"Leadership femminile: un'impresa possibile?"
Discorso pronunciato nella Sala Koch di Palazzo Madama
Buon pomeriggio a tutti,
ho accolto con piacere l'invito ad aprire questo importante convegno per la presentazione del primo rapporto sulla presenza delle donne ai vertici delle imprese italiane, elaborato dalla Fondazione Marisa Bellisario e dal Cerved in collaborazione con l'INPS.
Un documento prezioso; una sintesi lucida e dettagliata delle tante criticità e delle difficoltà che tutt'oggi rendono quello della parità di genere nel mondo del lavoro un tema ancora aperto e di forte attualità.
Saluto l'amica Lella Golfo, da sempre l'anima e il cuore della Fondazione Bellisario, Andrea Mignanelli, Amministratore delegato di Cerved, i parlamentari e tutte le autorità presenti.
Saluto e ringrazio i relatori che, con il loro prestigio e le loro competenze, sono certa sapranno stimolare nuove riflessioni, nuove idee, su come proseguire in questo difficile e complesso percorso di civiltà.
Un percorso a cui, come donna prima ancora che come professionista, politico o rappresentante delle istituzioni, ho sempre guardato con attenzione e forte partecipazione.
E l'ho fatto nella convinzione che la nostra società abbia un grande debito di riconoscenza nei confronti del genio femminile.
Nei confronti del talento, delle competenze e del coraggio di tante donne che hanno lasciato un'impronta nella storia: da Marie Curie a Rita Levi Montalcini, da Amelia Earhart e Valentina Tereskova a Samantha Cristoforetti, da Margareth Thatcher a Ursula Von Der Leyen e alla neo eletta Presidente dell'Etiopia Sahlework Zewde.
Penso poi a Greta Thunberg e a Malala Yousafzai: due giovani donne che in tempi più recenti sono diventate autentiche icone della difesa dell'ambiente e della tutela dei diritti civili e del diritto all'istruzione.
Penso alle scienziate italiane che stanno ottenendo grandi risultati nella ricerca e da ultimo nell'isolamento del coronavirus.
Ma penso anche a tante donne che ogni giorno nella famiglia, nel mondo del lavoro e dell'impresa, nelle Istituzioni, nei servizi pubblici e privati, nell'arte, nella scienza e nella cultura, danno un contributo fondamentale alla crescita e allo sviluppo della nostra società e di tutta la Nazione.
Tra queste, consentitemi di ricordare proprio Lella Golfo e Alessia Maria Mosca.
Perchè è stato soprattutto grazie alla loro intraprendenza e alla loro instancabile opera di sensibilizzazione e di mediazione se, nel 2011, è stato possibile approvare, con il consenso di tutte le forze politiche, la legge n. 120 in materia di rappresentanza femminile nei consigli di amministrazione e nei collegi sindacali delle società quotate.
Un provvedimento che si è rivelato decisivo per aprire a tante eccellenze femminili le porte di alcune delle principali realtà economiche nazionali.
Ciò nonostante, il Documento predisposto dal Cerved e dalla Fondazione Bellisario, ci dice che neppure 10 anni di vigenza della legge Golfo/Mosca sono stati sufficienti a scardinare alcune resistenze profondamente radicate nella nostra società e che molto c'è ancora da fare.
Se guardiamo ai dati, possiamo infatti rilevare come la presenza femminile negli organi di governo e di controllo delle imprese sia passata dal 6% del 2011 ad oltre il 36% dell'ultimo anno soltanto nelle società quotate nei mercati finanziari.
Qui sì c'è stato un vero salto di qualità che ha portato l'Italia ben al di sopra della media europea!
Ma se guardiamo invece alle realtà aziendali non quotate - che non sono quindi soggette alle prescrizioni della legge Golfo - allora i numeri cambiano sensibilmente: la crescita della presenza femminile si attesta a poco meno del 18% e più della metà di quelle imprese non ha donne negli organi di governo.
Eppure, studi autorevoli - come ad esempio l'ultimo report pubblicato dall'Organizzazione Internazionale del Lavoro - hanno ampiamente dimostrato che proprio le aziende più attente alla differenza di genere e con una maggiore presenza di donne nei ruoli apicali hanno conseguito - specie negli ultimi anni - un forte incremento dei fatturati, con massimi attorno al 20%.
E insieme a quella degli utili si è registrata anche una tangibile crescita della creatività e dell'innovazione, applicate tanto ai processi produttivi quanto alle altre dinamiche aziendali: dal marketing alle strategie di reclutamento del personale; dalle politiche di sviluppo all'analisi delle abitudini dei consumatori.
I dati dimostrano inoltre che, a parità di inquadramento professionale, le donne sono tendenzialmente più giovani e - soprattutto - più preparate dei colleghi uomini.
E' evidente quindi che qualcosa non torna: perchè quello che abbiamo davanti è il ritratto di un mercato del lavoro ancora fortemente disomogeneo e diffidente verso le potenzialità femminili.
Se, infatti, dare opportunità alle donne ha avuto effetti positivi per le aziende che hanno investito sul loro talento e sulla loro competenza, dobbiamo chiederci perchè la rappresentanza femminile nelle posizioni di leadership o di alta responsabilità continua a rappresentare un'eccezione rispetto a quella maschile?
Perchè il divario salariale tra uomini e donne continua ad attestarsi - su scala globale - ad una media superiore al 18%?
Una differenza di trattamento economico basata sul sesso che può ben essere considerata una inaccettabile forma di violenza di genere. Una violenza contro la dignità di ogni lavoratrice!
E - se guardiamo al mercato del lavoro nel suo complesso - perchè le donne continuano a trovare maggiori difficoltà rispetto ai colleghi uomini nell'accesso, nei percorsi formativi e professionali, nelle possibilità di carriera, nel riconoscimento dei meriti?
Di fronte a questi interrogativi, sono sempre più convinta che la proroga dell'efficacia della legge Golfo/Mosca - condivisa sostanzialmente da tutte le forze politiche - sia stata un atto doveroso e di grande responsabilità.
Ma dobbiamo anche prendere atto che quello con cui ci stiamo confrontando è un tema che, per complessità, articolazione ed implicazioni sociali, richiede tempo, pazienza, perseveranza.
Per raggiungere una vera parità di genere nel mondo del lavoro, prescrivere "quote rosa" o "soglie minime" di presenza femminile è stato senz'altro utile, ma non risolutivo.
Occorre affiancarvi una strategia legislativa e di governo più ampia e coraggiosa, sostenuta da una visione di lungo periodo che tenga conto anche dei profondi cambiamenti in atto.
Penso a come le dinamiche occupazionali - tanto in Italia quanto a livello globale - saranno influenzate dai fenomeni migratori in atto o dalle trasformazioni dei mercati e dei processi produttivi sempre più orientati verso la digitalizzazione, la robotizzazione, l'intelligenza artificiale.
Ma mi riferisco anche ad altri fattori che coinvolgono più direttamente il ruolo delle donne nella nostra società, come la forte riduzione dei tassi di natalità e il progressivo invecchiamento della popolazione.
In questa ottica, creare pari opportunità significa creare le migliori condizioni perchè il potenziale femminile possa esprimersi senza ostacoli o condizionamenti.
Vuol dire investire sulle famiglie e sulla loro stabilità; sulla scuola; sulla formazione delle nuove generazioni.
Significa predisporre strumenti normativi efficaci per trovare un punto di equilibrio sostenibile tra vita lavorativa e vita privata, così come per contrastare con fermezza ogni forma di discriminazione o di violenza basata sul genere.
Perchè l'emancipazione delle donne e l'affermazione del loro protagonismo non può prescindere dal riconoscimento e dall'effettiva tutela dei loro diritti fondamentali, primi tra tutti quello di essere madri e quello ad una vita dignitosa e protetta.
Ma è anche necessario sostenere e valorizzare l'impegno di tutte quelle realtà che - come la fondazione Bellisario - svolgono una preziosa opera di informazione e di sensibilizzazione.
Portare avanti efficaci politiche di enpowerment femminile; dare visibilità a quanto è stato fatto di buono fino ad oggi sul fronte delle pari opportunità in tutti i settori del vivere sociale, significa infatti infondere fiducia.
Significa superare i limiti fisiologici di una legislazione che, da sola, non potrà mai dirsi pienamente efficace e costruire un futuro in cui la partecipazione delle donne nelle dinamiche economiche, politiche, sociali e culturali di una Nazione non sia più una questione di "proporzioni", ma un dato fondato esclusivamente sulle capacità, sulle competenze, sul merito.
Il futuro di un Paese sempre più maturo, sempre più moderno, sempre più libero.