei problemi del lavoro, quasi trasformandosi in "uno scienziato e in un ingegnere sociale temporaneamente prestato alla politica".
In questa sua visione riformistica del diritto e della politica occupa uno spazio centrale, sia dal punto di vista speculativo, sia dal punto di vista pratico, la riflessione operativa sul ruolo fondamentale dell'autonomia collettiva.
Essa cioè assume, nel suo pensiero, il carattere di fonte regolativa dei rapporti di lavoro e di strumento principale per realizzare forme di tutela e garanzia avanzate dei lavoratori.
La contrattazione collettiva, come egli infatti espressamente dichiara, rappresenta, con il sindacato, "il cardine centrale del sistema di tutele del lavoro".
Tale considerazione lo induce poi, in un'ottica di forte innovazione, ad una rielaborazione del rapporto tra legge e autonomia collettiva, intervenendo in tal modo, sin dalla fine degli anni '60, nel cuore del dibattito di politica legislativa suscitato dalle prime proposte di Statuto dei lavoratori.
E proprio nel contributo decisivo dato alla elaborazione e alla approvazione dello Statuto si trovano espresse e realizzate le sue concezioni, le sue intuizioni, le sue priorità.
Non è certo possibile per me, in questa sede, soffermarmi sulla ben nota solidità e ricchezza dello Statuto dei lavoratori.
Mi consentirete, tuttavia, di sottolinearne il carattere di profonda originalità.
E questo non solo in relazione all'introduzione delle previsioni dell'articolo 18 o dell'articolo 28. Ma anche per il potenziamento del ruolo del sindacato all'interno dell'impresa e per il riconoscimento esplicito dei diritti dei lavoratori nei confronti del potere datoriale.
Ugualmente significativa appare poi l'approvazione dello Statuto a larghissima maggioranza.
Segno questo di una forte condivisione delle soluzioni normative adottate e del percorso culturale e istituzionale che ha condotto alla sua approvazione.
Negli anni successivi, le profonde mutazioni delle relazioni industriali, l'emergere e il consolidarsi di tipologie contrattuali del tutto nuove, portano Gino Giugni a confrontarsi con nuove sfide.
Penso alla trasformazione del sistema di collocamento; all'introduzione di nuove forme di flessibilità nell'organizzazione del lavoro; alla revisione della disciplina dei licenziamenti.
Riforme destinate ad avere un impatto decisivo sulle dinamiche del diritto del lavoro, ma necessarie per sostenere un complesso e spesso travagliato percorso di sviluppo economico e sociale del Paese.
Riforme che portano anche il suo nome. E che tuttavia egli contribuisce ad attuare senza mai rinunciare alla difesa del ruolo centrale della contrattazione collettiva, ritenuta uno strumento prezioso di correzione della conflittualità e per il raggiungimento di equilibri tra poteri, diritti e interessi.
Per passare, cioè, "dal conflitto aperto inevitabile al conflitto aperto evitato".
Come uomo di scienza e come uomo delle Istituzioni, Gino Giugni è sempre stato inoltre particolarmente attento anche alle ragioni dell'impresa.
E questo nella profonda convinzione che il diritto del lavoro dovesse coniugare adeguatamente obiettivi sociali ed obiettivi di efficienza, attraverso una composizione alta degli interessi di tutti gli attori coinvolti.
Solo in tal modo si poteva infatti realizzare una tutela reale delle ragioni del lavoro e dei lavoratori.
Egli ha dato dunque e continua a dare, con l'eredità dei suoi ideali e dei suoi pensieri, un contributo decisivo per l'attuazione del fondamentale principio fondativo della stessa fisionomia repubblicana.
Un contributo che, nella sua attualità così come nella sua originalità e profondità creativa, continua ancora oggi ad imporsi come un esempio da cui trarre ispirazione per guardare alle politiche occupazionali e al diritto del lavoro con spirito riformista e prospettive responsabili.