XL edizione Meeting per l’amicizia fra i popoli
Buon pomeriggio a tutti,
che cos'è il Meeting per l'Amicizia tra i Popoli?
Io credo che sia una scommessa sul desiderio che ogni uomo ha nel proprio cuore: un desiderio di bellezza, di verità e di giustizia, che Don Luigi Giussani chiama "esperienza elementare".
A partire da questa consapevolezza, il Meeting si è rivelato nel tempo il "terreno comune per un dialogo tra identità definite che cercano un arricchimento e elementi di verità, non un accomodamento fra posizioni diverse".
Celebrare questo quarantesimo anniversario significa quindi guardare al futuro poggiando sulle fondamenta solide di una storia ricca di vitalità creativa.
Una storia che testimonia come l'esperienza del Meeting abbia avuto negli anni la non comune capacità di restare fedele ai propri principi ispiratori ed alla propria identità: essere espressione della storia di un popolo e non il frutto di una strategia organizzativa.
Proprio nella concretezza della sua esperienza è quindi racchiuso il segreto della sua longevità.
Il Meeting è un luogo di dialogo, di incontro, di convivenza tra diversi che, nell'attuale crisi delle evidenze, interpreta il bisogno di partire dalla propria persona per costruire insieme una comune prospettiva di speranza.
Per questo mi colpisce il titolo che a questa edizione hanno voluto dare gli organizzatori, significativamente tratto da un verso del celebre canto che Karol Wojtyla ha dedicato alla Veronica: "Nacque il tuo nome da ciò che fissavi".
E' guardando ciò che ha incontrato e che le ha permesso di scoprire il significato del vivere che la persona trova la propria identità, ovvero il proprio nome.
Del resto, il nostro nome "non ce lo siamo dati noi", ce lo hanno dato i nostri genitori, segno supremo che la nostra identità nasce, si sviluppa, si trasmette e si tramanda attraverso rapporti e relazioni.
Perché è nelle relazioni e nella capacità di rispondere insieme ai bisogni individuali e collettivi che si realizza compiutamente la persona e la sua capacità creativa.
Ciascun individuo nel corso del proprio percorso di sviluppo fisico, morale, culturale e professionale è destinato a calarsi in dimensioni sociali: dalla famiglia agli amici; dalla scuola a ogni altra realtà associativa o professionale.
Sono i cosiddetti "corpi intermedi", destinati a comporre la struttura del nostro vivere comunitario: spazi in cui la personalità e la creatività del singolo si confronta con quella degli altri individui, esce dalla sfera privata e si cala in una dimensione di carattere pubblico.
Queste formazioni sono l'espressione stessa del tessuto sociale: sono i luoghi dove le persone si aggregano, vengono educate all'ascolto e al confronto; svolgono una importante funzione di tutela delle persone e dei loro legittimi interessi, di risoluzione di problemi e di partecipazione attiva alla vita democratica.
Sono cioè l'espressione di un'amicizia sociale che diviene collante irrinunciabile per la vitalità e la tenuta della società stessa.
Un'amicizia che nella storia delle Nazioni ha ispirato la formazione degli ordinamenti e la definizione delle regole della convivenza, acquisendo una precisa dimensione giuridica, quella della sussidiarietà.
Un principio che trova puntuale riconoscimento nell'articolo 5 del Trattato sull'Unione europea e nell'articolo 118 della nostra Costituzione.
In tale prospettiva, dunque, le istituzioni e la politica sono chiamate a sostenere la vitalità dei corpi intermedi nell'ambito dei quali prende forma la possibilità stessa di una risposta più efficace ai bisogni e ai problemi degli individui e della società.
Questo peraltro è il significato dell'impegno assunto dall'Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà che proprio lo scorso anno ha presentato a questo Meeting il suo manifesto: "Un nuovo patto sul bene comune".
Per favorire la piena realizzazione della persona e l'affermarsi di una cittadinanza attiva occorre quindi partire da quelli che sono i luoghi centrali della comunità.
Quelli in cui si esplicano i primi anni di vita di ogni individuo: la famiglia e la scuola.
La famiglia, in particolare, sta vivendo oggi una stagione segnata da un vero e proprio dramma epocale: l'inverno demografico.
Una crisi della natalità che, come confermano i dati più recenti, ormai investe i cittadini italiani senza distinzione alcuna tra le varie Regioni.
Ma un Paese che non genera figli è un Paese incollato a un eterno presente: è una Nazione incapace di aprirsi a un futuro di crescita e di prosperità.
Occorre dunque invertire la tendenza e prendere consapevolezza che investire sulla genitorialità non è più solo un diritto individuale ma un dovere civico e una precisa strategia di sviluppo.
Una prospettiva che impone un cambiamento culturale che sottolinei con forza il valore sociale della scelta genitoriale.
Perché fare figli è un investimento a carico delle famiglie ma con effetti benefici a favore dell'intera collettività.
Per questo le istituzioni e la politica devono sostenere la famiglia con interventi di varia natura che siano strutturali e di lungo periodo.
Misure economiche e fiscali, certamente, ma anche di ordine organizzativo, ovvero tese a rendere concretamente compatibile il ruolo di genitore e quello di lavoratore.
All'Italia serve un intervento legislativo capace di trovare un equilibrio moderno e virtuoso tra la vita privata, famigliare e professionale delle donne, un piano per la conciliazione capace di valorizzare quello che dagli esperti viene definito "giacimento di Pil potenziale". Secondo una ricerca della Banca d'Italia se riuscissimo a portare al 60% la presenza delle donne nel mercato del lavoro, così come auspica il Trattato di Lisbona, il nostro Pil aumenterebbe del 7% e l'Italia sarebbe al riparo da nuove crisi economiche.
Credo che si tratti di un tema nevralgico e di particolare rilievo.
Per questo ho deciso di organizzare in Senato nei prossimi mesi un evento per favorire una riflessione più approfondita sui problemi derivanti dalla curva demografica discendente e sulla necessità di adottare misure efficaci per invertire la rotta e immaginare nuovi strumenti di conciliazione tra famiglia e lavoro.
Sostenere la famiglia significa inoltre riconoscere e valorizzare il suo ruolo imprescindibile nel percorso educativo della persona al fianco degli istituti scolastici di ogni ordine e grado.
Famiglia e scuola devono infatti essere protagoniste di una nuova centralità dei percorsi formativi umani, culturali e professionali dei nostri giovani da contrapporre ai preoccupanti segnali di un'emergenza educativa sempre più diffusa.
Percorsi che non possono prescindere dalla necessità di garantire la piena attuazione del diritto ad avere un'istruzione equa, efficace e significativa, di cui fa parte integrante la effettiva parità scolastica, in armonia con il dettato costituzionale.
Perché non c'è vera libertà senza la libertà di educare.
Il diritto di istruzione, sancito dagli articoli 33 e 34 della Costituzione, deve infatti qualificarsi come diritto a un insegnamento libero e, allo stesso tempo, come libero diritto di insegnare.
Le scuole e le università devono quindi potersi qualificare come luoghi di libero sapere: di libero insegnamento e di libero apprendimento.
Allo stesso tempo, garantire ai privati la possibilità di istituire scuole di ogni ordine e grado significa riconoscere il valore del pluralismo scolastico.
Perché scuola pubblica e scuola paritaria non si distinguono come sistemi alternativi o in contrasto tra loro, ma sono entrambe espressione di un unico strumento teso allo sviluppo dell'individuo e della collettività.
Ecco che, in tale prospettiva, la libera iniziativa nel sistema dell'istruzione si qualifica come una risorsa irrinunciabile.
Così come irrinunciabile deve essere considerata la libera iniziativa economica e imprenditoriale intesa come fonte di lavoro e di opportunità. Soprattutto, come vero motore di un sistema sussidiario.
Il lavoro costituisce infatti, come ci ricorda Papa Francesco nell'enciclica Laudato si', "parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione e di sviluppo umano".
Ne discende quindi l'esigenza di una nuova concezione del lavoro e dell'impresa che sappia essere sintesi tra i valori più solidi della nostra tradizione cristiana e la spinta innovativa dei processi di cambiamento globale in atto.
Penso ad esempio alla grande capacità realizzativa dimostrata dal terzo settore; al suo sapere essere - nel contempo - un sostegno per chi è in difficoltà ma anche una risposta vivace e creativa alle esigenze di una società in continua mutazione.
E proprio il terzo settore può rappresentare un prezioso bacino cui attingere per dare nuova spinta e nuove idee alle nostre economie.
Sono talmente convinta delle sue enormi potenzialità che sto lavorando per istituire in Senato un premio teso proprio alla valorizzazione e alla divulgazione delle esperienze più innovative e più significative realizzate nei vari campi del non profit.
Del resto, come ha osservato recentemente il professor Zamagni, è necessario prendere coscienza che "un ordine sociale come quello del nostro Paese" non può più "reggersi solo sulle gambe del pubblico e del privato".
Una insufficienza che può essere superata anche mediante la piena attuazione della legge di riforma del terzo settore e attraverso l'adozione delle norme necessarie perché esso possa ottenere le risorse finanziarie per la sua autonoma operatività.
La consapevolezza dunque che il terzo settore non possa essere "la ruota di scorta" o una semplice appendice dello Stato e dei mercati apre inevitabilmente alla riflessione sul senso dell'economia e delle sue finalità, per correggerne disfunzioni e distorsioni.
Come ancora osserva Papa Francesco sempre nell'enciclica Laudato si': "affinché sorgano nuovi modelli di progresso abbiamo bisogno di cambiare il modello di sviluppo globale".
Si tratta quindi di ridefinire il futuro nell'ottica di un patto globale tra Stati e generazioni fondato sulla sostenibilità.
Un patto che deve necessariamente integrare in modo virtuoso e lungimirante sviluppo sociale, crescita economica e tutela dell'eco sistema nel rispetto del pianeta, delle sue risorse e di chi verrà dopo di noi.
Un patto inclusivo, in cui nessuno deve essere lasciato indietro, in cui gli sforzi dei singoli possano trovare sostegno in un contesto responsabile e favorevole.
Soprattutto un patto fondato sul dialogo e sulla capacità di ascolto e di comprensionbe.
Un dialogo tra storie e culture diverse che in questo Meeting trova la sua casa naturale, ne costituisce l'essenza stessa e la cifra distintiva della sua identità culturale.
Qui il dialogo non è solo un metodo di lavoro ma una dimensione spontanea.
Ecco perché il Meeting è stato e continua ad essere occasione per costruire ponti laddove vi sono contrapposizioni ideologiche e un incredibile veicolo di aggregazione, di integrazione e di amicizia a partire da una proposta ben riconoscibile.
Ecco perché ritengo che, tra i tanti eventi di rilievo, una delle immagini più significative dell'edizione di quest'anno ci rimandi alla mostra "Francesco e il Sultano".
Perché rappresenta l'espressione efficace, storicamente profetica, di come dall'apertura alla convivenza tra fedi e culture diverse possa nascere e prosperare la speranza nel futuro.
Un futuro volto al bene comune. Che è il bene di tutti e di ciascuno.
Ovvero un bene che non deve togliere mai all'individuo quello che gli è essenziale per essere uomo, cioè "il suo nome"; che rifluisce sui singoli per il fatto della loro unione e a cui tutti possono partecipare.
Famiglia, istruzione, formazione, impresa, lavoro, innovazione e sviluppo sostenibile sono quindi gli strumenti all'interno dei quali e attraverso i quali gli esseri umani scoprono la loro identità: si qualificano nella loro individualità e nella loro dimensione sociale.
Sono i contesti in cui le potenzialità di ogni individuo prendono forma e divengono sostanza.
Sono i luoghi in cui il principio di sussidiarietà, come sintesi tra le esigenze del singolo e i bisogni di tutti, può trovare applicazione in chiave antropologica, sociale, culturale, religiosa, giuridica e politica.
Ma sono anche alcune delle tematiche principali che questo Meeting si pone l'obiettivo di affrontare nei prossimi giorni.
Questioni che, sono certa, saranno approfondite con la capacità di elaborazione culturale, di proposta operativa e di confronto aperto e costruttivo che da sempre caratterizza lo sguardo del Meeting sulla realtà e sulle sfide che essa quotidianamente pone.
Per quello che il Meeting rappresenta per la società italiana e il panorama internazionale esprimo quindi il mio compiacimento e la mia profonda gratitudine.
Ringrazio in particolare la Presidente Emilia Guarnieri e il Presidente Giorgio Vittadini, che hanno reso possibile la mia partecipazione a questo momento così significativo.
Un ringraziamento che voglio estendere a tutto il popolo del Meeting;
alle migliaia di volontari che sono l'anima e il cuore pulsante di questo evento.
Sono loro la vera energia, la vostra e la nostra risorsa più preziosa.