Non solo 8 marzo: l'empowerment delle donne e gli obiettivi dell'agenda 2030
Autorità, Signore e Signori, sono particolarmente lieta di essere qui con voi oggi e di avere l'onore di aprire i lavori di questo importante convegno, dedicato agli obiettivi di sviluppo sostenibile dell'Agenda 2030, con particolare riferimento alle politiche di empowerment femminile. Ringrazio il Governatore Sarragioto, il Distretto Lions 108Ta3 e l'Università di Padova per questa iniziativa, tesa ad approfondire tematiche che sento molto vicine e che hanno caratterizzato una significativa parte del mio impegno professionale e politico.
Come il titolo ci ricorda, fra meno di due settimane si celebrerà la giornata internazionale della donna. Secondo una risalente tradizione, la ricorrenza dell'8 marzo vorrebbe ricordare le centinaia di operaie vittime del rogo di una fabbrica di camicie di New York - la "Cottons" - all'inizio del secolo scorso. Oggi sappiamo che questa tradizione non è completamente fondata, anche se in effetti una tragedia analoga, dove morirono quasi 150 lavoratori, si verificò proprio in quella città il 25 marzo del 1911. Di questi, ben 123 erano donne.
Sappiamo inoltre che la giornata internazionale della donna ha origini più strettamente correlate alla forte campagna per le rivendicazioni sindacali femminili e per il riconoscimento politico del diritto al voto, che nei primi anni del '900 hanno interessato tutto l'occidente. Ho voluto tuttavia ricordare quella tradizione, perché il suo valore evocativo ci offre una sintesi suggestiva delle enormi difficoltà che la condizione femminile ha incontrato nel suo lungo percorso di affrancazione e di affermazione.
Un percorso trasversale alle epoche storiche, ai territori, alle religioni, alle differenti culture ed ai tessuti sociali dei vari Paesi. Tale percorso ancora oggi fatica a trovare pieno completamento persino in quegli Stati che possono vantare ordinamenti giuridici all'avanguardia e una legislazione fortemente salda nell'affermazione della piena parità tra donne e uomini. Proprio sulla base di questa consapevolezza l'Assemblea generale delle Nazioni unite ha espressamente inserito la parità di genere tra gli obiettivi prioritari dell'Agenda 2030. Obiettivi che affrontano le numerose tematiche relative allo sviluppo delle Nazioni nelle sue tre principali declinazioni: economica, sociale e ambientale. L'indiscusso valore universale dei traguardi ivi perseguiti la rende un documento ambizioso - rivoluzionario per certi aspetti - e di forte significato simbolico.
Ma l'agenda 2030 è molto di più. Infatti, accanto alle norme di principio e agli obiettivi comuni, si preoccupa di fornire alle nazioni anche una serie articolata di strumenti di attuazione. Ciò che la contraddistingue è quindi il suo proporsi come un vero e proprio programma per l'azione dei governi e dei legislatori. Un programma contro la fame e ogni forma di povertà, per la completa affermazione dei diritti umani, per il contrasto al cambiamento climatico e la tutela dell'ambiente, solo per citare alcuni degli obiettivi principali. Soprattutto un programma inclusivo, in cui nessuno deve essere lasciato indietro; predisposto nella consapevolezza dell'assoluta necessità di promuovere forme rinnovate e rinforzate di partenariato globale, in cui gli sforzi dei singoli possano trovare sostegno in un contesto internazionale responsabile e favorevole. Queste forme di partenariato consentirebbero altresì di coniugare al meglio l'esigenza di perseguire strategie comuni e condivise tra le Nazioni con il rispetto della sovranità di ogni singolo Stato.
In altre parole: l'Agenda 2030 non contiene precetti vincolanti per gli Stati; contiene opportunità. Opportunità che non possiamo e non dobbiamo perdere, per noi stessi e soprattutto per le nuove generazioni. Con particolare riferimento agli obiettivi di piena emancipazione femminile, l'Agenda 2030 richiama anche il nostro Paese a un forte impegno tanto sul fronte dell'azione interna quanto su quello dell'attività di sensibilizzazione e di cooperazione internazionale.
Sul fronte interno, è necessario procedere anzi tutto ad una riflessione sulle norme approvate in materia di tutela delle donne, specie con riferimento alla loro efficacia sul piano applicativo. Un'analisi che deve prendere le mosse dal dettato costituzionale, perché lo spazio che la Costituzione riserva al riconoscimento dei principi di uguaglianza, di parità di genere e delle pari opportunità tra uomini e donne, è ampio e puntuale. Principi che oggi diamo per acquisiti, ma che per l'epoca in cui furono affermati rappresentarono una grande conquista di civiltà e tracciarono il ritratto di una Nazione moderna e responsabile.
"Tutti" è una parola che ricorre costantemente nell'affermazione dei diritti fondamentali, sociali, politici ed economici, che i nostri padri costituenti hanno inteso riconoscere in eguale misura alle donne e agli uomini nella nostra legge fondamentale. Principi puntualmente rafforzati - con esplicito riferimento alle donne - dalla lapidaria prescrizione del primo comma dell'articolo 37, secondo la quale - giusto per togliere ogni dubbio - alla lavoratrice spettano gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore.
La Costituzione ci ha indicato la via. Seguirla continua ad essere un percorso lungo e faticoso anche nel nostro Paese. Se è vero, infatti, che la prima legge in materia di tutela delle lavoratrici madri risale al 26 agosto 1950, è altrettanto innegabile che per giungere all'approvazione dei provvedimenti più incisivi in materia di parità di genere si sia dovuto attendere oltre cinquant'anni. Mi riferisco, in particolare, alla modifica dell'articolo 51 della Costituzione - approvata nel 2003 - per sancire la promozione delle pari opportunità nell'accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive. Una riforma che si è rivelata necessario presupposto per l'approvazione della legge n. 120 del 2011 sulle cosiddette "quote rosa" e della legge n. 215 del 2012 sul riequilibrio delle rappresentanze di genere negli enti locali e nelle regioni.
E' anche grazie a questi importanti interventi legislativi che oggi la leadership femminile nelle Istituzioni, nelle imprese e più in generale nel mondo del lavoro, si sta affermando come una realtà solida e sempre più diffusa.
Non dobbiamo tuttavia dimenticare che per raggiungere tali prestigiosi traguardi molte donne sono state spesso costrette ad affrontare un avversario sleale, che non si muove nel rispetto delle regole del confronto meritocratico. Un nemico rappresentato da quel pregiudizio, ormai anacronistico eppure ancora troppo diffuso nella collettività, che continua a considerare la donna in una posizione sociale più debole e vulnerabile rispetto all'uomo. Un pregiudizio che per molto tempo ha costituito un ostacolo insormontabile per l'affermazione e il riconoscimento dei meriti di tante donne di grande valore. Penso, ad esempio, alle tante difficoltà che hanno accompagnato l'ingresso delle donne in magistratura, avvenuto solo nel 1963.
Penso che la designazione del primo giudice donna alla Corte costituzionale è avvenuta soltanto nel 1996: 48 anni dopo l'entrata in vigore della Costituzione. Penso che sono stati necessari 70 anni di storia repubblicana, 18 legislature e svariati interventi in materia elettorale per vedere una donna sedere sullo scranno più alto di Palazzo Madama e le donne senatrici passare dalle 4 della prima legislatura alle attuali 110.
Se guardiamo ai numeri, le statistiche più recenti ci dicono poi che la percentuale di donne che hanno raggiunto una laurea negli ultimi anni continua ad essere sensibilmente più alta di quella degli uomini. Eppure, le stesse statistiche ci dicono anche che per affermarsi nel mercato del lavoro, sia in termini di qualità degli impieghi, sia per quanto concerne le corrispondenti retribuzioni, queste donne sono ancora costrette a faticare molto più loro dei colleghi maschi. Una penalizzazione che diviene ancora maggiore in caso di maternità.
I numeri non mentono. E di fronte a questi dati, occorre prendere atto che il pregiudizio sociale da cui trae origine ogni forma concreta di discriminazione basata sul sesso ancora sopravvive nel nostro Paese nonostante una legislazione particolarmente avanzata in materia di diritti delle donne. Per sradicarlo dal tessuto sociale diventa quindi necessario adottare nuove strategie, non necessariamente legislative.
Più che sulla efficacia delle norme, si deve infatti intervenire sulla loro difficoltà a favorire la diffusione nella collettività di un sentimento di comune e incondizionata adesione a quei valori di cui le norme stesse sono espressione. Ai pregiudizi occorre infatti contrapporre la forza rivoluzionaria di una cultura saldamente legata al rispetto del ruolo delle donne e delle loro infinite potenzialità. In tale prospettiva, le politiche di empowerment femminile diventano uno strumento irrinunciabile, tanto a livello individuale quanto nelle dinamiche sociali, per infondere tra le donne fiducia, sicurezza e - soprattutto - consapevolezza delle proprie potenzialità. Politiche che devono essere attuate anche attraverso la valorizzazione degli esempi di leadership femminile: di donne che ce l'hanno fatta e si sono affermate grazie ai loro meriti e alle loro competenze. Un messaggio da promuovere tanto all'interno quanto all'esterno dei nostri confini, in attuazione degli obiettivi globali di parità di genere perseguiti proprio dall'agenda 2030.
Questo impegno divulgativo, sul piano internazionale, dovrà essere affiancato anche da una fitta rete di relazioni diplomatiche a sostegno di ogni progetto teso a eliminare - specie a livello ordinamentale - qualunque forma di disparità o di discriminazione tra uomini e donne in quei Paesi che ancora non vi hanno provveduto.
Per dare seguito a riforme globali come quelle indicate nell'Agenda occorre inoltre scardinare tutti quegli altri fattori che direttamente o indirettamente incidono sulla condizione femminile, ponendola di fatto su un piano di inferiorità e di particolare debolezza. In tale prospettiva, diviene prioritario cooperare a livello internazionale per garantire alle donne e alle ragazze di tutto il mondo parità di accesso all'istruzione, alle cure mediche, ad un lavoro dignitoso e - soprattutto - alla piena partecipazione ai processi decisionali e politici. Perché l'emancipazione globale delle donne non può prescindere dal pieno riconoscimento, dalla promozione e dall'effettiva tutela dei loro diritti fondamentali.
Diviene altresì prioritaria anche una forte campagna internazionale contro ogni forma di violenza nei confronti delle donne, sia nella sfera privata che pubblica. Realtà ancora tristemente diffuse in molte nazioni e assolutamente incompatibili con ogni obiettivo di progresso, di prosperità e di pace tra i popoli. Ricordiamolo sempre: ogni cambiamento è espressione di una volontà positiva e di una forte capacità realizzativa. Il cambiamento, anche in questo caso, richiede tuttavia che vengano garantite adeguate condizioni normative e ordinamentali. Soprattutto, richiede che vengano garantite pari opportunità individuali e sociali.
In questa direzione si muove l'Agenda 2030. In questa direzione devono operare le Istituzioni internazionali, i Governi e i Parlamenti nazionali e tutte le formazioni sociali interessate.
Grazie e buon lavoro a tutti.