“I giovani del 2000 e l'Olocausto”
Discorso pronunciato all'evento in Sala Koch per il Giorno della memoria con la presentazione del film “SIEGFRIEDSDORF DIXIELAND BAND”
"Autorità, signore e signori,
è per me un vero piacere poter ospitare in questa prestigiosa sala l'iniziativa di oggi, perché la ritengo il modo migliore per ricordare ed onorare, nel Giorno della Memoria, tutte le vittime della Shoah.
"I giovani del 2000 e l'Olocausto" è infatti più di un titolo: è un impegno solenne a fare in modo che la memoria possa essere nutrita, preservata e divulgata.
È la più preziosa eredità che ci è stata consegnata dal '900; è il lascito che abbiamo il dovere di trasmettere alle giovani generazioni.
Ringrazio i senatori Alberto Bagnai e Alessandra Gallone che hanno fortemente voluto l'organizzazione di questa giornata e che, con la loro iniziativa, danno lustro all'intero Senato della Repubblica e arricchiscono il ventaglio delle iniziative istituzionali promosse in occasione di questa fondamentale ricorrenza.
Saluto gli autorevoli relatori che, per competenze e prestigio, saranno certamente capaci di stimolare riflessioni e considerazioni.
Saluto e ringrazio Cesare Mangiocavallo, un giovane del quale sentiremo parlare tanto e bene nei prossimi anni, sia in ambito musicale che cinematografico, che ha avuto il coraggio di esordire come regista con un'opera che lascia senza fiato.
Un racconto asciutto, essenziale. La brutalità nazista - per dirla con Hannah Arendt - raccontata nella sua sconcertante banalità. La musica come salvezza, linguaggio universale, coscienza.
Un film neorealista, capace di suscitare emozioni forti, di scavare nell'indignazione, di interrogare l'anima.
Un film che ci racconta come la fantasia possa trasformare una sega da falegname, un segaccio, in uno strumento dalla melodia celestiale, a dimostrazione di come la vita sia più forte dell'odio e della barbarie.
Neanche la crudeltà potrà quindi sconfiggere i sogni, soffocare la speranza, silenziare i cuori.
Non voglio anticiparvi oltre sui contenuti dell'opera - che non ho potuto fare a meno di vedere e rivedere -, ma sono sicura che i due estratti che tra poco guarderemo insieme sapranno suscitare in voi emozioni e considerazioni non scontate.
Vorrei condividerne qualcuna con voi.
La società contemporanea ha un evidente debito di riconoscenza e di gratitudine nei confronti degli artisti e delle loro opere.
È anche e soprattutto grazie a loro se, subito dopo la fine del secondo conflitto mondiale, quando molti volevano solo dimenticare e altri avrebbero voluto cancellare - se non addirittura negare - quello che era accaduto, non è calato il silenzio su quanto era stato commesso da uomini contro altri uomini, da uomini contro i propri fratelli.
Non è un caso.
La cultura, la musica, la bellezza non si possono controllare, non sono addomesticabili, non si possono rinchiudere, neanche dietro il filo spinato.
"L'arte degenerata", la definizione che i nazisti davano di ogni forma di espressione non conforme al regime - a partire dal Jazz - si dimostrò più forte di qualsiasi ostacolo o divieto che le venisse posto.
Furono gli stessi musicisti imprigionati o perseguitati ad utilizzare per primi il loro talento per dar vita a quella resistenza spirituale che consentì loro di sentirsi ancora esseri umani - in luoghi dove l'umanità sembrava svanita - e dare corpo e sostanza alle denunce sull'oppressione e lo sterminio in atto.
Penso al film premio Oscar "Il Pianista" - la storia autobiografica di Władysław Szpilman -, e a quanto accadde nel ghetto di Varsavia;
penso alla chiave con cui Roberto Benigni realizzò, con le musiche di Nicola Piovani, "la vita è bella";
penso ai tanti artisti che ci hanno fatto commuovere, piangere e riflettere: da De Gregori a Guccini, da Bob Dylan a Leonard Cohen.
Senza dimenticare ovviamente Arturo Toscanini e i tanti grandi uomini dello spettacolo che negli anni bui delle persecuzioni razziali si adoperarono in ogni modo per dare rifugio ed assistenza agli artisti ebrei emarginati e discriminati.
È a questa splendida e meritoria tradizione che possiamo quindi risalire pensando al lavoro di Cesare che, con una personalissima lettura ed interpretazione di quanto accadde a Theresienstadt, ci consente oggi una riflessione sui giovani del 2000 e l'Olocausto.
Un viaggio che trova forma e sostanza nelle lingue adottate per i protagonisti (tedesco, ceco, rumeno), che si sviluppa grazie alle diverse forme di espressione artistica (musica, canto, fotografia, recitazione) e che mette in risalto - grazie ad una sceneggiatura accurata e coraggiosa -, quei valori morali alla base della nostra società, del nostro Stato di diritto, della nostra storia repubblicana.
Negli ultimi decenni tanto è stato fatto sotto il profilo dell'insegnamento e della conoscenza, grazie soprattutto al coraggio e agli sforzi delle comunità ebraiche italiane.
E non è un caso se nell'estate del 1944, in questa città ancora sanguinante e appena liberata, la Comunità ebraica di Roma riuscì ad organizzare l'immediata riapertura della scuola "Vittorio Polacco". La scuola e l'educazione dei giovani prima di tutto, prima di ogni altra necessità.
Una sensibilità che è ancora oggi un elemento fondante delle comunità ebraiche e che è alla base dell'impegno profuso nell'organizzazione di visite guidate nei luoghi stessi dello sterminio, di lezioni, pubblicazioni, testimonianze.
Un impegno che contribuisce a creare cittadini consapevoli e per il quale ringrazio l'amica Ruth Dureghello - presidente della Comunità ebraica di Roma -, insieme a tutti coloro che con lei partecipano a tali progetti.
Uno sforzo come detto meritorio, rispetto al quale ogni istituzione è chiamata a fare la propria parte, affinché quello che è successo non possa più accadere.
Nessuno può considerarsi immune a prescindere, anche perché non dobbiamo dimenticare che, nel 1938, tutti gli ambiti della vita pubblica furono sconvolti dall'entrata in vigore di quelle "leggi razziste" che rappresentano il punto più basso della nostra civiltà.
Anche il Senato ha saputo interpretare - con varie iniziative di sensibilizzazione - questa necessità, dimostrando una reale e fattiva condivisione da parte di tutte le forze politiche per respingere e combattere qualsiasi rigurgito di antisemitismo dalla vita del Paese.
Il passare degli anni deve però spingerci ad un'ulteriore riflessione su quali potranno essere le migliori forme e attività divulgative per fare in modo che i nostri figli e i nostri nipoti, e i loro figli e i loro nipoti, non debbano più confrontarsi con il mostro dell'odio razziale.
Una riflessione che parta quindi dalla straordinaria capacità di raccontare cosa è accaduto da parte dei sopravvissuti - e il Senato della Repubblica può e deve dirsi onorato di avere tra i propri banchi la senatrice Liliana Segre, alla quale va tutta la mia gratitudine per quanto fatto nell'arco della sua vita e per quanto farà ancora al servizio del Paese.
A tal proposito, vorrei ricordare tre uomini straordinari che con il loro esempio, la loro testimonianza e la loro instancabile presenza hanno reso tutti noi più consapevoli: Alberto Sed, Piero Terracina e Franco Schoenheit.
Le loro storie non dovranno essere dimenticate, sulle loro vite non dovrà mai scendere il silenzio.
E allora l'opera di un ragazzo di 19 anni che con coraggio, idee e passione realizza un film di questa portata, mi appare come la più interessante e rassicurante delle risposte.
Una risposta che, mi auguro, possa avere il sostegno necessario per giungere a più persone possibile, a più giovani possibile, a più studenti possibile.
Sono certa che il Presidente Foa, che saluto e che ringrazio per le tante iniziative che riusciamo a realizzare sulla base della sinergia e dell'intesa tra la Rai e il Senato, saprà, anche da questo punto di vista, fornirci una sua idea in merito.
Consentitemi, in conclusione, di ricordare le parole di Primo Levi - tratte da "Se questo è un uomo" -, che ispirarono il già citato film di Benigni: "pensavo - scrisse Levi - che la vita fuori era bella, e sarebbe ancora stata bella, e sarebbe stato veramente un peccato lasciarsi sommergere adesso».
Facciamo in modo, tutti insieme, che nessun essere umano debba mai più provare tutto ciò.