Cerimonia di intitolazione della sala "Trattati europei di Roma" in occasione del 62° anniversario della loro firma
Signor Ministro,
Signore e Signori,
la ringrazio per avermi invitato ad aprire la cerimonia di intitolazione ai "Trattati europei di Roma" di questa sala così prestigiosa, in cui d'ora in avanti saranno esposti i testi originali degli atti fondativi della costruzione europea.
Fu lo stesso Henry Spaak, che guidò i lunghi negoziati avviati tre anni prima a Messina, a proporre per la firma Roma, "la più augusta delle nostre città - sono parole di Spaak - da cui la civiltà è venuta tre volte all'Europa".
Ma proprio la nostra capitale, il 24 marzo del 1944, fu teatro di uno dei più terribili atti del secondo conflitto mondiale: un eccidio di civili inermi presso le Fosse Ardeatine, la cui memoria abbiamo ricordato poche ore fa con il Presidente della Repubblica.
Io credo abbia un particolare significato legare il ricordo di questi due momenti, queste due date (il 25 marzo del 1957 e il 24 marzo del 1944), inaugurando oggi la sala intitolata alla memoria del Console de Grenet, ucciso alle Fosse Ardeatine, e di tutti i dipendenti di questo Ministero che hanno servito la patria anche con l'estremo sacrificio.
Eroi spesso silenziosi, che hanno accompagnato il passaggio delle nazioni europee dalla generazione di Auschwitz e delle Fosse Ardeatine a quelle dell'Erasmus e dello spazio senza frontiere interne della nostra Europa, nata con i Trattati di Roma.
Se infatti, sul piano ideale e filosofico, l'Europa ha molte matrici concettuali fortemente radicate nel pensiero cristiano dei padri fondatori, quello liberale e internazionalista, l'Europa dei Trattati di Roma ha un contenuto storico e istituzionale preciso: la reazione agli orrori e alle barbarie di due conflitti mondiali.
Essa mirava sin dall'inizio a una coesione tra cittadini del nostro continente nel senso della piena e incondizionata adesione ai principi di libertà, democrazia, promozione della pace e condivisione della prosperità.
Obiettivi che si intrecciano con le aspirazioni più profonde della nostra Carta costituzionale.
Scriveva Piero Calamandrei
"dalla Resistenza, dalla lotta cruenta, è nato un dovere civile di lavorare insieme. Questo impegno solenne ha un nome: Costituzione". "Sulle mura di questo grande edificio - diceva sempre Calamandrei a proposito della nostra Costituzione - tante finestre si aprono verso l'avvenire. Dalla più alta di queste finestre (l'articolo 11) si riesce a intravedere laggiù, quando il cielo non è nuvoloso, qualcosa che potrebbe essere gli Stati Uniti d'Europa e del mondo".
Non dobbiamo dimenticare mai questa profonda aspirazione della nostra Repubblica, tanto più oggi, in un momento in cui l'Unione mostra segni di stanchezza e di pericolosa rassegnazione.
Frutto certo anche di errori, di scelte poco lungimiranti e di mancanza di coraggio. Ma proprio la memoria dei nostri padri, delle lacrime e del sangue con cui il popolo italiano ha cementato i muri maestri della Costituzione, ci deve imporre di guardare avanti con ottimismo.
La nostra riflessione comune deve prendere le mosse proprio dal Trattato di Roma e dal Mercato comune, l'organizzazione dalla quale è fiorita la pianta dell'integrazione del nostro continente, un mercato che ha garantito decenni di progresso economico e sociale.
L'Italia affrontò l'integrazione per certi versi meno preparata degli altri 5 paesi firmatari. Ma fu una sfida vinta: lo straordinario sviluppo del nostro paese negli anni sessanta sarebbe stato infatti impensabile senza l'apertura dei mercati.
Fu, quella di Roma, una scelta lungimirante, e mi fa piacere qui ricordare la figura di Gaetano Martino, protagonista del negoziato. Fu Martino a voler iscrivere nei Trattati sin da allora la prospettiva di una elezione diretta di un Parlamento della Comunità.
La svolta nella vita di questa istituzione si realizzò di nuovo a Roma in occasione del Consiglio europeo del dicembre del 1975, presieduto da Aldo Moro, Capo del Governo italiano dopo essere stato per più di 4 anni alla guida della Farnesina. Un percorso che fu lo stesso Moro, nel suo ultimo discorso nell'Aula della Camera, a voler chiudere illustrando quale relatore l'atto relativo all'elezione a suffragio universale diretto del Parlamento europeo.
La scelta di fare esprimere il popolo europeo all'unisono per l'elezione della sua rappresentanza è per Moro importante dal punto di vista giuridico "ma è più importante dal punto di vista morale e politico (...) perché è oltre un fatto emblematico, manifestazione di una capacità di crescita interna, inserita nel contesto europeo".
Alla vigilia di un confronto elettorale che sta mobilitando le opinioni pubbliche dei nostri paesi in maniera inedita, attraverso un confronto anche duro, ma che alimenta forse per la prima volta un vero dibattito pubblico europeo, credo che queste parole di Moro ci possano aiutare a guardare ai prossimi mesi con uno spirito aperto. Nella speranza che il nuovo Parlamento europeo - anche grazie al lavoro fondamentale di negoziato svolto in queste sale da tanti protagonisti - possa essere un laboratorio per soluzioni politiche e istituzionali che sappiano dare prospettive nuove al processo di integrazione indispensabile per riaffermare in una realtà mondiale sempre più articolata e complessa i valori distintivi della civiltà europea