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Il Presidente: Discorsi

Presentazione del libro "Moro, il caso non è chiuso. La verità non detta"

Discorso pronunciato nella Sala Koch di Palazzo Madama

«Io mi ricorderò ancora; qualche volta in modo approssimativo, qualche volta in modo preciso, ma mi ricorderò ancora di coloro che hanno riempito un anno della mia vita».
Ho voluto iniziare questo mio saluto con una citazione del Moro professore - con quel pensiero Moro era solito chiudere il suo corso universitario - perché vorrei cogliere l'opportunità e l'occasione che il libro dell'Onorevole Giuseppe Fioroni e di Maria Antonietta Calabrò ci offrono, a quaranta anni di distanza da una vicenda tragica, non solo per fare avanzare la ricerca della verità, ma anche per ragionare su "ciò che è vivo" del Moro professore, uomo di partito e statista alla luce e nella temperie dell'arena politica di oggi.

Una citazione, quella che ho scelto, apparentemente non politica, perché fotografa il forte rapporto di Moro con i suoi studenti, ma che pure è rivelatrice di una straordinaria capacità di ascolto, di quella mitezza intellettuale che gli faceva dire: "Non è importante che pensiamo le stesse cose, che immaginiamo e speriamo lo stesso identico destino, ma è invece straordinariamente importante che, ferma la fede di ciascuno nel proprio originale contributo per la salvezza dell'uomo e del mondo (…) tutti noi si sia collegati l'uno all'altro nella comune accettazione di essenziali ragioni di libertà, di rispetto e di dialogo".
Moro guardava con attenzione al "risveglio delle coscienze", alla "contestazione di espressioni del potere e di cristallizzazioni politiche" alla "valorizzazione della diversità dei giovani e del loro diritto a contare e cambiare", ma sempre presidiando il bene supremo della libertà.

Proprio lui, campione dell'"ascolto", sarà vittima sacrificale di una vicenda che rappresenta il culmine della lotta armata, la sanguinosa, antidemocratica e fallimentare offensiva cominciata all'inizio degli anni Settanta.
Il libro che viene presentato oggi, Moro. Il caso non è chiuso, è un contributo importante ad un dibattito che ancora desta passioni e interrogativi. Nel Paese è ancora assai diffusa l'idea che nella vicenda Moro vi siano zone d'ombra, aspetti rilevanti da chiarire. Da qui, nella scorsa legislatura, il via parlamentare ad un'apposita nuova Commissione d'inchiesta, presieduta dall'onorevole Giuseppe Fioroni il quale, alla fine dei lavori, pubblica insieme a Maria Antonietta Calabrò questo libro che appunto oggi presentiamo. Con nuovi approfondimenti sul caso Moro dal valore non soltanto storico e morale.

La creazione della Commissione, presieduta dall'onorevole Fioroni, è stata la continuazione di un indirizzo imboccato dal Parlamento decenni or sono. Composta da ben 60 membri ha terminato il suo mandato senza presentare una relazione finale vera e propria, ma tre relazioni periodiche, a fine 2015, a fine 2016 e a fine 2017. Se l'operato della Commissione Fioroni ha avuto grande riscontro parlamentare, altrettanta attenzione purtroppo non è venuta dai media e dunque dal pubblico. Ben venga dunque questo libro, che in buona parte divulga gli esiti della recente inchiesta parlamentare.
E sottolinea l'utilità di un lavoro che non si giudica esclusivamente dalle sue conclusioni: ma dagli spunti offerti alla magistratura per nuove inchieste penali e dal patrimonio di documentazione, nonché di analisi e di riflessioni, oggi a disposizione degli storici e del pubblico.
Sembra che un sondaggio recente condotto nel mondo della scuola, effettuato su 11 mila studenti, abbia rivelato che il 35% dei nostri ragazzi ignori chi sia Aldo Moro.

Ed il richiamo che insieme oggi facciamo all'esperienza di Moro può e deve essere, allora, il richiamo alle qualità che la politica richiederebbe: cultura, saggezza, profondità umana, esperienza, metodo e capacità di raffronto e di dialogo. Le virtù di cui Moro è stato impareggiabile protagonista.
Parlo del Moro che si mette all'ascolto del nuovo che fermenta nella società civile e che afferma che «(…) sarebbe un grave errore, un errore fatale, restare in superficie e non andare nel profondo; pensare in termini di contingenza, invece che di sviluppo storico" perché "tocca alle forze politiche ed allo Stato creare, in modo intelligente e rispettoso, i canali attraverso i quali la domanda sociale e anche la protesta possano giungere ad uno sbocco positivo, ad una società rinnovata, ad un più alto equilibrio sociale e politico».
Parlo dunque di una dimensione della politica intrisa di un impegno morale e civile, votata a costruire la Repubblica come una vera «casa comune».

La "magnifica ossessione" di Aldo Moro consiste infatti nel "(…) riallacciare i rapporti tra la politica e i mondi vitali della società".
Moro è poi animato e agitato dalla ricerca e dalla proposta di una visione della società futura. In lui la politica deve avere il dono del futuro. Ed oggi la capacità di parlare del futuro è una dote sempre più rara.
Sono i grandi eventi mediatici ormai, soltanto, a scandire per noi appuntamenti ed impegni capaci di disegnare il domani. Ma soltanto l'idea di pensare a come saremo domani ci spaventa.
Mentre la politica - diciamolo - proprio questo dovrebbe essere, questo dovrebbe saper fare. Abbiamo quindi bisogno che la politica di oggi non si limiti alla sola risposta del contingente, ma abbia al contrario un progetto. La politica deve sapere immaginare e raccontare quale società intenderà lasciare ai propri nipoti.
Aldo Moro era anche un politico della mediazione. Riteneva che la diversità delle idee potesse dare corso a un confronto, non ad un aspro antagonismo politico.

Moro guarda oltre la paralisi politica del sistema che lui abita. E guarda già ai temi dell'alternanza.
L'alternanza nel governo di una democrazia è sinonimo di vitalità, soprattutto a partire da un tessuto di valori condivisi. Questa condivisione rappresenta, insieme, la piattaforma della nostra identità nazionale - che storicamente abbiamo faticato ad accettare e costruire - e la condizione per poter regolamentare una competizione politica che veda appunto alternarsi al governo le diverse culture politiche.
C'è infatti ancora un "partito Italia" che fatichiamo a riconoscere, che non mi stanco di proclamare, che non significa compromissione del proprio profilo politico culturale, al contrario! Ma competizione a partire dalla condivisione dei "fondamentali" di una democrazia politica liberale.
Vedete dunque quanto questi 40 anni che ci separano dalla tragica fine di Aldo Moro, per quanto ci consegnino un'Italia diversa e apparentemente lontana, ci restituiscano tutta intera la forza di una grande attualità: quella delle virtù della politica che Aldo Moro ha saputo interpretare, misura e traguardo di una nuova politica.



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