Donne vittime di violenza domestica: lo Stato garantisca reale protezione
Rivolgo il mio saluto al Primo Presidente della Corte di Cassazione, Giovanni Mammone,
alla Consigliera Luisa Napolitano, componente del Comitato Direttivo della Scuola Superiore della Magistratura,
agli organizzatori di questo importante incontro di studio e formazione,
agli autorevoli relatori e a tutti i partecipanti.
Questo appuntamento formativo si svolge in prossimità di una data molto significativa per tutti noi, quella che l'Onu ha proclamato come "Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne".
I temi affrontati nelle sessioni precedenti e quelli che saranno trattati nella tavola rotonda odierna hanno offerto e offriranno decisive indicazioni e spunti di riflessione per approfondire un fenomeno purtroppo sempre più allarmante, che coinvolge non solo le donne vittime dei soprusi, ma i minori, spesso testimoni impotenti delle violenze, privati della possibilità di vivere in un ambiente costruito su relazioni serene.
La Convenzione di Istanbul del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata dall'Italia nel 2013, riconduce alla nozione di violenza domestica "tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all'interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l'autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima".
È importante, infatti, ricordare che la violenza domestica è una delle più diffuse e radicalizzate forme di violenza esistenti nella nostra società e anche la più complessa.
Si tratta, infatti, di una violenza che può assumere forme diverse da quella fisica: la violenza psicologica e il ricatto economico ne sono un esempio.
È, inoltre, un fenomeno ancora in gran parte sommerso ed è compito delle Istituzioni fornire ai soggetti coinvolti ogni utile strumento di formazione, prevenzione e contrasto.
Affinché lo Stato adempia il proprio obbligo fondamentale di prevenire questi fenomeni di violenza e di garantire una reale protezione di ogni vittima occorre ribadire che la violenza domestica si configura quale violazione dei diritti umani internazionalmente protetti.
Sotto tale profilo si è rivelato e si sta rivelando decisivo il ruolo della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo - il cui Presidente, Guido Raimondi, saluto e ringrazio.
La Corte infatti si è adeguata ai nuovi standard di protezione internazionale dei diritti umani attraverso un'interpretazione estensiva dei diritti già codificati nella Convenzione.
Inizialmente la violenza domestica è stata perciò configurata come violazione del diritto alla vita privata ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione.
Successivamente, con l'entrata in vigore della Convenzione di Istanbul, la posizione della CEDU si rafforza.
In primo luogo, la violenza domestica è stata ricondotta all'interno dell'art. 3, che protegge gli individui dal reato di tortura ed ha valore assoluto, così attribuendo un contenuto più ampio agli obblighi dello Stato di proteggere, prevenire e punire le violenze domestiche.
La CEDU ha poi provveduto a riconoscere la violenza domestica come vera e propria forma di discriminazione ai sensi dell'articolo 14 della Convenzione, dichiarando che ogni singola violazione è da ricondurre a una pratica discriminatoria, e dunque generalizzata, degli Stati che non adottano le misure necessarie, condonando di fatto tali violazioni e favorendone la sistematicità.
La significativa evoluzione della Giurisprudenza della Corte rende evidente la centralità, tra gli obblighi statuali e di tutti i soggetti istituzionali coinvolti nella rete di protezione delle vittime, delle forme di tutela preventiva.
In questo contesto si rivela fondamentale il ruolo di una Magistratura consapevole e competente quale si dimostra nelle sue articolazioni requirenti e giudicanti la magistratura italiana.
Occorre procedere nel percorso significativamente segnato dall'importante risoluzione adottata dal Consiglio Superiore della Magistratura il 9 maggio 2018.
In quella delibera, infatti, procedendo da una visione innovativa dell'organizzazione giudiziaria, si sottolinea il ruolo nevralgico del principio di specializzazione degli organi requirenti e giudicanti, del principio di priorità nella trattazione di questi affari, valorizzando le chiare indicazioni normative al riguardo, ma soprattutto si dimostra la decisività delle cosiddette Buone Prassi di azione giurisdizionale.
Vi è in particolare un aspetto che di queste Buone Prassi intendo sottolineare con forza, in relazione al quale peraltro si è indirizzato anche il mio impegno quale componente del Consiglio Superiore della Magistratura, in sede di elaborazione della risoluzione.
Si tratta cioè della necessità di promuovere e attuare in maniera sistematica forme anche fortemente innovative di raccordo e collaborazione sia interne al sistema giudiziario, favorendo in particolare l'interazione tra i settori penale, civile e minorile, sia esterne, con particolare riguardo alle Istituzioni pubbliche quali Forze dell''Ordine, Strutture sanitarie, Servizi sociali e Centri antiviolenza. Fondamentale appare anche la sinergia tra Istituzioni pubbliche e soggetti del Terzo settore attivi nella protezione della vittima e nel recupero dei maltrattanti: penso ai centri antiviolenza privati, alle case rifugio e alle associazioni professionali.
Proprio in relazione a questo aspetto risulta che alcuni uffici giudiziari abbiano già sperimentato modelli virtuosi che, mi auguro, possano rappresentare in futuro punti di riferimento e criteri di orientamento per tutti gli uffici giudiziari e gli operatori del settore.
La positiva sperimentazione di tali sinergie ha dimostrato come, attraverso tali strumenti, si possa intervenire anche nel delicato ambito della valutazione del rischio, che rappresenta il momento centrale di garanzia di una efficace tutela preventiva delle vittime.
È comunque acquisizione condivisa che qualsivoglia forma di sinergia istituzionale e sociale presuppone, per la sua efficacia, la formazione continua e adeguata di tutti i soggetti coinvolti.
Fondamentale dunque appare il ruolo della Scuola Superiore della Magistratura, che nello svolgimento dei suoi compiti formativi, pone le premesse indispensabili per la effettiva attuazione del principio di specializzazione nell'esercizio delle funzioni giudiziarie in questo ambito.
Un'adeguata formazione presuppone però, proprio in questo settore, l'applicazione di metodi interdisciplinari, la contaminazione tra cultura giudiziaria e saperi diversi, l'apertura costante alla società e alla conoscenza dei fenomeni più attuali.
In questa direzione la Scuola Superiore della Magistratura opera già in modo significativamente avanzato e fornisce un indispensabile supporto a tutti gli operatori, non solo in un'ottica repressiva, ma anche e soprattutto in un'ottica di prevenzione dei fenomeni.
Consentitemi a questo punto di evidenziare l'importanza del ruolo delle Istituzioni parlamentari che negli anni hanno dimostrato sensibilità e competenza, dotando il Paese di strumenti normativi all'avanguardia a livello internazionale.
Vorrei solo brevemente richiamare alcune innovazioni normative sulle quali si è incentrata anche la vostra riflessione di questi giorni.
Intendo riferirmi in particolare a quegli interventi normativi che esprimono un approccio di forte innovazione ai temi della violenza di genere e domestica, soprattutto per gli inediti strumenti repressivi e preventivi introdotti nell'ordinamento:
La Legge del 23 aprile del 2009, n. 38, che ha introdotto il reato di "Atti persecutori", il cosiddetto "stalking";
Il Decreto Legislativo 15 dicembre 2015, n. 212, che, in attuazione della Direttiva n. 29 del 2012, ha introdotto il nuovo statuto per la vittima del reato, incentrato sui diritti di informazione della persona offesa e sugli strumenti di assistenza e protezione delle vittime;
La Legge 17 ottobre 2017, n. 161, che ha esteso l'applicabilità delle misure di prevenzione anche agli indiziati del delitto di stalking.
Per concludere, anche l'attuale legislatura si sta caratterizzando, pur ai suoi esordi, per una specifica sensibilità in questo settore.
Evidenzio la costituzione in Senato, con delibera del 16 ottobre 2018, della Commissione monocamerale di inchiesta sul femminicidio e ogni forma di violenza di genere.
La Commissione è chiamata a svolgere indagini sulle reali dimensioni, condizioni e cause del femminicidio e in generale di ogni forma di violenza di genere.
Essa dovrà verificare la concreta attuazione della Convenzione di Istanbul e della legislazione nazionale in materia.
L'attività della Commissione si porrà dunque in continuità istituzionale e operativa con la Commissione di inchiesta già istituita nella precedente legislatura che, nella relazione finale all'esito di una imponente istruttoria, ha formulato proposte di adeguamento delle norme vigenti e soprattutto di attuazione di specifici interventi di prevenzione.
Il percorso intrapreso per la tutela reale ed efficace delle donne e di ogni vittima di violenza domestica è dunque articolato e complesso.
La sua ulteriore e necessaria implementazione richiede la forza e l'energia di un vero e proprio cambiamento culturale.
Il cambiamento culturale deve però essere favorito, accompagnato e sostenuto.
Questo credo sia l'obiettivo dell'importante momento formativo che si è svolto in questi giorni presso la Corte di Cassazione.
Questo è l'obiettivo delle Istituzioni tutte, chiamate ad esercitare la loro responsabilità anche e soprattutto sperimentando nuove forme di raccordo e di sinergia.