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Il Presidente: Discorsi

Convegno su Grazia Deledda in occasione delle celebrazioni per il 150° anniversario della nascita

Sala Capitolare

Buongiorno a tutti.
È davvero una bella emozione aprire questo prestigioso appuntamento dedicato a Grazia Deledda nel 150° anniversario della nascita.
Saluto il Ministro Franceschini, il Presidente Solinas, i Parlamentari, gli autorevoli relatori e gli ospiti presenti.
Ringrazio inoltre la Commissione per la biblioteca e l'archivio storico del Senato e il Presidente Gianni Marilotti per l'impegno dedicato all'organizzazione di questo convegno.

Un impegno che, ancora una volta, testimonia il forte legame tra il Senato e la grande tradizione culturale italiana.
Un patrimonio unico al mondo di opere immortali, genio, estro e immaginazione che, in questa legislatura, ho cercato di valorizzare, anche attraverso iniziative come "Senato&Cultura" che hanno rappresentato una importante vetrina istituzionale per tante eccellenze nazionali così come per molte giovani promesse.

Un'attenzione che si rinviene anche nel ricco calendario di eventi delle celebrazioni deleddiane che rappresenta l'occasione per riflettere sulla forte modernità del pensiero di Grazia Deledda e sulla sua eredità morale e culturale.
Un'eredità che Grazia Deledda ha iniziato a coltivare sin dalla più tenera età quando, a soli 13 anni, riuscì a farsi pubblicare i suoi primi racconti.
Un risultato eccezionale per una bambina che non aveva nemmeno finito le scuole elementari perché a quell'epoca non era "consono" per una ragazza proseguire gli studi superiori e che aveva potuto soddisfare la sua fame di conoscenza soltanto grazie all'aiuto di precettori o facendo da sola.
Una bambina che, con penna e inchiostro, inizia così a erodere i confini di una società che vorrebbe segregare le sue ambizioni in una rete di vincoli, regole e tradizioni secolari.

Le ambizioni di una donna che invece alza la testa.
Che rivolge il proprio sguardo al mondo e alle sue infinite opportunità e le insegue con coraggio, ostinazione e instancabile determinazione, senza tuttavia mai voltare completamente le spalle al proprio passato.
Anzi, dialogandoci continuamente attraverso le protagoniste e i personaggi dei suoi romanzi, in un confronto sincero, serrato, appassionato.

Un confronto in cui Grazia Deledda non rinnega mai le proprie origini, ma si sforza di comprenderle e di raccontarle in ogni loro umana sfumatura, riuscendo così a mettere in luce - meglio di chiunque altro - le contraddizioni di un'epoca ancora legata a troppi pregiudizi e lo spirito di modernità e di emancipazione che in quegli anni si iniziava finalmente a respirare.
Una "potenza narrativa" che l'avrebbe accompagnata nelle tante tappe di una vita non meno appassionante dei suoi libri e di un impegno culturale coronato dal Nobel per la letteratura da lei conquistato nel 1926: prima donna italiana ad ottenere questo ambito premio per almeno sessant'anni fino a quello per la medicina vinto da Rita Levi Montalcini.

Un Nobel che ancora oggi costituisce un grande simbolo di riscatto femminile e un tassello prezioso nel non semplice percorso di libertà, progresso ed emancipazione in un'Italia in cui all'epoca le donne ancora non potevano votare, avevano troppi doveri, troppo pochi diritti e ancora meno opportunità.

In tale prospettiva, la dimensione internazionale delle celebrazioni deleddiane diventa quindi una preziosa opportunità non solo per ripercorrere la vita di Grazia Deledda e riscoprire il contributo intellettuale e culturale della sua opera, ma anche per tornare a riflettere su come il percorso dell'emancipazione femminile sia ovunque nel mondo un libro incompiuto e con molte pagine ancora da scrivere persino nel nostro Paese.
Penso alla parità salariale, finalmente approvata al Senato, o alle scelte, spesso impossibili, che ancora le donne devono fare tra famiglia e lavoro. E se guardiamo fuori dai nostri confini lo scenario è molto più tragico, perché entrano in gioco diritti umani e libertà primarie.
Penso alle donne dell'Afghanistan, a cui so che è stato dedicato l'evento inaugurale delle celebrazioni deleddiane.

Donne coraggiose, che hanno combattuto per conquistare i loro diritti e quelli delle loro figlie: un'intera generazione di giovani donne cresciute libere.
Molte di loro sono diventate insegnanti, imprenditrici, artiste, sportive, giornaliste, magistrati, attiviste dei diritti umani, protagoniste della vita pubblica così come di ogni settore della vita civile.

Ma penso anche che su 40 milioni di persone nel mondo vittime di forme di schiavitù moderna come lavori, matrimoni forzati o traffico di esseri umani, almeno il 70 per cento sono donne;
che ci sono ancora almeno 200 milioni di ragazze o donne costrette a vivere con le conseguenze delle mutilazioni genitali; che ogni giorno sono 137 le vittime di femminicidio - il più delle volte tra le mura di casa - e che in molti Paesi è ancora permesso agli stupratori di sposare le proprie vittime per evitare il carcere.
E questi sono solo alcuni dei dati più allarmanti che emergono dall'ultimo rapporto del Fondo Onu sulla popolazione.

Un documento che dipinge un inferno di paure, violenze, ingiustizie e sopraffazioni per troppe donne di fronte al quale l'Italia, l'Europa e ogni Paese che pretenda di dirsi "moderno" o "democratico" non possono restare indifferenti o voltarsi dall'altra parte.
Scenari inaccettabili, che vanno contrastati tanto sul piano delle legislazioni nazionali quanto su quello della diplomazia internazionale anche attraverso una convinta accelerazione nell'attuazione degli obiettivi dell'Agenda ONU 2030 in materia di diritti delle donne.
Ma la storia ci insegna anche che i diritti non si possono imporre e che le libertà vanno conquistate.
Ed è qui che la cultura accende una luce di speranza.

Una cultura fondata sul valore insopprimibile della vita umana, sul rispetto delle diversità, e sulla tutela dei diritti e dei sogni di tutti, donne, uomini e bambini.
Una ricchezza di valori, principi assoluti e consapevolezze che ciascuno di noi può contribuire a costruire, promuovere, insegnare e divulgare con ogni mezzo e in ogni angolo del pianeta; anche solo con un libro, come ci ha insegnato Grazia Deledda.
Abbattere questi limiti è un lavoro enorme.

Ma è un lavoro che deve essere fatto se davvero vogliamo dare un finale di speranza universale al libro dell'emancipazione femminile.
Un finale che dobbiamo scrivere con la stessa tenacia e con la stessa determinazione con cui Grazia Deledda ha inseguito il suo sogno di arte e creatività.
Che era in fondo il sogno di libertà di ogni donna che, oggi come ieri, chiede soltanto di essere autentica protagonista della propria vita.



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