Presentazione del libro "Il caso Bontempelli. Una storia italiana"
Buon pomeriggio a tutti.
È un vero piacere essere con voi oggi per la presentazione del libro di Paolo Aquilanti sul caso Bontempelli.
Saluto l'autore, il consigliere Paolo Aquilanti, a cui rinnovo la mia stima e il mio ringraziamento per la professionalità, il rigore e l'impegno sempre dimostrati in tanti anni qui in Senato e nella Commissione Affari Costituzionali in particolare.
Saluto la senatrice Valeria Fedeli, promotrice e organizzatrice di questo appuntamento.
Saluto i tanti illustri relatori, dalla senatrice Finocchiaro all'onorevole Boschi, dal senatore Casini al dottor Letta e al dottor Damilano.
La vostra presenza è testimonianza di come il voto sulla contestata elezione del senatore Massimo Bontempelli, nel pieno della prima legislatura repubblicana, sia stato molto più di una vicenda legata alle dinamiche parlamentari.
È stata storia d'Italia.
Di una giovane, anzi giovanissima, democrazia che muoveva i suoi primi non semplici passi in un contesto sociale e politico ancora fragile e delicato.
Di una Nazione che si era appena dotata di una Costituzione nuova, moderna e certamente all'avanguardia. Ma ancora da attuare e soprattutto da metabolizzare.
Di una società tormentata dall'esigenza di guardare oltre l'esperienza drammatica della guerra e del ventennio e dall'urgenza di riappacificare rancori, sanare ingiustizie, creare coesione e unità nazionale.
Tormenti, rancori, divisioni che emergono chiaramente nei resoconti di quella fatidica seduta del 2 febbraio 1950, puntualmente ricostruita nel libro di Paolo Aquilanti.
I toni degli interventi dei senatori sono moderati, le parole educate e rispettose, come si addice alla solennità del luogo.
Ma si avverte, in quel dibattito, tutto il conflitto tra diritto e giustizia, tra morale e politica, tra ragionevolezza e intransigenza.
Un conflitto che, nel segreto dell'urna e per un pugno di voti, porterà all'espulsione dal Senato di Massimo Bontempelli, una delle figure più significative della cultura italiana del '900.
E questo nonostante il parere di maggioranza della Giunta delle elezioni e il fatto che, già dalla fine del 1938, Bontempelli si fosse chiaramente posto in opposizione al fascismo.
Massimo Bontempelli, come sappiamo, era un'artista eclettico e poliedrico.
Uno spirito innovatore, capace di passare con eleganza e maestria dal romanzo d'autore alla saggistica letteraria; dalla composizione musicale da camera o lirica alla drammaturgia teatrale; dal giornalismo d'opinione alla poesia.
Amico e confidente di molti grandi protagonisti dell'arte e della cultura italiana del secolo scorso: da Luigi Pirandello a Giuseppe Ungaretti (con il quale fu protagonista di un epico duello); da Giorgio De Chirico a Paola Masino, sua compagna di vita.
Autore di decine di pubblicazioni più varie, era stato uno dei principali esponenti del realismo magico.
Una raccolta di suoi racconti, ispirati proprio a quella corrente artistica, avrebbe vinto nel 1953 il Premio Strega.
Ma l'opera per cui Massimo Bontempelli venne "processato" nell'aula del Senato, per apologia del fascismo, è un'antologia di brani letterari per la scuola, da lui soltanto curata e compilata.
Un volume corposo, di circa 700 pagine, in cui Bontempelli aveva selezionato brani e opere di altri autori del suo tempo e del passato, ma che - in ossequio ai criteri ministeriali per l'editoria scolastica dell'epoca - conteneva anche testi e immagini "inneggianti" al fascismo e celebrative della figura del Duce.
Lascio ai relatori il compito di guidarci nei tanti interrogativi che il caso Bontempelli inevitabilmente solleva: di spiegarci se quel voto del senato fu un atto politico o di giustizia; se si trattò di una scelta secondo etica e morale o invece dettata da motivi di opportunità e convenienza.
Se fu punito davvero un cattivo maestro che aveva fatto propaganda di regime o se, invece, Massimo Bontempelli sia stato solo una delle tante personalità dell'arte, della scienza o dell'università che avevano scelto, loro malgrado, di convivere con il regime.
Cittadini costretti a piegarsi al rispetto delle leggi pur non condividendole. Ma non per questo da considerarsi "responsabili" del regime.
Anzi, semmai vittime due volte, come viene detto in un passaggio del libro.
Prima del fascismo, che ne umilia il diritto a manifestare liberamente il proprio pensiero, poi della Repubblica che li emargina e li punisce per "essere stati fascisti".
Paolo Aquilanti ci offre una chiave di lettura inedita per riprendere in mano, con serenità e onestà intellettuale, quelle pagine della nostra storia e ricostruirle senza filtri e pregiudizi.
Lo ha fatto con garbo, eleganza stilistica, rigore metodologico e con qualche piccola licenza di immaginazione che nulla toglie al valore documentale del suo lavoro.
Un'opera che, mi auguro, possa contribuire a restituire attualità alla figura di Massimo Bontempelli e alla sua produzione artistica.
Quella di un uomo profondamente convinto che la cultura fosse tanto importante nella formazione della nostra storia da ritenere - come ebbe a dire nell'Aula del Senato - che il primo articolo della Costituzione avrebbe dovuto suonare così: "L'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro e sulla cultura".