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Il Presidente: Discorsi

Presentazione libro "Razza e inGiustizia". Avvocati e magistrati al tempo delle leggi antiebraiche

Discorso pronunciato nella Sala Koch di Palazzo Madama

Autorità, Cari relatori, Signore e Signori,

è con grande piacere che estendo a ognuno di voi il sentito benvenuto del Senato della Repubblica.

Il nostro ritrovarci qui oggi va ben al di là della simbolica testimonianza di condanna di ogni forma di discriminazione, di violenza, e di razzismo. In questo, amaro, ottantesimo anniversario della promulgazione delle leggi razziali in Italia ci ritroviamo infatti nel nome di una concreta e comune assunzione di responsabilità verso la conoscenza, la ricerca, la comprensione critica di quei terribili avvenimenti che hanno indelebilmente segnato la storia recente del nostro Paese.

Il volume che oggi presentiamo, "Razza e ingiustizia", è alieno da qualsivoglia dimensione retorica. Le sue pagine approfondiscono con rigore il tema del rapporto tra gli uomini di legge di epoca fascista e la legislazione razziale, sottolineando, senza riluttanza, come si sia trattato di un rapporto complesso e controverso.

Pur rievocando, doverosamente, le vessazioni che molti magistrati e avvocati subirono proprio in conseguenza delle leggi razziali, queste pagine sollevano con lucidità il velo dalle zone d'ombra, dai silenzi, dall'indifferenza, dalle adesioni opportunistiche e compromissorie di quel mondo alle posizioni razziali del regime.

Ringrazio il Consiglio superiore della Magistratura per aver voluto dare vita a questo comune progetto. Ringrazio le Istituzioni che vi hanno aderito, e ringrazio tutti coloro che hanno contribuito alla sua realizzazione, offrendo spunti di riflessione, testimonianze preziose, risultati di approfondite ricerche, analisi sullo stato della documentazione e delle fonti disponibili, idee e prospettive per indagini future.

Iniziative di studio come queste sono essenziali alla comprensione delle responsabilità individuali e collettive verso la politica razziale del fascismo, dei suoi meccanismi, e delle sue intersezioni con i diversi segmenti della società, della cultura e delle istituzioni italiane. Certamente, la storiografia in questi ultimi decenni ha saputo rinnovarsi e compiere molti passi importanti.

Ma molto resta ancora da fare per giungere a una più onesta analisi di quegli eventi, della loro genesi, della loro evoluzione, e delle loro conseguenze di lunga durata.

Naturalmente, intraprendere questo percorso e osservare da vicino le gravi responsabilità di cui si sono macchiati i mondi cui apparteniamo può essere estremamente doloroso.

Personalmente, da giurista, non posso non sentire con particolare angoscia la discriminazione subita in quegli anni dai colleghi ebrei; ma ancor più intollerabile è riflettere sull'atteggiamento compromissorio con cui molti uomini di legge si posero di fronte alla legislazione razziale, sulle loro complicità intellettuali e materiali, sulle loro contraddizioni.

E oggi, come Presidente del Senato, l'indignazione per le ingiustizie subite dai Senatori ebrei, di cui il nostro Archivio storico conserva traccia e testimonianza, è resa in me ancor più viva dalla lettura dei resoconti delle sedute di approvazione di quelle leggi. Nessuno, infatti, prese la parola. L'Assemblea approvò senza discussione alcuna.

Fare i conti, seriamente, con la storia, è un obbligo morale. Lo è per ogni individuo, lo è, a maggior ragione, per i rappresentanti delle istituzioni di questo Paese. Dobbiamo promuovere iniziative, aprire i nostri archivi, incoraggiare lo studio e sostenere la ricerca, stimolare i giovani a saperne di più e a farlo in modo serio e con indipendenza di pensiero.

Il dialogo con i giovani è il primo e più importante dei nostri doveri. Dobbiamo coinvolgerli, offrire loro gli strumenti culturali necessari per conoscere, approfondire, comprendere. Abbiamo il compito di lavorare in costante collaborazione e confronto con il mondo della Scuola, forse la più delicata e cruciale istituzione di ogni Paese.

Proprio quella Scuola che per prima si vide violata nella sua essenza profonda di strumento educativo, di crescita civile e culturale, con quel decreto del 5 settembre 1938 che aprì la strada alla tragica sequenza di inaccettabili provvedimenti legislativi che chiamiamo leggi razziali.

Il dialogo con i ragazzi, con gli studenti, con i cittadini più giovani è un obiettivo preminente del Senato della Repubblica.

Non posso non sperare che nella complessa costruzione di un dialogo con i più giovani voglia venirci in aiuto la Senatrice a vita Liliana Segre, che da alcuni anni ha scelto di condividere con loro la sua dolorosa e tragica vicenda personale.

E lo fa instancabilmente, senza predicare odio né vendetta, ma con la convinzione profonda che la memoria, non quella retorica ma quella fatta di conoscenza e presa di coscienza del passato più tragico, debba e possa essere la più potente arma di difesa dal suo ripetersi nel presente e nel futuro. In nome della libertà e della dignità umana, come antidoto al riprodursi di violenze e comportamenti di stampo razzista che pure, purtroppo, non sono estranei alla nostra epoca.

Per il suo coraggio e la sua determinazione voglio ringraziarla, a nome di ciascuno di noi. Come sapete, la Senatrice Segre ha contribuito al volume che presentiamo oggi, e ci regalerà a breve una sua testimonianza. La ascolterò con grande attenzione.

L'impegno del Senato della Repubblica nel tener vivo il ricordo degli ignobili avvenimenti che hanno lacerato buona parte dell'Europa in quei terribili anni, e nel promuoverne una più diffusa e lucida coscienza, è un profondo dovere istituzionale.

Voglio ricordare in questo senso il Presidente del Senato Giovanni Spadolini che volle pubblicare, nel cinquantesimo anniversario della promulgazione delle leggi razziali, un volume dedicato al lento processo della loro abrogazione e della reintegrazione dei diritti, anch'esso tortuoso e intriso di contraddizioni.

Pochi mesi fa il Senato ha deciso di ristamparlo, per sottolineare l'importanza di questo ulteriore tema di ricerca, di cui peraltro il volume "Razza e ingiustizia" non manca di parlare.

Mi auguro che ogni Istituzione e Comunità di questo Paese voglia assumere su di sé la responsabilità di trasformare la memoria storica in strumento di progresso civile e culturale. Il Senato continuerà a farlo, sperando nella collaborazione di ognuno, e naturalmente contando su un dialogo costante con la Comunità Ebraica, che di tale missione ha fatto una priorità.

Come ho avuto modo di scrivere nella prefazione al volume che oggi presentiamo, "alla nostra Costituzione, ai princìpi che afferma e ai termini scelti per esprimerli, è stato affidato il compito di fungere da baluardo dei valori democratici su cui si fonda il nostro Paese. A noi, rappresentanti delle Istituzioni, individui, cittadini, spetta il compito di sorvegliare le nostre coscienze affinché nessuna forma di discriminazione vi si possa mai radicare."

Abbiamo il compito di vigilare, come individui e come collettività. Ne abbiamo gli strumenti, ne abbiamo la possibilità. Ogni deroga a questo dovere non troverebbe alibi.

Grazie



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