Inaugurazione dell'anno giudiziario delle Camere Penali
Autorità, colleghi Avvocati, Signore e Signori, ho accolto con vero piacere l'invito ad intervenire a queste giornate di studi organizzate dall'Unione delle Camere Penali in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario degli avvocati penalisti. Essere qui oggi mi consente di portarvi il mio saluto personale e, soprattutto, di rappresentarvi la particolare attenzione delle Istituzioni alle delicate questioni che avete affrontato ieri e che vi accingete a discutere oggi.
Tematiche di sempre più drammatica attualità, che ci rappresentano due anomalie della nostra giustizia: da un lato l'errore giudiziario e l'ingiusta detenzione, dall'altro l'irragionevole durata dei processi. Fenomeni di fronte ai quali occorre partire dalla consapevolezza che, purtroppo, nessun ordinamento giuridico può dirsi perfetto e immune da errori sul piano processuale. Errori che possono verificarsi anche indipendentemente dalla sussistenza di profili di responsabilità in capo a chi li commette.
Da questa prospettiva, la previsione di più gradi di giudizio nonché di una disciplina sulla revisione dei processi, esprimono chiaramente la necessità del Legislatore di contenere quanto più possibile il verificarsi di tali anomalie e di garantire che il processo, e in particolare quello penale, possa giungere alla sua conclusione naturale: l'accertamento della verità.
Nella stessa direzione si muovono poi quelle norme che, in un'ottica garantista fondata sulla presunzione di innocenza, limitano il ricorso alle più severe misure cautelari personali ai casi di assoluta necessità e alla presenza di rigorose condizioni procedimentali.
Ciò nonostante, i dati più diffusi ci dicono che dal 1992 ad oggi sono oltre ventiseimila - quasi mille all'anno - gli individui che hanno subito una illegittima restrizione della propria libertà personale prima di essere definitivamente assolti con sentenza passata in giudicato. Dati che trovano ulteriore riscontro anche nell'ultima relazione sull'applicazione delle misure cautelari personali elaborata dal Ministero della giustizia.
Sono numeri pesanti, che non possono più essere sottovalutati e che ci obbligano a una necessaria riflessione sulla efficacia degli strumenti normativi finora predisposti per tutelare il massimo rispetto del diritto alla libertà personale e per preservare il nostro sistema dal rischio di errori suscettibili di produrre conseguenze nefaste sulla vita degli imputati e delle loro famiglie.
Dietro a ogni singolo caso di errore giudiziario o di ingiusta detenzione vi è un dramma umano. Vi sono donne e uomini illegittimamente privati della propria libertà personale e la cui vita affettiva, sociale e lavorativa è stata fortemente pregiudicata. Danneggiata da una cattiva amministrazione della giustizia e spesso compromessa dalle conseguenze mediatiche di una misura cautelare o di una sentenza di condanna infondate sotto il profilo giuridico ma, comunque, sufficienti a radicare nella collettività un'inestirpabile sentimento di condanna sociale.
Ancora più allarmanti sono poi i dati relativi alla durata dei processi. Secondo l'ultimo monitoraggio sullo stato delle pendenze penali, pubblicato lo scorso novembre dal Ministero della giustizia, circa il 20% dei procedimenti incardinati nei Tribunali e oltre il 40% di quelli presso le corti di appello sarebbe infatti a rischio di legge Pinto.
Al riguardo, non si può dimenticare che il mancato rispetto del principio costituzionale della ragionevole durata del processo nuoce non solo ai diritti degli imputati ma anche - e soprattutto - a quelli delle parti offese. Vittime del reato tanto quanto di un sistema giudiziario incapace di dare una risposta rapida alla loro legittima domanda di giustizia.
Un sistema giudiziario che, anche a causa di queste anomalie, si colloca tra gli ultimi in Europa per efficienza ed efficacia, come certificato dal Quadro di valutazione sullo stato della giustizia 2018, recentemente pubblicato dalla Commissione europea. Un sistema che, sempre a causa delle medesime anomalie, ha prodotto in questi anni costi enormi a carico dei bilanci dello Stato. Una vera e propria emorragia di preziose risorse finanziarie che invece avrebbero potuto essere impiegate proprio per sanarne le lacune. Un'emorragia che appare inarrestabile se si considera che solo il debito pendente derivante dall'applicazione della legge "Pinto" ammonta a circa 330 milioni di euro, come ci ha ricordato poche settimane fa il Ministro Bonafede nella sua Relazione annuale al Parlamento.
Per contrastare questo ingiustificato dispendio di risorse e ridare credibilità alla giustizia italiana, occorre uno sforzo comune che richiami alle proprie responsabilità tutti i soggetti coinvolti. Certamente servono interventi normativi volti a soddisfare improcrastinabili esigenze di semplificazione e di celerità dei processi, così come a contrastare ancora di più il verificarsi di errori giudiziari. Allo stesso tempo, è necessario investire nella giustizia: rafforzare gli organici dei magistrati e del personale amministrativo, specie nei territori più sguarniti e in sofferenza; approntare ed attuare un progetto di potenziamento delle strutture giudiziarie e, più in generale, lavorare sull'efficienza nella gestione dei processi.
In verità, occorre ricordare che - almeno su quest'ultimo punto - avvocati e magistrati da anni lavorano in sintonia per creare - pur a legislazione e risorse invariate - le migliori condizioni per favorire il raggiungimento di questo comune obiettivo. Una collaborazione che ho avuto modo di apprezzare anche nella mia recente esperienza come componente del Consiglio Superiore della Magistratura e che ha trovato formale certificazione nella sottoscrizione, il 13 luglio 2016, dell'importante protocollo di intesa tra lo stesso CSM e il Consiglio Nazionale Forense, per la realizzazione di azioni sinergiche in vista di un miglioramento qualitativo dei servizi della giustizia. Un documento i cui contenuti non hanno semplice valore simbolico e che sono espressione proprio di quella cultura dell'organizzazione che ho fortemente promosso e sostenuto negli anni in cui ho lavorato a Palazzo dei Marescialli.
Questa è la direzione in cui bisogna procedere: quella di una piena condivisione delle problematiche della giustizia, analizzate dalle differenti prospettive tra avvocati, magistrati e personale amministrativo, e di un confronto collaborativo sulle possibili soluzioni per porvi rimedio, a cui anche la politica deve prestare attenzione. Senza questa fondamentale azione comune, l'efficienza del sistema giudiziario, e con essa gli obiettivi di un maggiore contenimento fisiologico degli errori processuali e della durata dei procedimenti, diventano traguardi illusori o comunque troppo lontani.
Ma, cosa ancora più importante, è quanto mai necessario che questa profonda ristrutturazione del sistema avvenga nell'interesse primario dei cittadini e nell'assoluto rispetto dei loro diritti costituzionalmente garantiti. In tale prospettiva, incontri come quello odierno acquistano un alto valore strategico. Da un lato sono preziose occasioni di approfondimento tecnico giuridico. Dall'altro lato, attraverso il coinvolgimento di avvocati, magistrati, esponenti delle Istituzioni e della politica, consentono di tenere alta la sensibilità di tutti sulla necessità di promuovere e diffondere la cultura di una giustizia non solo più efficiente, ma anche più umana e responsabile.
Buon lavoro a tutti.