Convegno "La salute della persona nelle relazioni di lavoro" organizzato in ricordo di Marco Biagi a 17 anni dalla sua scomparsa
"Autorità, signore e signori,
è con un sentimento di profonda gratitudine che ho accolto l'invito a portare il mio personale saluto e quello del Senato della Repubblica all'incontro di oggi. La gratitudine è infatti il principale sentimento che le Istituzioni devono nutrire nei confronti di chi porta avanti, giorno dopo giorno, le intuizioni, le idee, le ricerche e le metodologie di studio di una persona che ha dato tanto all'Italia e agli italiani: il professor Marco Biagi.
Ringrazio quindi Adapt, l'associazione per gli studi internazionali e comparati sul diritto del lavoro e sulle relazioni industriali, l'associazione per la cultura riformista "Amici di Marco Biagi" e il Ministero del Lavoro e la Società italiana di Medicina del lavoro che collaborano al convegno odierno. Il 19 marzo del 2002 il vile agguato a Marco Biagi segnò una ferita profonda per l'Italia. Un uomo mite, un uomo colto, un uomo per bene che stava tornando a casa, in bicicletta, dopo aver speso un'altra giornata lavorativa per il suo Paese, per il bene comune. Perché in realtà è questo che Marco Biagi faceva, incessantemente, da quando giovanissimo aveva terminato gli studi e intrapreso il percorso accademico e professionale. Le sue convinzioni lo portarono da subito ad impegnarsi per approfondire gli ostacoli che impedivano al mercato del lavoro interno di cogliere le opportunità della modernità e creare le condizioni per conciliare sviluppo economico e sviluppo sociale, competitività e sicurezza, flessibilità e benessere. Il metodo comparativo fu sempre al centro delle sue analisi; una prerogativa che ne segnerà l'affermazione anche a livello internazionale, con ruoli e responsabilità di prim'ordine.
Prestò la sua opera a tutti i governi, agli enti locali, alle istituzioni comunitarie. Una instancabile e perpetua attività di consulenza e di collaborazione con l'obiettivo di favorire la realizzazione di politiche innovative, efficaci, lungimiranti, riformiste e riformatrici.
Da Senatrice ricordo quanta commozione e quanta soddisfazione ci fossero, in Parlamento e nel Governo, nei giorni in cui approvammo la Legge Biagi. Si disse, giustamente, che quella misura fosse solo una parte del pensiero e della strategia che il prof. Biagi aveva elaborato insieme al suo gruppo di lavoro per allineare la nostra legislazione ai più avanzati standard europei.
È assolutamente vero. Eppure proprio quel provvedimento - positivo se pur parziale - ha rappresentato un notevole slancio in avanti rispetto alle dinamiche che il dibattito pubblico sulle politiche occupazionali viveva in quegli anni. Un dibattito che era stato animato nell'autunno del 2001 proprio dalla pubblicazione del Libro Bianco sul mercato del Lavoro in Italia: tutt'ora un imprescindibile punto di riferimento.
Marco Biagi aveva intuito le trasformazioni della società e del mondo del lavoro ben prima della rivoluzione digitale. Già 20 anni fa sosteneva che "il mercato e l'organizzazione del lavoro si stanno evolvendo con crescente velocità, ma non altrettanto avviene per la regolazione dei rapporti di lavoro. Sempre più il percorso lavorativo è segnato da cicli in cui si alternano fasi di lavoro dipendente ed autonomo, intervallati da forme intermedie o da periodi di formazione e riqualificazione professionale".
È proprio seguendo questi insegnamenti che dobbiamo tornare a riflettere su una disciplina che tenga conto di dimensioni del lavoro sempre meno scandite da orari, luoghi designati e relativi controlli e sempre più caratterizzate invece da una dimensione collaborativa che deve e può valorizzare competenze e professionalità.
Come diceva Biagi, serve una legislazione che si preoccupi del rapporto di lavoro più che del "posto di lavoro", un rapporto segnato da cicli che devono essere anche intervallati da periodi di formazione.
È probabilmente scritto nel destino degli innovatori, soprattutto se innovatori sociali, vedere le proprie ragioni affermarsi, con le stesse caratteristiche che erano state previste e immaginate sin dall'inizio:
- penso a quanti milioni di giovani italiani hanno avuto la possibilità di trovare un'occupazione stabile grazie ad un iniziale ingresso nel mondo lavoro per mezzo dei contratti flessibili;
- penso a quante donne hanno potuto beneficiare del Part-time in azienda come scelta libera e consapevole e hanno così potuto conciliare tempi di vita e di lavoro;
- penso a quanto fosse moderna la visione di un dialogo sociale non stretto nel perimetro statico di quella concertazione che aveva sostanzialmente visto i lavoratori divisi in due categorie, quelli super-tutelati e quelli non tutelati affatto;
- penso a quanto sia di strettissima attualità il confronto sulle garanzie sociali e sulla dignità di ogni cittadino in quanto tale, a prescindere dallo status di lavoratore;
- penso all'attenzione riservata alle politiche attive, alla centralità delle competenze e al loro accrescimento lungo tutto l'arco della vita;
- penso alla salute e alla sicurezza - non a caso i temi di questo convegno - e a quanto Biagi credesse in un nuovo rapporto tra il pubblico e le imprese.
Il 15 gennaio del 2002, presentando il Libro Bianco in un incontro promosso dalla CEI, spiegò, tra le tante cose, la sua visione sulla sicurezza nei luoghi di lavoro:
"Abbiamo leggi sugli infortuni sul lavoro; inosservate, che danno scarsi risultati e che purtroppo non impediscono a un sacco di gente di morire sul lavoro ogni anno! Vogliamo creare non tanto delle sanzioni che assomigliano alle grida manzoniane, ma vogliamo cambiare le tecniche sanzionatorie? Vogliamo dare un premio all'imprenditore che realizzerà un ambiente sicuro? Vogliamo dargli delle convenienze? Vogliamo dire che gli diamo degli sconti sul piano contributivo e fiscale, se l'ambiente di lavoro sarà sicuro?"
Parole illuminanti, attuali, preziose. Una delle sue riconosciute doti era infatti la capacità di semplificare i concetti, di renderli accessibili a tutti.
Grazie all'impegno delle vostre associazioni, alle molteplici iniziative che mettete a disposizione di studenti e ricercatori, alle attività della Fondazione e dell'Università di Modena, possiamo affermare che l'eredità di Marco Biagi, come dimostra l'incontro di oggi, è in ottime mani. E in ottime gambe. Quelle che pedalano, libere, sulle sue intuizioni, sulle sue idee, sui suoi valori. E continueranno a farlo".