Ricordando Giuseppe Saragat
Signor Presidente della Repubblica, autorità, gentili ospiti.
Il Senato della Repubblica ricorda oggi la figura di Giuseppe Saragat, esattamente a 30 anni dalla sua morte, secondo una linea di coerenza e continuità rispetto alle celebrazioni per il settantesimo anniversario dell'entrata in vigore della Costituzione repubblicana.
Non è un dato scontato, né convenzionale intrecciare il ricordo di Giuseppe Saragat con la memoria degli accadimenti che hanno portato all'elaborazione, approvazione, promulgazione ed entrata in vigore della nostra Carta fondativa.
Proprio in Senato, a Palazzo Giustiniani, il 27 dicembre 1947 alle ore 17 la Costituzione venne firmata dal Capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, con la controfirma di Alcide De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri, e Umberto Terracini, Presidente dell'Assemblea Costituente.
Due sono le componenti che si intrecciano quasi in modo inestricabile: "storia" e "coscienza". Un parallelismo che diventa espressione diretta della convergenza tra modelli costituzionali - se vogliamo, architettura istituzionale dello Stato - e articolazione dei partiti e del sistema politico nazionale.
La fondazione del Partito socialista dei lavoratori italiani, poi diventato Partito socialista democratico, nel 1947 non fu solo la chiamata a raccolta per chi credeva nei valori di un socialismo democratico e liberale, ostile a ogni tentazione autoritaria.
La scissione di Palazzo Barberini fu una vera e propria "sfida", rivolta a tutte le forze della sinistra per superare le divisioni manichee della guerra fredda, per riconoscere nella tradizione democratica, uscita vincitrice dalla guerra, un faro sempre acceso nel percorso di liberazione del lavoro.
Ma la fondazione del PSDI fu anche un pressante invito alle forze politiche centriste, affinché non si barricassero nella conservazione dell'esistente: fra chiusure conservatrici e fughe utopistiche verso derive autoritarie, Saragat dimostrò che era possibile e necessario ricercare soluzioni plurali e condivise, che assicurassero al paese stabilità democratica e sviluppo economico e sociale.
Saragat fu pertanto uomo della ricerca e del pluralismo, attraverso la proiezione della politica nella cultura e la definizione del merito specifico delle questioni centrali del lavoro, dello sviluppo, della crescita, per il tramite di un metodo, dove il "dialogo" diventava, da mero auspicio, un monito severo verso le coscienze.
Quello di Saragat era in definitiva il tentativo di ricostruire attraverso le coscienze individuali una vera e propria "coscienza collettiva", mente e cuore di una comunità che aveva chiara la storia del passato, ma ancora doveva sviluppare appieno la consapevolezza della propria prospettiva democratica.
Nel discorso di insediamento seguìto al giuramento nella seduta comune del 29 dicembre 1964, Giuseppe Saragat affermava: "Vita e cultura non possono considerarsi contrapposte e, se ogni sforzo deve essere fatto per avvicinare tutti i cittadini alle creazioni dello spirito artistico e scientifico, non meno necessario è far sentire agli artisti, agli scrittori, agli scienziati, ai pensatori che essi non debbono isolarsi in una torre di avorio, ma partecipare alla vita attiva della Nazione in cammino sotto il segno della democrazia".
E senza timore di richiamare il contributo della Chiesa cattolica alla vita dei cittadini, Saragat riconosce come elemento di sintesi dell'identità italiana - sono le sue parole - "la coscienza del popolo italiano".
Per Saragat l'anno fondativo della Costituzione rappresentava pertanto anche l'inizio di una nuova cultura politica dove la ricerca del confronto tra le forze politiche si traduceva nel "coraggio del dialogo", in grado di abbattere gli steccati ideologici, senza rinunciare ad una identità plurale che non azzerasse le distanze ideali in nome di una retorica priva di sostanza, ma allo stesso tempo maturasse l'idea fondamentale di "unità democratica".
Dalla sua tenace determinazione verso l'unità del Paese deriva l'abbraccio lungimirante tra Risorgimento e Resistenza, tra Stato e Nazione, parole che Saragat intreccia senza esitazione quando all'inizio del suo settennato presidenziale disegna il destino dell'Italia lungo le strade parallele della libertà e della giustizia sociale.
Il settennato alla Presidenza della Repubblica fu un periodo delicato che poté contare, ancora una volta, su quelle risorse di fermezza ed equilibrio che sempre avevano caratterizzato la sua persona. Saragat voleva essere e fu - sono sempre le sue parole - "un Presidente al di sopra dei partiti, un sereno moderatore dei contrasti".
Fu in grado di traghettare il Paese oltre la convulsa estate del 1964. E sempre in nome della democrazia, seppe trovare risposte alle grandi mobilitazioni collettive di fine anni Sessanta e alle prime avvisaglie della destabilizzazione eversiva del decennio seguente, per trasformarsi poi, da senatore di diritto e a vita, nel saggio al quale ci si poteva rivolgere nei momenti più difficili.
A chiare lettere affermò che "le relazioni tra il Capo dello Stato ed il Governo sono fissate dalla Costituzione; e sarà nella rigorosa tutela e attuazione della Costituzione, di cui il Presidente della Repubblica è garante, che l'azione del Governo troverà la sua più libera e piena esplicazione".
Un interprete autentico e straordinario del suo attaccamento alla Costituzione fu Eugenio Montale, da lui nominato senatore a vita il 13 giugno 1967: "Vedevamo in lui - sono le parole di Montale - il custode, il garante della Costituzione; ed era già molto in un paese che poteva dirsi incustodibile e ingovernabile".
"Storia" e "coscienza": già nel 1925, quando condivise la direzione del Partito di Matteotti insieme a Turati, Treves e a Carlo Rosselli, nelle pagine de "La Giustizia" indicò la traiettoria del suo intero percorso politico: "la libertà è la premessa indispensabile di qualsiasi lotta politica e civile. La libertà è l'atmosfera nella quale le altre idee vivono ed in relazione alla loro vitalità isteriliscono o si sviluppano. È l'atmosfera nella quale si vincono le battaglie dello spirito moderno".
E la parola libertà torna in modo eloquente nell'Aula di Palazzo Madama quando Saragat, dopo l'intervento di Moro in occasione della fiducia al Governo da lui presieduto, afferma: "La libertà non è un concetto astratto, ma la più nobile e concreta delle realtà umane. Non c'è una libertà formale e una libertà sociale, una libertà borghese e una libertà proletaria. C'è una libertà umana".
Quello di Saragat fu davvero il coraggio di esprimere la propria passione politica attraverso le parole condivise da tutto il popolo italiano.
Dopo aver affiancato all'idea di Stato quella di Nazione, il Risorgimento alla Resistenza, da lui stesso definita come "il nostro secondo Risorgimento", la storia del proprio Paese alla coscienza del popolo italiano, non ebbe timore di indicare nella Patria il terreno dove seminare e sviluppare le aspettative democratiche dei cittadini e non rinunciò ad appellarsi all'"aiuto della Provvidenza" per rafforzare quella stessa democrazia e consolidare la pace.
Il suo coraggio fu quello di restare sé stesso e riconoscere agli altri la possibilità di mantenere la stessa autenticità, gli uni e gli altri accomunati dall'amore per l'Italia.