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Il Presidente: Discorsi

Le nuove forme dell'antisemitismo

Discorso pronunciato in apertura del convegno in Sala Zuccari

Autorità, Signore e Signori,
ho accolto con piacere l'invito a portare un mio saluto in apertura di questo convegno dedicato alle nuove forme di antisemitismo.
Ringrazio il Senatore Salvini, il Presidente Romeo e il Gruppo parlamentare della Lega per l'organizzazione di questo momento di riflessione e di approfondimento, a poco meno di due settimane dal giorno della memoria.
Saluto gli illustri relatori: l'ambasciatore Dore Gold, il professor Douglas Murray e il professor Rami Aziz. Sono certa che i vostri interventi sapranno essere occasione per stimolare e arricchire di contenuti un dibattito che deve coinvolgere tutte le forze politiche nell'interesse dei cittadini, dei loro diritti, delle loro libertà.

Consentitemi, in apertura delle mie considerazioni, di rinnovare alla comunità ebraica italiana i miei sentimenti di vicinanza e di amicizia personale.
Come ho avuto modo di ricordare in occasione della mia visita al Tempio Maggiore di Roma, significativo è stato il contributo delle comunità ebraiche alla nostra vita nazionale e alla costruzione di uno Stato moderno e democratico.
Credo che per ciascuno di noi, essere qui oggi non sia soltanto una testimonianza di condanna verso ogni forma di discriminazione, quanto piuttosto una concreta assunzione di responsabilità a tutela di quei valori di fratellanza e di rispetto per ogni individuo che - come Istituzioni e come rappresentanti dei cittadini - siamo chiamati a difendere con rigore e con impegno.

L'affermazione - nella Costituzione e nei principali trattati internazionali - dell'inviolabilità della vita umana e della pari dignità e uguaglianza di ogni cittadino di fronte alla legge, rappresenta la più preziosa eredità del ventesimo secolo.
Un patrimonio di valori che è parte integrante della nostra storia repubblicana.
Un patrimonio costruito anche sul ricordo dei dolori, dei soprusi e delle terribili violenze di cui è stato capace l'essere umano nel corso del novecento: la Shoah, le dittature, i campi di concentramento e di sterminio, il genocidio di quasi sei milioni di ebrei.
E' quella stessa memoria che ha portato l'Italia ad essere protagonista nell'ambito della creazione dei principali organismi internazionali, del processo di aggregazione europea e - più in generale - di un percorso di pace universale.

In tale cornice, approfondire le nuove forme con cui oggi si manifesta l'odio antisemita significa anzitutto prendere coscienza che a più di settant'anni dall'abrogazione delle "leggi razziali", quello dell'avversione etnica verso gli ebrei è tornato ad essere un tema di forte attualità.
Un tema estremamente ampio ed articolato, che si nutre anche di una forte campagna di disinformazione su Israele.
A ciò occorre aggiungere la percezione - sempre più diffusa - di come questo rigurgito antisemita sia anche espressione di un più generale sentimento di intolleranza verso ogni diversità: di etnia, di genere, di fede religiosa o di opinione politica.

Lascio alla indiscussa competenza e al prestigio istituzionale e accademico dei relatori il compito di guidarci verso una maggiore comprensione delle cause, delle dinamiche e delle dimensioni di questo complesso fenomeno.
Vorrei comunque condividere con voi alcune riflessioni che partono dalla considerazione di come i processi di trasformazione in atto siano destinati a consegnare alle future generazioni un quadro antropologico profondamento diverso da quello che conosciamo.

Un contesto in cui il forte calo demografico, il contestuale incremento dei flussi migratori e le tensioni in medio oriente così come in Africa, pongono in primo piano il delicato problema della convivenza di popoli e società profondamente diverse tra loro.
Una convivenza che se non governata con consapevolezza può essere origine di nuovi attriti e di nuovi impulsi di odio e di violenza.
Come governare quindi questo processo senza cadere nella trappola dell'intolleranza reciproca?
Come affrontare con lungimiranza equilibri ancora fragili per guidarli verso un processo di integrazione inevitabile che deve comunque essere pacifico e duraturo?
Interrogativi che pongono in primo piano la necessità di trovare un punto di convergenza - di conciliazione sostenibile - tra relativismi di natura culturale, morale, politica e giuridica.
In tale prospettiva, mi chiedo se rinunciare alle nostre tradizioni in nome di un'esasperata globalizzazione non sia stato un errore. Una strategia che anziché placare le tensioni del tessuto sociale abbia invece avuto l'effetto di accrescerle.

Mi chiedo se difendere il nostro essere italiani e il nostro essere europei; difendere le nostre radici culturali, non sia invece la strada migliore per creare presupposti solidi per costruire relazioni fondate sul rispetto e sulla considerazione reciproca.
Ritengo infatti che la storia ci abbia consegnato un messaggio importante: una società forte della propria identità, una società rispettosa della dignità e della libertà di ogni essere umano è per sua natura una società che ripudia l'intolleranza e il razzismo, qualunque ne sia la forma, qualunque ne sia la natura.

Difendere questa società è una questione di civiltà.
Ciò significa agire prima di tutto sul piano culturale ed educativo.
Significa promuovere, divulgare e sostenere una irrinunciabile cultura della memoria e della consapevolezza identitaria.
Una cultura che sia da antidoto al riprodursi di sentimenti di intolleranza e che dia qualità anche all'azione del legislatore nell'ambito di una irrinunciabile opera di prevenzione, contrasto e repressione di ogni manifestazione di odio, di violenza o di razzismo.



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