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Il Presidente: Discorsi

"RinascitaItalia: the young hope" Inaugurazione della Seconda edizione della scuola di "Fino a Prova Contraria"

Il discorso del Presidente del Senato Elisabetta Casellati

Buon pomeriggio a tutti,
è un vero piacere portare il mio saluto in apertura dei lavori della seconda edizione di questa Scuola di studio e di approfondimento dedicata alla "Rinascita" italiana.
Voglio congratularmi con la presidente Annalisa Chirico, l'associazione "Fino a prova contraria" e tutti coloro che si sono impegnati per dare vita a quello che, ne sono certa, sarà un confronto concreto, puntuale e articolato sui principali temi di un'agenda politica profondamente mutata rispetto a quella che avevamo meno di un anno fa.
La pandemia che all'inizio dell'anno ha colpito l'Italia così come il resto del mondo ci costringe, infatti, a fare i conti con nuovi scenari, nuove priorità, nuove sfide economiche e sociali.
Ecco quindi che questo appuntamento - dedicato a tanti giovani studenti e neolaureati - acquista un valore strategico. Lo dice chiaramente il titolo della Scuola, particolarmente evocativo, che si può leggere come "la giovane speranza", o meglio ancora come "la speranza dei giovani".
Proprio i giovani, che sono stati gli invisibili della pandemia, devono essere una priorità per costruire il nostro futuro.

Tanti sono gli interventi indifferibili.
Penso alla scuola, alle incertezze che ne accompagnano la riapertura. Classi itineranti, orari variabili nel corso della settimana, didattica alternata, ora in presenza, ora a distanza, stanno creando non poche difficoltà.
Il Governo si faccia carico delle proprie responsabilità.
Non deleghi ai Presidi o alle famiglie, con il rischio di creare inaccettabili discriminazioni tra studenti di serie A e studenti di serie B.

Si deve investire seriamente nella scuola reale - statale, paritaria e anche privata - che è fatta di aule, di relazioni, di interazione, di confronto e dialogo quotidiano tra studenti e docenti.
La scuola, che è il luogo della formazione umana e sociale dei nostri ragazzi, non può essere ad intermittenza.
Diversamente, le ricadute sulle famiglie e in particolare sulle donne sarebbero devastanti. Con i figli a casa a giorni alterni, vi è il rischio reale che uno strumento come il telelavoro, diciamolo in italiano, certamente utile nelle fasi più gravi dell'emergenza, si cronicizzi.

Questo sarebbe inaccettabile, perché il telelavoro è un falso amico che rischia di penalizzare ulteriormente le donne, relegandole ai margini del mercato del lavoro, facendole così tornare indietro di cinquant'anni nel percorso dell'emancipazione femminile. Bisogna ripartire per la rinascita del nostro Paese dal coraggio delle donne, che hanno sopportato il peso maggiore dell'emergenza tra figli, professione, casa ed anziani. Hanno idealità e concretezza, creatività e visione nel futuro.

Voglio ricordare a questo proposito la testimonianza di una donna straordinaria, una eroina, una vera icona della contemporaneità che ha segnato in maniera indelebile il cammino di affermazione delle libertà e dei diritti delle donne.
Parlo di Ruth Bader Ginsburg, esime giurista e autorevole membro della Corte suprema che ci ha lasciato lo scorso 19 settembre.
Ho avuto il privilegio di incontrarla a Washington, alla Corte Suprema, e poi nuovamente a Roma a Palazzo Madama, confrontandomi su vari temi di attualità.
Con il suo esempio personale e con la sua straordinaria attività di docente, legale e magistrato, Ruth Bader Ginsburg ci ha lasciato una grande eredità.

Ci ha mostrato che dare reali opportunità di affermazione alle donne non significa concedere privilegi o favoritismi.
Significa togliere le penalizzazioni e discriminazioni che spesso impediscono loro di inseguire i propri sogni e di dimostrare i propri talenti.
Lo dico pensando soprattutto alle tante giovani donne in sala.

Non posso poi dimenticare il mondo dell'impresa, anche per dare speranza di occupazione ai giovani.
Abbiamo bisogno subito - adesso - di interventi fiscali, finanziari ed economici importanti.
Abbiamo bisogno di mettere soldi in tasca agli italiani.
Abbiamo bisogno di lavoro, lavoro, lavoro, non di misure assistenziali o di legislazioni dell'emergenza. Creare posti di lavoro significa produrre ricchezza, stimolare i consumi e rimettere in moto la produttività.
Abbiamo bisogno di eliminare la burocrazia che soffoca gli investimenti e mortifica l'iniziativa di tanti cittadini.

Genova è sicuramente il modello da cui trarre ispirazione per una politica di sviluppo basata sulla rapidità dei processi decisionali, sulla chiarezza delle regole e sulla reciproca fiducia e collaborazione tra Stato e impresa.
E poi, facciamo veramente ripartire la cultura!
Non mi stancherò mai di ripetere che l'Italia possiede un patrimonio incredibile di tesori paesaggistici, architettonici, artistici e storici.

Ricchezze che, se valorizzate e sfruttate adeguatamente, darebbero una spinta eccezionale alla nostra economia, producendo a loro volta nuova ricchezza. Studi recenti hanno rivelato che ogni euro speso nella cultura genera effetti economici positivi pari a più del doppio dell'investimento.
Sono tutte sfide ambiziose. Ma sono sfide che il Paese può vincere, se Governo e Parlamento sapranno fare la loro parte.

E' però necessario che ciò avvenga nel rispetto delle reciproche prerogative e dei ruoli che la Costituzione affida a ciascuno.
E la Costituzione dice che le Camere sono il centro dell'azione legislativa e il Parlamento l'interlocutore primo e insostituibile del Governo.
Una questione di metodo democratico su cui pesa, certamente, l'avere gestito tutte le fasi dell'emergenza con un ricorso esagerato a DPCM, emanati senza preventiva consultazione con un voto del Parlamento.
Ma su cui grava, soprattutto, il ricorso troppo frequente a decreti-legge dal contenuto "omnibus", per di più blindati dal Governo con il voto di fiducia, sui quali un ramo del Parlamento finisce per non toccar palla.
Così viene meno la democrazia parlamentare, e cioè l'equilibrio tra il principio della sovranità popolare, di cui sono garanti entrambe le Camere, e la responsabilità dell'azione di governo.
Soprattutto adesso che, per accedere al "Piano per la ripresa", l'Italia è chiamata a predisporre ed attuare un progetto di riforme importanti e strutturali.

Un programma concreto che porti sviluppo, occupazione e crescita del PIL.
È il Parlamento, magari "distillando" politicamente il parere dei tecnici, che dovrà offrire al Governo linee di indirizzo vincolanti per ricostruire il Paese.
Su questo il Senato ha avviato un importante lavoro istruttorio.
E poi c'è il fattore tempo, che è una variabile decisiva, perché la crisi dell'Italia e delle altre economie nazionali colpite dal Covid è già diventata la crisi di tutta l'eurozona.

È emblematica la vivace discussione che sta animando il dibattito di questi giorni.
È chiaro che è adesso, non fra sei mesi o un anno, che abbiamo bisogno di quelle risorse per tradurle in atti concreti; in progetti di crescita e di sviluppo.
Consentitemi poi un altro pensiero sull'Europa.
Lasciamo perdere le distinzioni che hanno animato il dibattito europeo tra Paesi frugali e non, tra Paesi sovranisti ed europeisti.

Credo che l'Europa debba approfittare di questa occasione storica anche per avviare una profonda riflessione interna su quel voto all'unanimità del Consiglio europeo che costituisce un vulnus alla democrazia e alle sue regole di funzionamento.
A Bruxelles abbiamo visto la posizione di una minoranza prevalere sulla linea condivisa dalla maggioranza. Questo è un paradosso e non è sui paradossi che si può costruire il futuro dell'Europa.

Penso che l'Italia, come l'Europa, debba tornare a sognare. Ai nostri cittadini abbiamo chiesto di sopportare sacrifici importanti e ora abbiamo il dovere di restituire loro la speranza nel futuro.
Le istituzioni, italiane ed europee, hanno una grande responsabilità in tal senso. Ma spetta a voi, a voi giovani che siete il motore della nostra società, dare gambe e voce a questi progetti.
Sono certa che il confronto odierno vi sarà di grande stimolo in questa direzione.
Grazie e buon lavoro a tutti.



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