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Il Presidente: Discorsi

Giornata dell'Unità nazionale e delle Forze armate

Discorso pronunciato al Municipio di Gorizia

Buongiorno a tutti,
Saluto il sindaco di Gorizia, Rodolfo Ziberna, ringraziandolo per la calorosa accoglienza nella vostra storica città.
Saluto il Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, il Presidente del Consiglio Regionale, Piero Mauro Zanin, i Consiglieri regionali, i parlamentari e tutte le autorità presenti.

Ho fortemente voluto fermarmi in Friuli in occasione della mia partecipazione alla cerimonia commemorativa del 4 novembre, che si è svolta poche ore fa al sacrario di Redipuglia.
L'ho fatto perché, come Presidente del Senato, ritengo che le Istituzioni - specie quelle parlamentari - abbiano il dovere di tenere vivo il dialogo con le realtà territoriali e di prestare attenzione alle loro peculiarità.
E ciò non sarebbe possibile senza un confronto diretto e costruttivo con voi che siete i principali interpreti delle esigenze di questa Regione, delle sue province e dei suoi comuni.

Ma ho voluto fermarmi in Friuli anche per visitare e rendere un deferente omaggio ad altri importanti luoghi della memoria.
E questo, nella convinzione che celebrare l'unità nazionale significhi soprattutto rivolgere un comune pensiero alle vittime di ogni guerra e di ogni conflitto che ha diviso e lacerato il nostro Paese, sia che indossassero una divisa militare, sia che fossero donne, uomini o bambini inermi.
Per questo, nel pomeriggio visiterò l'Ossario di Oslavia e il Parco della Rimembranza; mentre domani mi recherò alla Foiba di Basovizza e alla Risiera di San Sabba.

Ciascuno di questi luoghi, ci ricorda infatti che l'Italia - la nostra democrazia - ha trovato la sua dolorosa genesi anche in quelle pagine di smarrimento e di disperazione.
Così come l'ha trovata nel coraggio delle famiglie, delle madri e dei padri che hanno dato la vita per salvare i propri figli e per dare loro un futuro che potesse essere di speranza.

Proprio questa mattina, insieme al Presidente della Repubblica e alle più alte cariche dello Stato, ho reso omaggio alla salma del milite ignoto all'Altare della Patria.
Un corpo senza nome, che da quasi un secolo ci ricorda come la memoria sia la nostra più grande ricchezza.
Un patrimonio che abbiamo il dovere di tutelare, approfondire, spiegare e divulgare nella sua interezza, senza ombre o colpevoli omissioni
Perché nessuna ideologia, nessuna forma di negazionismo, hanno il diritto di cancellare una verità storica indispensabile per comprendere pienamente gli orrori del passato.
Una verità senza la quale non si potrebbe nemmeno cogliere la reale portata di quei principi di pace e di fratellanza su cui oggi si fonda il nostro vivere comunitario.

Ecco quindi che la ricorrenza del 4 novembre deve essere interpretata come una preziosa occasione per rendere onore al sacrificio dei nostri soldati.
Ma deve costituire anche una opportunità per rinnovare la vicinanza al dolore degli orfani, delle famiglie e di tutti coloro che hanno perso un congiunto nelle foibe, nei campi di prigionia o nei rastrellamenti militari.
Vittime di una violenza fratricida ispirata dall'odio, dall'intolleranza e dalla perdita di ogni umanità.
Una violenza che costrinse centinaia di migliaia di italiani a fuggire dalle proprie case, dai luoghi dell'infanzia e degli affetti e a spargersi in tutto il Paese pur di sopravvivere, pur di trovare un rifugio.

Come sarebbe possibile comprendere oggi tutto quel dolore; gli incubi, le paure e le angosce se le Istituzioni, per prime, non si ponessero il dovere di tenerne vivo il ricordo tra i cittadini?
Come sarebbe possibile costruire un futuro di convivenza tra popoli, etnie e religioni se dagli orrori del passato non si coltivasse una coscienza comune aperta alla comprensione reciproca?
Come potremmo insegnare ai nostri figli il valore della vita umana se non spiegando loro che per arrivare a sancirlo nelle leggi e nei trattati internazionali è stato necessario piangere sui corpi di tanti innocenti?
L'odio è un mostro che si nutre di inganni e pregiudizi, che cresce nell'indifferenza e nella colpevole ignoranza di ciò che è stato; di ciò che non deve più accadere.
La libertà e la giustizia, il rispetto per il prossimo e per le diversità sono invece valori che non possiamo mai dare per scontati: sono l'eredità di chi ci ha preceduto, ciò che dobbiamo tramandare alle future generazioni.

E' questa la strada che l'Italia ha intrapreso con la Repubblica, sono questi i valori che la nostra Costituzione ha posto a fondamento del nostro Stato di diritto.
Ed è sempre questa la strada che il nostro Paese ha intrapreso quando si è fatto tra i principali promotori di quel processo di amicizia, condivisione e integrazione tra i popoli che oggi è rappresentato dall'Unione europea.

Non dimenticare deve quindi essere un imperativo comune per sostenere lo sforzo necessario alla costruzione di un Paese sempre più democratico, di un'Europa sempre più solidale, di un mondo sempre più dialogante e multilaterale.
L'odio e le divisioni etniche hanno profondamente lacerato questa Regione.
Gorizia, in particolare, specie nell'immediato dopoguerra, ha dovuto affrontare dinamiche geopolitiche complesse, che hanno messo a dura prova la tenuta stessa del tessuto sociale.

Oggi quelle difficoltà possono dirsi in larga parte superate: gli spazi sono definiti, le tensioni, le incertezze e quel senso diffuso di precarietà appartengono al passato.
Tutto questo non sarebbe stato possibile se - accanto all'azione dei Governi centrali e delle Istituzioni locali - non ci fosse stato l'impegno instancabile dei meravigliosi abitanti di questi territori.
Donne e uomini che, nelle campagne così come nelle città, hanno avuto la forza di guardare avanti, superare ogni rancore e ogni diffidenza, rimboccarsi le maniche e intraprendere una paziente opera di ricostruzione economica e sociale.

E' grazie a quella passione, a quella dedizione, a quella coesione di energie se il Friuli oggi continua ad essere una delle Regioni più ricche e produttive d'Italia.
E' grazie a tutti voi se oggi Gorizia non è più solo un confine, ma un ponte verso l'Europa e verso i Balcani; un incrocio di culture, di etnie, di storie e di tradizioni capaci di tradursi in un incredibile incubatore di opportunità, di idee, e di prospettive di sviluppo che voi avete il dovere di cogliere e noi di sostenere.
Grazie.



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