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Il Presidente: Discorsi

Non lo chiamate amore

Discorso pronunciato dal Presidente del Senato il 14 febbraio, in apertura del convegno "Non lo chiamate amore - Vittime, carnefici e falsi amori" ospitato in Sala Koch

Autorità, Signore e Signori,
desidero complimentarmi con l'Associazione Italiana di diritto e psicologia della famiglia per l'organizzazione di questo importante convegno. Più volte nella mia carriera professionale, politica e istituzionale ho promosso e preso parte a progetti e iniziative tesi ad affrontare le tante problematiche connesse alla violenza domestica. E ogni volta l'ho fatto nella ferma convinzione che quella che ci vede insieme anche oggi non debba essere una battaglia contro qualcosa o qualcuno, ma a favore delle persone più vulnerabili. A favore di chi è costretto a vivere nella paura all'interno dell'unico ambiente che dovrebbe invece essere sinonimo di sicurezza: la propria famiglia.

Ed infatti la violenza domestica, in tutte le sue differenti manifestazioni, si rivela come un fenomeno ancora largamente sommerso, multiforme, con complesse implicazioni sul tessuto sociale. Un fenomeno cui si possono ricondurre condotte fortemente eterogenee, spesso difficilmente inquadrabili in rigidi schemi normativi o categorie statistiche; dietro al quale si celano forme di violenza che possono essere non solo e non necessariamente di tipo fisico.

Anzi, proprio quando si esplica esclusivamente sul piano psicologico o economico, la violenza domestica assume caratteri ancora più subdoli e sfuggenti. Conoscere il proprio nemico, comprenderne la forza, l'estensione, le sue articolate caratteristiche e le diverse forme di pericolosità, costituisce infatti una premessa necessaria per poterlo contrastare con la massima efficacia.

Proprio sulla base di questa necessità si sono fondati i lavori che hanno portato alla redazione dei principi e delle linee guida dettate dalla Convenzione di Istanbul del 2012. Un documento fondamentale, ampiamente condiviso dalla comunità internazionale che, recependo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, pone la violenza contro le donne tra le più gravi violazioni dei diritti umani. Una inaccettabile forma di discriminazione, basata sul genere, che gli Stati hanno il dovere di contrastare con fermezza e severità.

Grazie ad una definizione tendenzialmente onnicomprensiva del concetto di violenza domestica, la Convenzione di Istanbul ha consentito di approntare - anche nel nostro Paese - una serie organica di azioni legislative e amministrative per ampliare le difese delle donne, degli anziani e soprattutto dei minori che ne sono vittime.

Tuttavia, nessuna misura penale, processuale, amministrativa o economica contro la violenza domestica può dirsi pienamente efficace se non è sostenuta da un impegno altrettanto incisivo sul piano educativo e formativo. Oggi più che mai occorre prendere atto della necessità di un nuovo approccio culturale al fenomeno, in cui la valorizzazione delle opere di prevenzione assuma un ruolo prioritario anche rispetto alle azioni di repressione che, comunque non devono mancare.

Prevenire per vincere le paure. Prevenire per non essere complici ignavi di un nemico che - come è stato detto - non bussa alla porta perché ha già le chiavi di casa.

A fronte del dato per cui il 75% dei delitti consumati all'interno delle famiglie è il tragico epilogo di una escalation di violenze che le vittime avrebbero potuto evitare se fossero state poste nella condizione di cogliere il pericolo e chiedere aiuto, come possiamo sottovalutare il valore strategico di una forte campagna di informazione?

Ancora oggi siamo costretti a prendere atto che, spesso, le vittime di questi atti di violenza nemmeno conoscono le misure di sicurezza predisposte a loro tutela. E che, talvolta, pur avendone contezza, non denunciano il loro aggressore perché hanno paura di non essere realmente protette, perché temono il giudizio sociale o - peggio - perché arrivano a giustificare le violenze a causa del retaggio di una società patriarcale ormai anacronistica.

Sono proprio queste le criticità su cui bisogna intervenire attraverso la promozione e la diffusione di una nuova cultura della prevenzione, fondata prima di tutto su una forte campagna informativa che accompagni e sostenga l'attività legislativa. In tale direzione si muove, ad esempio, la guida "In difesa delle donne", pubblicata lo scorso novembre dall'Ufficio Valutazione Impatto del Senato. Un prezioso documento di pronto soccorso destinato alle donne vittime di violenza, che le aiuti a reperire il sostegno necessario a fronteggiare le drammatiche esperienze che insidiano la loro vita.

Questa cultura della prevenzione si deve esplicare, altresì, nella valorizzazione delle tante forme innovative di raccordo interdisciplinare e di collaborazione tra magistratura, forze dell'ordine, strutture sanitarie, servizi sociali e centri antiviolenza, sperimentate negli ultimi anni. Una sinergia che deve essere estesa anche ai soggetti del terzo settore attivi sui territori nella protezione delle vittime e nel recupero dei colpevoli.

Occorre inoltre valorizzare il ruolo strategico del personale delle scuole, e degli asili in particolare, che grazie alla loro quotidiana vicinanza con i minori possono diventare - se adeguatamente formati - preziose sentinelle per cogliere i primi segnali di allarme di un nucleo familiare sofferente. In questo contesto, l'istruzione e l'educazione pedagogica assumono un ruolo irrinunciabile per radicare, specie tra i più giovani, valori universali di rispetto per il prossimo, per ogni forma di diversità, per la giustizia e per la vita umana stessa.

E' inoltre necessario richiamare alle proprie responsabilità anche gli operatori dei settori della comunicazione e dell'informazione. Se il lavoro del cronista è quello di informare, allora le storie di violenza domestica devono essere ricostruite senza cadere nella tentazione di rendere la notizia più appetibile. Ancora più importante, in un'ottica propositiva, è poi creare spazi anche per le storie che si risolvono positivamente. Dare voce alle testimonianze delle vittime che hanno reagito e sono state sostenute in questo cammino dalle forze dell'ordine, dalle comunità di accoglienza e dalla magistratura.

In sintesi, i contesti familiari dove si consumano atti di violenza richiedono forme articolate di intervento che nessun operatore, lavorando singolarmente, può riuscire a soddisfare. La rete di protezione è quindi lo strumento per costruire un percorso integrato contro la violenza, attraverso lo scambio continuo di informazioni, nella consapevolezza dei compiti e delle necessità di ogni attore coinvolto. Un metodo di lavoro virtuoso e condiviso, teso a creare un clima di fiducia e di sostegno reciproco tra i soggetti chiamati a proteggere per infondere fiducia proprio in chi ha bisogno di essere protetto.

Formazione, consapevolezza e sensibilizzazione diventano quindi tre pilastri su cui porre le fondamenta di una nuova società che possa garantire una vita libera da violenze e discriminazioni. Una società in cui anche il linguaggio e l'uso consapevole del valore delle parole abbiano un ruolo decisivo.

A tale riguardo, ritengo particolarmente significativo svolgere questo convegno nel giorno di san Valentino: la festa degli innamorati. Perché proprio amore è una parola di cui si è troppo spesso abusato in relazione agli atti di violenza contro le donne e più in generale di violenza domestica. Quante volte abbiamo sentito frasi come "atto passionale", "estremo gesto d'amore" o "amore malato" riferite a delitti consumati tra le mura di casa, come se si volesse giustificare o cercare una qualche empatia con l'atto omicida?

Non dimentichiamolo mai: qui l'amore non c'entra nulla! Questi crimini sono quanto di più lontano ci possa essere dall'amore. Ne sono l'antitesi. La sua negazione assoluta. Ricordiamoci quindi di non chiamarlo mai amore, perché le parole pesano e vanno usate sempre con grande responsabilità.

Grazie e buon lavoro a tutti.



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